Rivista di formazione e aggiornamento di pediatri e medici operanti sul territorio e in ospedale. Fondata nel 1982, in collaborazione con l'Associazione Culturale Pediatri.
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Pillole di statistica
Largo al pragmatismo!
Ovvero:
breve dissertazione sull'insostenibile pesantezza degli studi
randomizzati convenzionali
UO di
Pediatria Ospedale San Giacomo Castelfranco Veneto (TV)
Indirizzo
per corrispondenza: dradzik@tiscali.it
L'Evidence
Based Medicine ha indicato con chiarezza come gli Studi Clinici
Randomizzati (SCR) rappresentino il “gold standard” per valutare
i risultati raggiunti da un nuovo trattamento (1); questi trial
(explanatory studies) vengono di solito condotti misurando
l'efficacia (efficacy) dell'intervento, cioè i
benefici raggiungibili in condizioni ideali (2), ottenute arruolando
pazienti fra di loro omogenei per caratteristiche, fortemente
motivati nel portare a termine lo studio e in possesso di una buona
compliance. Situazioni, queste, realizzabili unicamente in centri
universitari, dove vengono selezionati, attraverso rigidi e precisi
criteri di inclusione, partecipanti privi di qualsiasi patologia
concomitante (in grado di rappresentare un fattore confondente),
controllati frequentemente e “pedantemente” attraverso visite
cliniche ed esami laboratoristici ripetuti. Il trattamento attivo
sperimentale, nella maggior parte dei casi, viene confrontato con un
placebo, indistinguibile dal primo, così che i pazienti
rimangono all'oscuro di quello che è stato loro assegnato:
gli Autori dello studio riescono in questo modo a evitare qualsiasi
“bias” di valutazione. Le misure di efficacia sono spesso
rappresentate da esiti intermedi, utili per approfondire le
conoscenze dei meccanismi patogenetici di una determinata malattia,
ma di scarso rilievo pratico; infine, per ridurre la probabilità
di un'interruzione anticipata dello studio, il follow-up non deve
superare generalmente qualche settimane o mese.
Ma… la
realtà di ogni giorno è spesso molto diversa da quella
ovattata e asettica delle cliniche specialistiche: i pazienti,
abitualmente visitati dal medico curante, presentano spesso altre
condizioni morbose associate e la decisione di intraprendere un
trattamento è il risultato finale di una complessa serie di
indicazioni e negoziazioni (desideri dell'individuo, rapporto
costi/beneficio, valutazione della Qualità della Vita) che
difficilmente sono presi in considerazione dai trial clinici di tipo
convenzionale. Poi, nella pratica quotidiana, la scelta terapeutica
viene fatta fra somministrare un medicinale e non dare nulla, quasi
mai è utilizzato un farmaco placebo; i controlli clinici non
sono rigidi, ma dipendono dalla disponibilità del curante e
dalla volontà del paziente stesso. E tra i risultati raggiunti
rivestono maggior rilevanza gli end-point funzionali come il
tempo trascorso per tornare a lavorare e la Qualità della
Vita.
Ecco
allora che negli ultimi anni si è pensato di inserire negli
studi clinici randomizzati quegli aspetti che rispecchiassero
situazioni quotidiane, realizzando trial di tipo pragmatico
(pragmatic studies), volti a misurare l'effectiveness,
cioè il grado dell'effetto benefico che si verifica nella
pratica clinica corrente; in questo scenario i pazienti presentano
caratteristiche individuali differenti e vari gradi di malattia,
seguono schemi terapeutici piuttosto flessibili (nelle dosi e nella
frequenza) e il nuovo farmaco viene di solito confrontato con uno già
preesistente; perfino la presenza di bias e la possibilità che
il paziente non assuma regolarmente la terapia vengono accettate come
parte integrante della realtà.
Dati
questi presupposti non è difficile comprendere come questi due
differenti tipi di studi (explanatory e pragmatic)
arrivino spesso a conclusioni diverse (3), perché non sempre
quello che è efficace in situazioni ideali, trova poi
effettivo riscontro nella vita quotidiana, caratterizzata da tutta
una serie di problemi pratici. E anche il lettore nel leggere un
articolo di terapia dovrebbe essere ben conscio dell'esistenza di
questi due approcci diversi, per poter giudicare nel modo più
corretto la validità dello studio: i trial pragmatici devono
essere preferiti quando si vuole verificare l'applicabilità
di un trattamento nella pratica (generalizability), mentre
quelli tradizionali esplicativi possono rimanere lo standard per
valutare nel modo più appropriato i risultati di una terapia e
sono quelli richiesti nella maggior parte dei Paesi per ottenere la
licenza di un farmaco.
Proprio
per queste diverse caratteristiche “native” gli studi esplicativi
e quelli pragmatici possono presentare differenti difetti: i primi
sono spesso così lontani dalla pratica quotidiana che la loro
validità esterna è spesso posta in dubbio, i secondi
sono invece gravati da bias che rischiano di invalidarne l'intima
struttura interna.
Sulla spinta di queste considerazioni negli ultimi
anni si è assistito alla realizzazione di un numero via via
crescente di studi randomizzati
pragmatici che sono così diventati uno strumento
importante a disposizione del clinico per valutare l'efficacia di
un trattamento “sul campo”; essi rappresentano un buon
compromesso fra gli studi osservazionali, che hanno una buona
validità esterna (applicabilità), ma scarsa validità
interna e gli studi randomizzati di tipo convenzionale dotati di una
buona validità interna, ma con validità esterna spesso
insufficiente (4).
Bibliografia
1.
Sackett DL, Straus SE, Richardson WS, Rosenberg W, Haynes RB.
Evidence-Based Medicine Churchill Livingstone Second Edition 2000.
2. Godwin
M, Ruhland L, Casson I, MacDonald S, Delva D, Birtwhistle R, Lam M,
Seguin R. Pragmatic
controlled clinical trials in primary care: the struggle between
external and internal validity. BMC Medical Research Methodology
2003;3:28.
3. Roland
M, Torgerson DJ. Understanding
controlled trials: What outcomes should be measured? BMJ
1998;317:1075.
4. Hotopf
M. The pragmatic randomised controlled trial. Advances in Psychiatric
treatment 2002;8:326-333.
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