Rivista di formazione e aggiornamento di pediatri e medici operanti sul territorio e in ospedale. Fondata nel 1982, in collaborazione con l'Associazione Culturale Pediatri.

Febbraio 2007 - Volume X - numero 2

M&B Pagine Elettroniche

Pediatria per l'ospedale


Sindrome della stanchezza cronica (parte seconda)
Giorgio Bartolozzi
Membro della Commissione Nazionale Vaccini
Indirizzo per corrispondenza: bartolozzi@unifi.it

Negli ultimi anni sono fortemente aumentate le nostre conoscenze sulla sindrome della stanchezza cronica, soprattutto per quanto riguarda la fisiopatologia, la diagnosi e il trattamento, senza tuttavia raggiungere un'interpretazione univoca.
La comparsa di una recente revisione di tutti questi aspetti mi permette di tornare sull'argomento: Prins JB, van der Meet, Bleijenberg G. Chronic fatigue sindrome. Lancet 2006;367:346-55.

Diagnosi
Molta meno attenzione è stata rivolta allo stabilire le linee guida per la diagnosi clinica della sindrome della Stanchezza Cronica (SSC), di quella che è stata rivolta alla sua definizione. Sebbene siano stati preparati dei protocolli diagnostici, i clinici spesso manifestano ancora difficoltà nel diagnosticare questa malattia.
In tutti i casi, il primo passo nella raccolta dei sintomi specifici è quello di conoscere e di approfondire le aspettative e gli obiettivi del paziente. La maggior parte dei pazienti attribuisce i sintomi a fattori somatici, per cui essi si attendono molto, e senz'altro troppo, dagli esami di laboratorio e strumentali. Alcuni possono avere l'intenzione nascosta di beneficiare dell'assicurazione e reclamano il riconoscimento della propria invalidità. L'identificazione di questi aspetti e di queste aspettative, fin dalla prima visita, rende la comunicazione più trasparente e previene la possibilità che medico e paziente si pongano su posizioni contrastanti.
In una rassegna di pazienti con SSC, è stato osservato che i due terzi dei pazienti non sono soddisfatti della qualità delle cure mediche e sottolineano la necessità di migliorare la comunicazione e l'educazione dei dottori nella diagnosi e nel trattamento della loro malattia.
Sono sempre necessari: un'anamnesi accurata, un meticoloso esame obiettivo, un esame dello stato mentale e un minimo numero di esami di laboratorio. E' bene subito chiarire che gli esami di laboratorio sono rivolti alla ricerca di altre malattie, che si accompagnano a stanchezza crinica, e non pretendono di documentare che il paziente ha effettivamente una SSC. Infatti rimangono difficili da accertare sia la gravità della stanchezza, sia le conseguenze che essa può avere nel compromettere le attività del paziente. Nella maggior parte dei casi un breve questionario può rappresentare il modo migliore per impostare e raggiungere la diagnosi.
Ovviamente porre la diagnosi di SSC non esaurisce l'impegno del medico: egli deve includere le informazioni sul modello di malattia, sul trattamento e sulle sue motivazioni. Rivolgere grande attenzione verso questi fattori, è un punto essenziale nella attività del medico, che deve essere preparato ad affrontare questa malattia.

Trattamento
La terapia Cognitivo-Comportamentale (CBT) e la terapia dell'Esercizio Graduale(TEG) sono i soli interventi, dimostrati efficaci nella SSC. Altri interventi non hanno dimostrato alcun effetto, come la somministrazione di steroidi, di immunoglobuline o di altre sostanze.
La terapia cognitivo-comportamentale è una forma generale di psicoterapia diretta a cambiare le conoscenze e i comportamenti, relativi alla condizione del paziente. E' stato visto che la terapia cognitivo-comportamentale, che si usa nella depressione, non è efficace nei pazienti con SSC: questa mancanza di efficacia non sorprende, perché è evidente, come abbiamo già detto, una chiara differenza fra i pazienti con sindrome della stanchezza cronica e i pazienti con depressione maggiore. In generale il trattamento CBT è più complesso della TEG: mentre con la terapia cognitivo comportamentale si assiste a un miglioramento in circa il 70% dei pazienti, con la terapia “graded exercise” si raggiunge il 55%.
Lo scopo della terapia è quello della riabilitazione dei pazienti con sindrome da stanchezza cronica. Viene definita come guarigione la scomparsa dei sintomi e dei disturbi funzionali, la capacità di tornare al lavoro e di sottoporsi ad altre attività, la cessazione di interpretare i segni somatici come indicatori della sindrome da stanchezza cronica e di smettere di considerarsi come un paziente con sindrome della stanchezza cronica. Purtroppo, come nella maggioranza delle malattie croniche, gli effetti della cura variano moltissimo da un paziente all'altro. All'inizio del trattamento (CBT) la guarigione sembra qualcosa di vago e di non raggiungibile per la maggioranza dei pazienti, ma dopo 2-5 anni il quadro può cambiare notevolmente.
Tuttavia va sottolineato che non tutti i pazienti risentono i benefici della CBT e della TEG. Gli elementi che fanno predire uno scarso successo del trattamento sono rappresentati dall'essere membri di un gruppo di auto-aiuto (self-help), dal ricevere dei benefici dalla propria situazione, da pretendere benefici per la propria situazione, dalla presenza di sintomi molto intensi e da un'attività fortemente passiva. La durata della malattia, sorprendentemente, non ha influenza sull'esito del trattamento. La maggioranza degli studi CBT/TEG riportano una durata della malattia di circa 5 anni. Viene consigliata la tempestività d'inizio del trattamento psicoterapico.
La sindrome da stanchezza cronica non è una situazione stabile, ma anzi è caratterizzata da un'evidente fluttuazione.

Conclusioni
I benefici effetti della terapia neuro-comportamentale potrebbero far pensare, erroneamente, che la sindrome da stanchezza cronica sia sostenuta da una causa psicogena. Nella medicina moderna sappiamo che l'uso di modelli psicologici nella cura della sindrome da stanchezza cronica non esclude affatto che al fondo di questa affezione vi siano delle componenti neurobiologiche. Nel nostro cervello ormoni, come il fattore di rilasciamento della corticotropina, come la corticotropina e il cortisolo interagiscono con le citochine (come l'interleuchina 1 e 6) e i neuropeptidi (come la serotonina e la dopamina). In questa fitta rete di molecole, bisogna tener conto anche dell'esistenza dei recettori. Sono già in uso tecniche di bioimmagini e strategie proteomiche per studiare questi fenomeni: esse potranno essere nel futuro applicate allo studio della sindrome da stanchezza cronica.

Vuoi citare questo contributo?

G. Bartolozzi. Sindrome della stanchezza cronica (parte seconda). Medico e Bambino pagine elettroniche 2007;10(2) https://www.medicoebambino.com/_stanchezza_sindrome_cronica_terapia_malattia_diagnosi