Rivista di formazione e aggiornamento di pediatri e medici operanti sul territorio e in ospedale. Fondata nel 1982, in collaborazione con l'Associazione Culturale Pediatri.
Ottobre 2007 - Volume X - numero 8
M&B Pagine Elettroniche
Contributi Originali - Casi contributivi
Il
pediatra e la resistenza agli steroidi nella colite ulcerosa
Dalla
clinica alle basi molecolari: riconoscerla e trattarla
Clinica
Pediatrica, IRCCS Burlo Garofolo, Trieste
Indirizzo
per corrispondenza: nagua55@yahoo.it
The
Pediatrician and Steroid Resistance in Ulcerative Colitis. From
the clinic to molecular basis: recognizing and treating it
Key
words
Steroid
resistance, IBD, Anti TNF, Therapy, Case report
Summary
Despite
the availability of new immunomodulators, steroids still
represent a milestone of Inflammatory Bowed Disease (IBD)
therapy. Steroid resistance in IBD is an uncommon, yet existing
and epidemiologically defined event involving one fifth of the
patients with Crohn's disease and one sixth of the patients
with ulcerative colitis (UC). We report of an 11 year old female
patient with previously diagnosed UC that was hospitalized during
a flare of the disease and that failed to respond to a four week
intravenous and oral administration of steroids (2mg/kg). The
radioligand binding of the steroid receptors showed that a
significantly higher dose of metilprednisolone was necessary to
inhibit the growth of 50% the lymphocytes (EC50) in our patient,
if compared to the values obtained on 11 healthy controls (2,326
uM and 1,056 ± 53.14 uM respectively). Infliximab was
administered and successfully induced. The epidemiology of
steroid resistance and possible therapeutic approaches in steroid
resistant patients are discussed. Given the existence of steroid
resistance in IBD patients, monitoring the response to steroid
therapy in an acute patient is very important. A prompt recourse
to immunomodulators in steroid resistant patients can reduce the
hospitalization of these patients and induce a rapid
amelioration. |
INTRODUZIONE
Nonostante
la disponibilità di nuovi immunosoppressori e inibitori
biologici del TNF, i corticosteroidi continuano a essere un cardine
fondamentale della terapia delle malattie infiammatorie croniche
intestinali (MICI). Alcuni pazienti, tuttavia, rispondono poco o male
agli steroidi.
Il
fenomeno della resistenza agli steroidi nelle MICI, le cui basi
molecolari vengono via via definite, è un evento raro ma
epidemiologicamente definito: dei pazienti affetti da malattia di
Crohn (MC) in trattamento con steroidi circa 1/3 presenta dipendenza,
e 1/5 resistenza. Per quanto riguarda la colite ulcerosa (CU) 1/4 dei
pazienti sono dipendenti e 1/6 resistenti. C'è da sottolineare
che tali dati hanno una sicura rilevanza in termini terapeutici e
prognostici1. Di fatto è dimostrato che il mancato
riconoscimento di questa situazione si associa a un maggior rischio
di intervento chirurgico (del 50% nei pazienti steroido-resistenti
con MC e circa il 20% di quelli affetti da CU)1. È,
pertanto, rilevante che il pediatra abbia un indice di sospetto nei
confronti di questo problema al fine di seguire nei tempi migliori
possibili una corretta strategia terapeutica. Di fatto, un
riconoscimento tempestivo del problema può permettere di
passare da subito a un farmaco di “seconda linea”, cercando di
controllare tempestivamente la malattia.
Viene
riportato il caso di una bambina cortico-resistente affetta da CU
seguita presso la Clinica Pediatrica dell'IRCCS “Burlo Garofolo”
di Trieste e discusso il fenomeno della corticoresistenza nell'ambito
delle MICI.
V. giunge
alla nostra osservazione per la comparsa di diarrea muco ematica
persistente da circa 4 settimane.
La
piccola ha 11 anni ed è affetta da CU, diagnosticata all'età
di 9 anni a seguito dell'insorgenza di feci sfatte muco ematiche
accompagnate da una modica perdita di peso e dolore addominale.
Un'endoscopia eseguita al momento della diagnosi localizzava la
malattia al livello del retto-sigma e il quadro istologico era
compatibile con la diagnosi di CU. In un primo momento, vista la
limitata estensione del processo infiammatorio, la bambina veniva
trattata solo con 5-ASA ma, dopo alcuni mesi, a un iniziale
miglioramento del quadro clinico ed endoscopico seguiva una ricaduta;
una colonscopia di controllo mostrava la persistenza
dell'infiammazione a livello retto-sigmoideo. Pertanto, veniva
avviato per tre settimane un ciclo con steroidi orali (prednisone 25
mg/die, 1mg/kg/die). Dato che il quadro clinico sembrava migliorare
con la terapia steroidea, veniva ridotto il dosaggio del cortisone
fino alla sospensione, dopo altre 5 settimane, e mantenuto il
trattamento con solo ASA. In realtà, nonostante l'apparente
miglioramento, la risposta al trattamento steroideo era stata
incompleta, visto che un mese prima del ricovero la diarrea muco
ematica ricompariva progressivamente e lentamente peggiorava. Veniva
avviata terapia con steroidi orali al dosaggio di 2 mg/kg, senza
tuttavia evidenza di un miglioramento clinico a qualche giorno di
distanza (continuava ad avere 15-20 scariche muco-ematiche al
giorno). Per tale motivo si decideva di ricoverare la bambina.
Al
momento del ricovero la bambina era sofferente e pallida. L'addome
era trattabile, la peristalsi debole, ma presente, e la palpazione
superficiale risultava dolorosa nel quadrante inferiore di sinistra.
Gli esami
di laboratorio evidenziavano una severa anemia microcitica (Hb 6.9,
MCV 72) con reticolocitosi, insieme a un innalzamento degli indici di
infiammazione (PCR 2.86, VES 51, IgG 1419) con funzione epatica
normale (AST 17, ALT 13, G-GT 8) e importante piastrinosi
(1.051.000).
L'ecografia
dell'addome evidenziava un aumento di spessore della parete del
colon discendente e del retto, di circa 4 mm, con normale
tristratificazione e marcato incremento della vascolarizzazione
dell'area ispessita.
L'endoscopia
mostrava una severa pancolite con segni di malattia acuta come la
mucosa estremamente fragile e sanguinamento spontaneo al solo
passaggio dello strumento, ma anche segni di infiammazione cronica
come pseudopolipi e granularità.
Si era
deciso di iniziare un trattamento con steroidi per via endovenosa
(ev) al dosaggio di 2mg/kg (50 mg die), con l'aggiunta di
antibiotici ev (metronidazolo e ciprofloxacina). Veniva anche
aggiunta l'azatioprina, considerata la lunga durata della malattia
mal controllata, le recidive e la prevedibile necessità futura
di un trattamento immunosoppressivo.
A una
settimana dall'inizio della terapia con steroide ev, la diarrea
muco-ematica non mostrava alcun miglioramento e l'anemia era
addirittura peggiorata (5,5g/dl) per cui la piccola veniva sottoposta
a trattamento trasfusionale e il cortisone veniva frazionato in due
dosi giornaliere.
Gli esami
di laboratorio eseguiti nei giorni successivi mostravano un
progressivo decremento degli indici di infiammazione. Al decimo
giorno di trattamento con cortisone ev si osservava un modesto
miglioramento delle condizioni cliniche con la riduzione della
quantità di sangue e muco e comparsa di feci alquanto formate,
ma i livelli di emoglobina continuavano a scendere.
Clinicamente,
quattro settimane dopo aver iniziato il trattamento steroideo (2mg/kg
ev e 2 mg/kg per os), V. non manifestava il minimo segno di
cortisonismo: il peso risultava invariato rispetto ai primi giorni,
così come la pressione arteriosa; l'aspetto generale della
bambina non aveva subito modificazione alcuna. Vista la severità
del caso e la non risposta alla terapia steroidea, veniva avviato il
trattamento con l'Infliximab (anticorpo anti-TNF alfa).
Nel
sospetto di una resistenza al cortisone è stato eseguito il
dosaggio dei recettori steroidei, per mezzo di un test con
radioligand binding (valutazione del numero di recettori per
mezzo di un ligando marcato con isotopo radioattivo). Per quanto
riguarda il metilprednisolone la concentrazione di farmaco in grado
di inibire la crescita del 50% dei linfociti (EC50 ) è
risultata essere di 2326 uM. I valori ottenuti su 11 controlli sono
1056 ± 53,14 (media ± SE), il che indica che per
ottenere lo stesso effetto è necessario nella paziente
utilizzare una concentrazione del farmaco più che doppia.
Riguardando
a posteriori il caso, V. presentava una malattia importante, mai
andata in remissione completa. Illusi dall'iniziale apparente
limitato interessamento retto-sigmoideo, abbiamo trattato la piccola
impiegando uno schema terapeutico in cui i corticosteroidi
rappresentavano i farmaci più potenti senza programmare da
subito un'immunosoppressione di fondo. In realtà, un
interessamento limitato del processo infiammatorio nella CU
rappresenta una caratteristica quasi esclusiva della malattia
dell'adulto. Nei bambini, la CU è generalmente sinonimo di
pancolite2,3 e la possibilità di una non risposta a
trattamento topico o con sola mesalazina deve essere preventivata in
termini di monitoraggio e maggiore eventuale aggressività
terapeutica. Gli steroidi comunque, rappresentano una delle più
importanti armi a disposizione del medico nel fronteggiare le MICI.
Sono farmaci di prima scelta utilizzabili in occasione dell'esordio
o di una riacutizzazione di una MICI.. Agiscono in maniera rapida,
tanto che, nella maggior parte dei casi, consentono di ottenere un
miglioramento clinico in tempi brevi e di iniziare uno scalo
progressivo dopo 3-4 settimane4.
Gli
steroidi svolgono una duplice attività: una antinfiammatoria,
inibendo la sintesi di citochine proinfiammatorie e di metaboliti
dell'acido arachidonico, ed una immunosoppressiva, inibendo
l'attivazione dei linfociti T e riducendo la sintesi di recettori
per Fc e C3 (con conseguente rallentata clearance degli
immunocomplessi o di cellule già opsonizzate da anticorpi). Il
farmaco penetra la membrana cellulare grazie alla propria
liposolubilità e, una volta all'interno della cellula, si
lega al proprio recettore intracellulare. In questo modo il recettore
viene attivato e stimolato ad appaiarsi a un altro recettore
attivato. Il dimero così formato, penetra all'interno del
nucleo cellulare dove modula la trascrizione di particolari sequenze
geniche attivando alcuni geni e inibendo la trascrizione di altri. In
particolare, gli steroidi inibiscono la trascrizione del nucler
factor kappa beta (NFKB) e della proteina attivatrice AP-1 i
quali, a loro volta, sono potenti fattori di trascrizione di diverse
citochine proinfiammatorie. Il tutto avviene molto rapidamente così
da permettere, in genere, un miglioramento clinico, empiricamente
nell'arco di un paio di settimane, anche nei casi più
difficili. In alcuni bambini però, nonostante l'impiego del
cortisone ad alte dosi, un miglioramento clinico non si nota o si
verifica dopo un intervallo di tempo molto lungo. Si stima, infatti,
che circa il 16-20 % dei pazienti con MICI sia resistente al
trattamento steroideo5,6. Più precisamente, secondo
alcuni studi, circa 1/5 dei pazienti con MC e 1/6 dei pazienti con CU
presentano corticoresistenza1. Mentre per alcune patologie
come l'asma o l'artrite reumatoide il fenomeno della resistenza
al cortisone è un aspetto relativamente ben studiato, pochi
studi si sono occupati di delineare i meccanismi fisiopatologici
sottostanti alla resistenza agli steroidi nei pazienti affetti da
MICI. Diversi Autori convergono comunque sul fatto che il fenomeno
coinvolga in particolare i linfociti T.
Sono
stati proposti 4 diversi meccanismi per cercare di spiegare la
resistenza al cortisone1,7:
- una ridotta concentrazione intracitoplasmatica di glucocorticoidi dovuta a un'aumentata espressione del multidrug resistance gene (MDR1)8-11 (Box 1)
- un'alterazione del recettore intracitoplamatico per i glucocorticodi12(Box 2)
- una ridotta attività trascrizionale del complesso glucocorticoide-recettore dovuta a una costituzionale attivazione di produzione epiteliale di mediatori proinfiammatori13 (Box 3)
- polimorfismo del TNF14 (Box 4)
Ridotta
concentrazione intracitoplasmatica di glucocorticoidi dovuta a
un'aumentata espressione del multidrug resistance gene (MDR1) |
Il
gene MDR1 codifica per la P-glicoproteina 170, una glicoproteina
transmembranale dotata della capacità di pompare sostanze
selezionate dal versante intracitoplasmatico al versante
extracitoplasmatico della cellula.
La
glicoproteina-P risulta essere particolarmente espressa negli
organi maggiormente esposti a insulti tossici quali l'intestino,
il fegato, il polmone e il rene. Verosimilmente si tratta di una
pompa di efflusso il cui ruolo fisiologico è quello di
proteggere la cellula da sostanze potenzialmente tossiche che
riescono ad attraversare la membrana citoplasmatica e giungere a
livello intracitoplasmatico. Il gene MDR1 è, inoltre,
abbondantemente espresso anche a livello della ghiandola
surrenale. A questo livello, sito di produzione fisiologica degli
steroidi, verosimilmente protegge le cellule da un apoptosi
steroido-indotta. E' probabile, quindi, che i corticosteroidi,
una volta penetrati all'interno della cellula intestinale per
diffusione passiva grazie alla propria liposolubilità,
possano essere riconosciuti dalla proteina MDR1 ed espulsi
all'esterno della cellula. Pertanto, nonostante l'elevato
livello che il farmaco raggiunge a livello periferico in questi
pazienti, ben poche molecole di steroide riescono a legarsi al
recettore e a esplicare la propria azione antinfiammatoria ed
immunosoppressiva.
A
livello intestinale, l'espressione del gene MDR1 presenta una
peculiare distribuzione spaziale che sembra aumentare in senso
cranio-caudale. Moderatamente espresso a livello duodenale e
digiunale, il suo prodotto genico risulta essere molto abbondante
a livello ileale, mentre i livelli massimi vengono raggiunti in
corrispondenza del colon distale e rettale8. Diversi
studi hanno confermato un legame tra il gene MDR1 e il fenomeno
della corticoresistenza nelle MICI. Il gruppo di Farrel et al9 ha
dimostrato un'elevata espressione del gene MDR1 nei linfociti T
e nelle cellule intestinali dei pazienti con MC o CU i quali erano
risultati scarsamente responsivi al trattamento steroideo tanto da
dover essere sottoposti ad un intervento chirurgico. Lo stesso
gruppo, nel 200210 ha, inoltre, confermato come
l'impiego di inibitori specifici della glicoproteina MDR1 su
colture cellulari comporti un significativo incremento dei livelli
intracellulari di cortisolo e ciclosporina nelle cellule
epiteliali intestinali e nei linfociti T, ed ha quindi fornito le
basi per un potenziale impiego di inibitori specifici
dell'espressione del MDR1 nei pazienti con resistenza al
cortisone. Dal punto di vista genetico, sono stati identificati
diversi polimorfismi del gene MDR1 e, attualmente, alcuni Autori
stanno focalizzando la propria ricerca in questo campo,
nell'intento di relazionare tali polimorfismi con la popolazione
affetta da MICI. Ciò potrebbe in futuro portare ad una
migliore comprensione della resistenza al cortisone ed
eventualmente a nuove strategie diagnostiche per identificare
mediante il test genetico tali pazienti e poter proporre loro
nuove strategie terapeutiche11. |
Alterazioni
del recettore intracitoplasmatico degli steroidi |
Particolarmente
ben studiato nell'asma, questo meccanismo non sembra essere
particolarmente rilevante nella corticoresistenza delle MICI. Casi
di cortico-resistenza dovuti ad un difetto ereditario del
recettore dei corticosteroidi sono comunque stati descritti in
letteratura. Poiché gli steroidi sono, prima che farmaci,
ormoni fondamentali per la sopravvivenza, una resistenza completa
agli steroidi non viene generalmente riscontrata perché
incompatibile con la vita. Questa condizione si associa
generalmente ad elevati livelli di cortisolo periferico,
mentre.non vi è evidenza alcuna in letteratura, di pazienti
con MICI corticoresistenti che mostrino livelli elevati di
cortisolo periferico.
Nel
2001, Flood12 e collaboratori dimostrarono come le
concentrazioni di GR mRNA, tra i pazienti con MICI scarsamente
responsivi alla terapia con steroidi e quelli che invece
rispondevano bene, fossero fondamentalmente molto simili. Le
alterazioni del recettore per gli steroidi rappresentano, quindi,
un meccanismo possibile, seppur molto poco probabile di
corticoresistenza nei pazienti affetti da MICI. |
Aumentata
concentrazione di mediatori proinfiammatori |
Poiché
il fenomeno della corticoresistenza sembra riguardare più
frequentemente pazienti con malattia particolarmente severa, viene
spontaneo chiedersi se la scarsa risposta al cortisone altro non
sia che la conseguenza dell'enorme produzione di citochine
proinfiammatorie. Quest'ultima sarebbe tale da sopraffare la
capacità antinfiammatoria del farmaco. In realtà,
l'asse di interazione steroidi - citochine è
moderatamente più complesso, caratterizzato da due fattori:
la capacità degli steroidi di modulare i fattori di
trascrizione per le citochine e la capacità delle citochine
proinfiammatorie di modulare negativamente il recettore per gli
steroidi.
Uno
dei principali fattori coinvolti nella sintesi di citochine
infiammatorie è il fattore di trascrizione NF-KB. Il GR
esplica gran parte della propria azione antinfiammatoria modulando
negativamente la produzione di tale FT. Ma anche il NF-KB ha la
capacità di interferire con l'attività
trascrizionale del GR. Le due proteine, quindi, inibiscono l'una
l'attività dell'altra e, normalmente, vi è una
situazione di equilibrio. Una minore risposta ai corticosteroidi
potrebbe verificarsi qualora per un qualche motivo l'attività
del GR fosse ridotta o quella del NFKB aumentato. Della prima,
abbiamo già parlato sopra. Alcuni studi hanno analizzato
l'attività del NF-KB su biopsie intestinali di pazienti
cortico-resistenti e cortico-sensibili con MICI severa. Nei
pazienti cortico-sensibili, l'attivazione del NFKB era
localizzata prevalentemente nel macrofagi della lamina propria e
in poche, sparse, cellule epiteliali. Nei pazienti
cortico-resistenti invece l'attivazione dell'NF-KB era
prevalentemente localizzata alle cellule epiteliali intestinali.
La resistenza al cortisone potrebbe quindi essere dovuta ad una
maggiore attivazione costituzionale del NF-KB in questi pazienti.
Di conseguenza, l'attività del GR in questi pazienti
sarebbe inibita13. |
Polimorfismi
del TNF-alfa |
Il
gene del TNF-alfa mappa al locus IBD3,che risulta essere associato
alla suscettibilità alle MICI e alla risposta al
trattamento farmacologico nei pazienti affetti. L'allele 308A
del promoter di questo gene, secondo studi recentissimi, è
maggiormente rappresentato nei pazienti affetti da MC, ad
insorgenza in giovanissima età, localizzazione colica e
tendenza a fistolizzare. L'aumentata produzione della citochina,
imputabile al polimorfismo, potrebbe essere causa sia nella MC che
nella CU esorditi in età pediatrica, di un decorso clinico
più aggressivo e della resistenza alla terapia steroidea,
con la necessità di ricorrere più frequentemente
all'intervento chirurgico e/o alla terapia con anti-TNF14. |
Cosa
insegna questo caso?
A fronte
di un paziente con MICI che non risponde ad un trattamento steroideo
a dosaggio adeguato, con modalità di somministrazione come in
questo caso per via endovenosa, frazionato in due dosi giornaliere
(in linea con le indicazioni del Nelson), è ragionevole
sospettare una resistenza agli steroidi. Tale fenomeno, come detto
all'inizio, è molto meno raro di quanto si pensi e una
diagnosi di questo tipo ha un sostanziale risvolto terapeutico, come
nel nostro caso, con l'utilizzo tempestivo dell'Infliximab
(anticorpo monoclonale che si lega al TNF-alfa). Il ricorso alla
terapia con anti-TNF, oltre che essere più efficace a fronte
della resistenza al trattamento steroideo, potrebbe consentire di
risparmiare tempo e possibilmente anche trattamenti inutili, come la
trasfusione e il ricovero di un mese (e a volte anche l' intervento
chirurgico che di fronte a un paziente in acuto, non responsivo al
trattamento steroideo rappresenta sempre un opzione). Inizialmente,
poiché alla base della CU, a differenza della MC, è
ipotizzata una disregolazione della risposta immunitaria di tipo Th2
e non Th115, si è creduto che il TNF-alfa non fosse
un importante mediatore nella patogenesi della malattia. Quest'idea
può considerarsi superata. Un recente lavoro randomizzato e
controllato sull'uso dell'Infliximab contro placebo su 364
pazienti adulti affetti da CU ha dimostrato a otto settimane una
remissione di malattia nel 69% dei pazienti, contro il 37% di quelli
trattati con il placebo16.
La
terapia delle MICI prevede, oltre che il trattamento dell'acuzie,
anche una terapia di mantenimento, rappresentata in primo luogo da
farmaci immunosoppressori come l'Azatioprina e il suo metabolita
6-mercaptopurina i quali riducono, nell'arco di mesi l'attività
della malattia consentendo in maniera relativamente sicura e ben
tollerata di mantenere la remissione17,18. Tra gli effetti
collaterali riportati vanno segnalati come più frequenti una
elevazione delle transaminasi, l'epatite, la pancreatite, la
depressione midollare e reazioni da ipersensibilità19,20,
generalmente facilmente risolvibili riducendo la dose, ma per i quali
comunque questi pazienti meritano un monitoraggio periodico. Tali
farmaci però, non rappresentano una soluzione per il paziente
acuto, in quanto impiegano mesi a raggiungere livelli terapeutici.
Tra i
farmaci di mantenimento, va ricordata la talidomide (inibitore della
produzione di TNF-alfa da parte dei monociti), che sembra dare
risultati promettenti in caso di MICI corticoresistenti e con
parziale risposta all'azatioprina. La risposta al trattamento è
relativamente rapida (circa 4 settimane). I risultati ottenuti con
questo farmaco sono stati incoraggianti, sia in laboratorio21
che in ambito clinico. In un lavoro osservazionale prospettico non
controllato su 28 pazienti (di cui 19 con il MC e 9 con la CU),
trattati con la talidomide, si è avuta una remissione della
malattia in 21 pazienti della durata media di 34,5 mesi. Sedici
pazienti sono stati in grado di sospendere gli steroidi22.
Il principale effetto collaterale della talidomide è la
neuropatia, che sembra essere dose-dipendente (il 25% di tutti
pazienti trattati è risultato affetto da neuropatia, ma solo
per dosi superiori a 28 g;solo 1/28 pazienti ha presentato
vertigine/sonnolenza e 1/28 agitazione/allucinazione) e richiede un
monitoraggio elettromiografico periodico22.
In
conclusione, il caso di V. ci insegna che la risposta al trattamento
steroideo nei casi di MICI va attentamente monitorata e nel caso in
cui un beneficio terapeutico non venga osservato in un arco di tempo
adeguato, la possibilità che il paziente sia corticoresistente
va tenuta in considerazione, così come la disponibilità
eventuale del test per la valutazione della risposta ai
corticosteroidi. Il dosaggio dei recettori leucocitari del cortisone
rappresenta infatti un esame relativamente economico e decisamente
eseguibile il quale, se precocemente eseguito ai primi segni di non
risposta al cortisone, potrebbe guidare a una più pronta e
adatta modificazione terapeutica.
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