Rivista di formazione e aggiornamento di pediatri e medici operanti sul territorio e in ospedale. Fondata nel 1982, in collaborazione con l'Associazione Culturale Pediatri.
Aprile 2007 - Volume X - numero 4
M&B Pagine Elettroniche
Il punto su
Il
vaccino per il cancro della cervice
a cura
dell'Agenzia Italiana del Farmaco, AIFA
La
recente immissione in commercio di un vaccino contro il papilloma
virus (HPV) apre nuove prospettive alla prevenzione del cancro della
cervice uterina e una ulteriore opportunità di salute per la
donna. In questo numero, il Bollettino
di Informazione sul farmaco (BIF) (www.agenziafarmaco.it)
offre un
aggiornamento (si veda pag 12) sui dati che hanno portato alla
registrazione di questo nuovo vaccino che offre una possibilità
di protezione contro la più frequente infezione sessualmente
trasmessa, in particolare contro i due ceppi virali (HPV 16 e 18)
responsabili del 70% dei tumori del collo dell'utero.
Sino ad
oggi, la sola opportunità di prevenzione di questo tumore era
rappresentata dallo screening citologico, che permette di
diagnosticare in fase precoce le lesioni precancerose. Tuttavia,
sebbene da anni nel nostro Paese sia possibile accedere ad un
programma di screening citologico, oltre 1000 donne muoiono ogni anno
e la maggior parte di queste non hanno mai, o solo sporadicamente,
effettuato il PAP test.
L'infezione
ha HPV viene acquisita abbastanza precocemente nel corso dei primi
anni di attività sessuale. Pertanto, il modo più
razionale ed efficiente di impiegare questo nuovo vaccino è di
offrirlo attivamente subito prima dell'inizio dell'attività
sessuale, inducendo così una protezione elevata prima di un
eventuale contagio con l'HPV.
Questa
scelta strategica è, d'altronde, coerente con i principi della
prevenzione vaccinale, il cui successo si fonda proprio sulla
protezione immunitaria prima dell'esposizione all'agente infettivo.
Considerando le evidenze scientifiche attualmente disponibili, e coerentemente con le raccomandazioni dell'Organizzazione Mondiale della Sanità, contestualizzate nella realtà italiana, il dodicesimo anno di vita risulta il più indicato per effettuare la vaccinazione.
Sebbene il vaccino abbia dimostrato un'efficacia anche nelle giovani donne (il vaccino è stato approvato per l'uso nelle donne dai 9 ai 26 anni), il beneficio è massimo proprio nelle preadolescenti. In questa fascia d'età, infatti, è stata osservata la migliore risposta immunitaria al vaccino e la probabilità di aver contratto l'infezione è molto bassa in quanto, nella maggior parte dei casi, non ha ancora avuto inizio la vita sessuale. Inoltre, tenuto conto che la vaccinazione è controindicata in gravidanza, evento raro a questa età, non sono necessarie precauzioni per evitare che insorga una gravidanza nel corso dei sette mesi necessari al completamento del ciclo vaccinale. Non si deve infatti dimenticare che, affinché il vaccino garantisca una protezione efficace nei confronti della vaccinazione, è necessario che il ciclo a tre dosi previsto venga rispettato e completato.
Ancora, all'età di 11-12 anni, in concomitanza con la scuola dell'obbligo, è più “facilmente” realizzabile l'offerta attiva, anche a gruppi a rischio di deprivazione sociale, e conseguentemente, la vaccinazione di questi ultimi, ed è altresì possibile una maggiore comunicazione attraverso interlocutori sanitari e sociali, con le famiglie. Viceversa, i tassi di copertura si riducono inevitabilmente nelle fasce di età successive e, così come per le altre vaccinazioni, è da attendersi che la mancata vaccinazione si concentri nelle classi sociali più svantaggiate, che sono a maggior rischio sia di sviluppare l'infezione che di un mancato ricorso allo screening. Inoltre, dal momento che la vaccinazione delle bambine non riduce la circolazione del virus nella popolazione, ovvero non si ha un effetto di herd immunity, persiste il rischio di infezione nelle non vaccinate.
Non si può trascurare, inoltre, un importante aspetto organizzativo: l'offerta della vaccinazione in questa fascia d'età comporta che essa venga praticata presso quegli stessi servizi già impegnati nelle vaccinazioni per l'infanzia, mantenendola nell'ambito del patrimonio professionale e delle prestazioni del Servizio Sanitario Nazionale, anche a garanzia di equità di accesso alla prevenzione vaccinale per la popolazione target. In questo modo vengono facilitati il follow-up dei soggetti vaccinati, ai fini del monitoraggio sul campo della durata ed efficacia della protezione offerta dal vaccino, e la valutazione delle coperture vaccinali.
Il
vaccino non eliminerà la necessità di eseguire lo
screening e di investire risorse per migliorarne la copertura. Esso
continuerà ad essere essenziale per individuare tumori causati
da altri virus HPV (lo screening dovrà quindi essere
effettuato anche dalle donne vaccinate) e, per alcuni decenni, quelli
delle coorti successive alle 12enni che hanno già acquisito o
acquisiranno un'infezione persistente. Tuttavia, man mano che le
coorti di vaccinate aumenteranno nel tempo ci si attende un
sostanziale impatto sulla cura dell'infezione, sulla necessità
di biopsie e di procedure invasive associate ad un PAP test anormale.
In
conclusione, il vaccino ha un'elevata efficacia, soprattutto nelle
ragazze più giovani, e non sono segnalati ad oggi eventi
avversi importanti. La durata dell'immunità, per le conoscenze
attuali, è di almeno 4-5 anni. Saranno, quindi, necessari
ulteriori dati di follow up sul più lungo periodo, al fine di
acquisire informazioni aggiuntive sulla durata dell'immunità e
sull'eventuale necessità di dosi booster. Una sorveglianza
attiva post marketing sarà inoltre indispensabile per
confermare le informazioni di sicurezza in una popolazione più
ampia, e per valutare l'effetto che la pressione immunitaria
selettiva sui ceppi 16 e 18 potrebbe avere sul rischio di infezione
da parte degli altri ceppi di HPV oncogeni.
Tratto
da: Il Bollettino d'informazione sui farmaci 1/2007
per
gentile concessione
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