Rivista di formazione e aggiornamento di pediatri e medici operanti sul territorio e in ospedale. Fondata nel 1982, in collaborazione con l'Associazione Culturale Pediatri.
Ottobre 2005 - Volume VIII - numero 8
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Complicanze
ed effetto di un trattamento dietetico nell'obesità
infantile medio-grave.L'esperienza di un centro di endocrinologia
pediatrica
Centro di
Endocrinologia e Diabetologia Pediatrica, IRCCS Burlo Garofolo,
Trieste
Indirizzo
per corrispondenza: tonini@burlo.trieste.it
Key
words. Childhood obesity, Complications, Diet
Summary:
We
enrolled a cohort of 185 children and adolescents with middle-grave
obesity (E.P.>40%) from the Paediatric Endocrinology and
Diabetology Center in Trieste. The aim of the study was to describe
the frequency of obesity complications and to evaluate the effects of
a diet program. We found that the most frequent early complications
of childhood obesity were: hepatic steatosis (33%), insulin
resistance (38%), hypertension (32%) and metabolic syndrome (9%). All
obese children enrolled agreed to undergo a diet. All patients showed
a loss of weight, with an average loss of weight of 10% in the first
6 months. However, a low compliance to the diet was seen during the
follow-up.
Esiste
un'evidenza crescente che lo sviluppo del sovrappeso e dell'obesità
in bambini e adolescenti porta a conseguenze sociali, economiche e
sanitarie deleterie1
A ciò
va aggiunta la constatazione dell'ulteriore aumento della
prevalenza sia nell'infanzia che nell'età adulta (Figura
1), sopravvenuta in paesi sviluppati e non, dato che ha fatto
parlare di “Epidemia dell'Obesità”.2
Approssimativamente
il14-15% della popolazione americana sotto i 15 anni può
essere definita obesa.3
Si può stimare che la percentuale di bambini obesi in Europa
oscilli tra il 5% ed il 7%, con percentuali più elevate nelle
regioni meridionali4
L'obiettivo
del nel nostro lavoro è stato quello di valutare quello che è
stato il management del paziente pediatrico obeso, nell'arco di
tempo che va dal 2000 alla prima metà del 2004, nell'ambito
degli ambulatori di pediatria generale e di endocrinologia
dell'Istituto Materno-Infantile Burlo Garofolo di Trieste.
Abbiamo
ristretto la nostra valutazione ai pazienti che presentavano
un'OBESITA' MEDIO-GRAVE (E.P >40%) in quanto in questo gruppo
in letteratura èsegnalata la maggiore frequenza di complicanze
associate all'obesità infantile.
Per la
definizione di obesità abbiamo scelto di utilizzare l'indice
di eccesso ponderale secondo Tanner (EP%) = (peso reale – peso
ideale)*100)/ peso ideale
dove il
peso ideale è il valore del 50° centile corrispondente al
50° dell'altezza del soggetto, indipendentemente dall'età
reale.
Tale
scelta nasce dal bisogno di utilizzare una metodica pratica e
semplice, presupposto indispensabile per l'ambiente ambulatoriale
in cui si è operato.5
Il metodo è ben applicabile in pediatria, ma diventa non del
tutto soddisfacente in età adolescenziale in quanto la
variabilità dei centili del peso è maggiore rispetto a
quelli staturali. Inoltre se la statura del soggetto supera il 50°
centile diventa impossibile l'applicazione di questa metodica.
Le
variabili descritte nella coorte di pazienti seguiti sono relative
alla familiarità per obesità e complicanze associate,
alla frequenza osservata delle complicanze nei bambini-adolescenti
obesi ed alla efficacia del trattamento (dieta ed attività
fisica) proposto.
I
pazienti con obesità medio-grave seguiti sono stati 185
soggetti (età <17 anni), con un'età media di 10,4
anni ± 2,9 (range: 3,5 -16,8 aa).
Questa
popolazione è nata per il 51,5% a Trieste e per il 48,5% nelle
restanti province del FVG e in Veneto.
I maschi
sono il 54,6%, con un'età media di 11±2,9 anni
(3,5-16,8 aa), le femmine il 45,4% con età media di10±2,7
anni (4,5-16,1 aa).
L'insorgenza
dell'obesità sembra essere molto precoce. In una elevata
percentuale i nostri pazienti erano in sovrappeso o obesi già
nei primi mesi di vita (il 54,5%) ed hanno mantenuto l'eccesso
ponderale, aggravandolo, nel corso degli anni fino al momento del
controllo ambulatoriale. Un secondo picco corrisponde con la
frequenza della scuola materna (18,8%), e al momento dell'ingresso
nella scuola dell'obbligo (20,8%).
Ad
obesità già avviata esiste un incremento percentuale in
epoca preadolescenziale (5,9%), che conferma i dati di nostri
precedenti studi e quelli della letteratura su un incremento
percentuale dell'obesità dalla nascita all'adolescenza,
soprattutto nei maschi.
Familiarità
Nel 37%
dei casi esiste una familiarità per obesità, mentre nel
restante 63% sembrano agire soprattutto i fattori ambientali,
l'iperalimentazione e l'attività fisica. Questa
distribuzione coincide con la maggior parte degli studi (la genetica
sembra incidere per il 30-40% e l'ambiente per il 60-70%). Una
predisposizione genetica è sostenuta da numerose evidenze: se
uno dei due genitori è obeso l'odds ratio per il figlio di
obesità è di 2.2 a 15-17 anni e 3.2 a 1 o 2 anni di
età6
Complicanze
dell'obesità (Figura
2)
Esiste
nella nostra popolazione una familiarità per le complicanze
conseguenti all'obesità pari al 18-19% dei casi per quanto
concerne dislipidemie e patologia cardiovascolare, mentre è
maggiore per l'ipertensione arteriosa (25,4%) e per il NIDDM (29%).
Complicanze
quali insulino-resistenza, steatosi epatica, ipertensione, sindrome
metabolica, intolleranza glucidica sono presenti già
precocemente e sono più espresse quanto più è
elevato l'eccesso ponderale.
Alterazioni
del metabolismo lipidico e glucidico
Tali
complicanze, le più rappresentate nella nostra casistica, sono
presenti rispettivamente nel 39,4% e nel 38% dei casi. Questi dati
correlano con la presenza delle stesse complicanze nei familiari
(18-19% dislipidemie e 29% NIDDM), ma il fatto che la percentuale nei
bambini sia più elevata sembra suggerire che queste non sono
determinate prevalentemente da fattori genetici, ma sono una
complicanza diretta dell'importante eccesso ponderale.
Questi
dati corrispondono in generale a quanto rilevato nella popolazione
adulta in diversi studi che evidenziano una prevalenza di
dislipidemia del 45% dei soggetti obesi.
L'ipercolesterolemia
totale a digiuno è stata riscontrata nel 12,6% dei soggetti;
l'aumento colesterolo LDL nel 2,2%; l'ipertrigliceridemia nel
17,6%; mentre una diminuzione del colesterolo HDL si ha nel 7% dei
casi.
L'associazione
di ipertrigliceridemia, bassi livelli di colesterolo HDL e aumento
del colesterolo LDL, tipica del bambino obeso, si osserva nel 3,8%
dei soggetti.
L'obesità
rappresenta un rischio reale di sviluppare un NIDDM anche se è
non presente familiarità per questa malattia. Nella nostra
casistica la resistenza insulinica non viene sempre evidenziata
utilizzando il metodo HOMA-IR, che si basa sull'elaborazione del
rapporto tra glicemia ed insulinemia basali diviso per un fattore di
correzione. La formula è la seguente: HOMA-IR= glicemia in
mg/dl * (insulinemia / 22,5) / 18
Infatti
con questo metodo il 30,6% dei nostri soggetti presenta una
resistenza insulinica, contro il 39% dei soggetti alla curva di
carico di glucosio (OGTT), che mostrano un'iperinsulinemia (mU/ml)
>15 a tempo 0, >75 a tempo 120'o >150 a qualsiasi tempo.
Questo
dato acquisisce ancora più valore visto che il 2,8% ha già
una intolleranza glucidica e nell'1,6% dei soggetti si è
riscontrata la presenza di acantosis nigricans, condizione che si può
associare all'iperinsulinismo (tutte femmine con evidenti segni
clinici di iperandrogenismo). Vista la discrepanza nelle percentuali
tra utilizzo dell'HOMA e di altri parametri sembra consigliabile
sia il calcolo del primo sia l'esecuzione di un'OGTT per valutare
meglio la funzionalità pancreatica.
Complicanze
epatiche
La
steatosi epatica è stata ampiamente riscontrata in età
pediatrica con una incidenza molto variabile negli studi (dal 15% al
50%). I nostri pazienti hanno in 1 caso su 3 una steatosi epatica. La
prevalenza più elevata si ha nella fascia di età tra 14
e 17 anni, ma si riscontra un picco anche nella fascia di età
tra i 3 e i 5 anni. La sua insorgenza può essere quindi molto
precoce e dipendente dall'eccesso ponderale.
Nella
nostra casistica la steatosi si associa spesso alla
ipertransaminasemia (20,4% aumento delle SGOT e 18% aumento delle
SGPT). La presenza di valori aumentati di transaminasi in una
discreta percentuale di soggetti con epatopatia medica indica che
esiste già un danno cellulare che, se persistente, potrebbe
portare ad una steato-epatite in età adulta. Le transaminasi
non esprimono sempre la presenza di un danno epatico e sono in corso
studi che cercano di individuare altri indicatori di danno
epatocellulare (ac. ialuronico?).
La
steatosi epatica non si correla in modo statisticamente significativo
con l'ipertrigliceridemia; infatti il 20% dei soggetti presenta
steatosi con ipertrigliceridemia contro il 13% dei pazienti con
trigliceridi elevati in assenza di steatosi epatica. Quindi la
steatosi anche se è secondaria ad un accumulo intraepatico di
trigliceridi, quale conseguenza di una doppia resistenza insulinica a
livello muscolare e del tessuto adiposo, può precedere
l'elevazione dei livelli ematici dei trigliceridi.
Ipertensione
arteriosa
L'ipertensione
arteriosa è già presente in età pediatrica (32%
dei casi) e anch'essa correla con i dati della familiarità
che incide per il 25%. Anche in questo caso vale il ragionamento
fatto per le dislipidemie, cioè di una correlazione diretta
ipertensione-obesità piuttosto che ad effetti di una
familiarità ipertensiva.
L'ipertensione
correla con l'iperinsulinismo (presente in 10 dei nostri 18
soggetti ipertesi ed in 5 dei 6 bambini con valori pressori
borderline). Tutto ciò ha un certo significato clinico: è
stato ipotizzato un meccanismo inducente l'ipertensione da parte
dell'insulina, che agirebbe a livello del sistema
renina-angiotensina, aumentando la ritenzione sodica.7
La
sindrome metabolica
Tale
condizione prevede la presenza di almeno 3 dei seguenti criteri dati
clinici e/o di laboratorio:
1) BMI
sopra il 97° centile;
2)
livello dei trigliceridi sopra il 95° centile;
3)
livello dell'HDL COLESTEROLO sotto il 5° centile;
4) valore
della pressione sistolica o diastolica sopra il 95° centile;
5)
intolleranza glucidica.
Essa è
presente nel 9% dei nostri bambini-adolescenti.
Un
ulteriore 9% dei soggetti della nostra casistica aveva un basso peso
alla nascita. Sappiamo che il basso peso alla nascita nei piccoli per
età gestazionale (SGA), correla con il rischio elevato di
sviluppare l'obesità e le complicanze metaboliche.
In
relazione alla comparsa di sindrome metabolica, 3 dei nostri 18
pazienti nati con basso peso per l'età gestazionale ne è
affetto. La sindrome metabolica nei nati SGA può comparire
quindi anche precocemente. La sindrome metabolica non necessariamente
si associa ad obesità, può essere presente anche in
soggetti di peso normale. Va comunque tenuto presente che la
definizione di SGA dovrebbe tenere in considerazione anche la
lunghezza alla nascita, creando così tre sottoclassi di
soggetti definibili SGA: basso peso, ridotta lunghezza, basso peso e
ridotta lunghezza. Sono soprattutto queste due ultime classi che sono
maggiormente a rischio di sviluppare una sindrome metabolica, in
quanto la loro condizione di scarsa crescita intrauterina sarebbe la
conseguenza di una resistenza insulinica (l'ormone
dell'accrescimento nel feto) che è determinante per lo
sviluppo delle complicanze metaboliche tardive.
I
soggetti SGA della nostra casistica che presentavano la sindrome
metabolica non avevano una lunghezza <3° centile.
La
tiroide
Si
conferma la scarsa importanza della funzione tiroidea nel
determinismo dell'obesità. Nessuno dei soggetti obesi è
ipotiroideo, nonostante esista una familiarità nel 17,6% dei
casi. Tutti i nostri pazienti avevano una crescita staturale normale,
tendenzialmente alti, il che esclude comunque una causa ormonale di
obesità.
Il 9%
degli obesi presentava una ipertireotropinemia, incidenza simile a
quella presente nella letteratura internazionale (tra 7,5% e 12%).
Questo aumento è stato correlato da alcuni autori, ma non
riconosciuto da tutti, agli elevati livelli di leptina caratteristici
dei soggetti obesi.8
PCR
ed obesità
L'obesità
grave è considerata da alcuni Autori “una condizione di
stato infiammatorio”: è stata descritta una correlazione tra
Proteina C reattiva (PCR) ed obesità. Esistono evidenze, anche
se discordanti, che l'eccesso di tessuto adiposo e alcune delle
complicanze rappresentino un vero e proprio stato infiammatorio
espresso dall'aumento della PCR. Dei nostri pazienti, il 21% ha un
aumento della PCR (media 1,19 mg/dl, valore normale <0,5 mg/dl),
che però non sembra correlato all'eccesso ponderale ed alle
alterazioni metaboliche. Risulta infatti aumentata in alcuni soggetti
appartenenti a tutte le classi di eccesso ponderale, mentre è
normale in alcuni pazienti con obesità grave e complicanze
metaboliche. Che esista quindi uno stato infiammatorio nell'obesità
sembra possibile, ma evidentemente in alcuni soggetti tale
correlazione appare più evidente che in altri.
Per
meglio definire l'associazione tra stato infiammatorio ed obesità,
sarebbe opportuno valutare altri markers identificativi di stato
infiammatorio (TNF _, IL6, adiponectina, acido ialuronico) al fine di
chiarire meglio il nesso tra l'obesità e stato flogistico.
Trattamento
dietetico
Il
trattamento dietetico con un regime normocalorico bilanciato e
l'incremento dell'attività fisica rappresentano sempre due
elementi cardine soprattutto nel trattamento dell'obesità di
grado elevato, anche se la compliance nel lungo periodo diminuisce e
aumenta il drop-out dei pazienti.
La
riduzione dell'eccesso ponderale che abbiamo ottenuto è
soddisfacente: 10% al primo controllo, cui si somma mediamente un 7%
al secondo controllo. Nell'arco quindi di 6-7 mesi si raggiunge un
calo ponderale medio del 17%. Come prevedibile, segue un rebound di
adiposità che mediamente si aggira attorno al 3%; esiste
comunque una discreta variabilità per cui una parte dei
pazienti riesce a perdere fino al 25% dell'eccesso di peso, mentre
altri limitano la perdita al 9%.
Nel breve
periodo questo rappresenta comunque un buon successo. Infatti,
l'obiettivo non deve essere il raggiungimento del peso ideale in
quanto anche un calo ponderale modesto è auspicabile, dal
momento che si riduce il rischio di alterazioni metaboliche e quello
cardiovascolare in età adulta.
Il
risultato diventa ancor più significativo se tale percentuale
viene mantenuta nel lungo periodo.
In
letteratura il drop-out nel corso del follow-up, per la verifica
dell'effetto della dieta sul peso, si aggira attorno al 50% al
primo controllo, successivamente continua ad aumentare.
La nostra
esperienza conferma tali dati. Non possiamo esprimere un giudizio sul
drop-out ai controlli successivi, per il mancato reperimento di una
parte delle registrazioni dei controlli stessi.
Sembra
paradossale che le famiglie non siano motivate a mantenere una buona
compliance nei confronti dei consigli dati, nonostante la presenza
dell'importante eccesso ponderale, della discreta frequenza della
familiarità per complicanze e della presenza di alcune di
queste già nell'età pediatrica. Tale paradosso sembra
dimostrare che, indipendentemente dall'approccio individuale o
collettivo al trattamento dietetico, esistono delle resistenze al
mantenimento di un regime alimentare bilanciato. Questa sembra essere
la conseguenza di un ridotto livello culturale delle famiglie dei
pazienti obesi, come più volte segnalato in letteratura, e
della necessità di un approccio preventivo, oltre che
terapeutico al problema dell'obesità globalmente intesa.
La
prevenzione deve essere estremamente precoce: già in
gravidanza, subito dopo il parto, favorendo l'allattamento al seno
ed una corretta alimentazione, diventa poi necessario un intervento
educativo anche nell'ambito scolastico e a tutti il livelli ed in
tutte le occasioni di socializzazione (centri di aggregazione per
bambini ed adolescenti con intenti ludici e sportivi).
È
verosimile che sia necessario un cambio generazionale prima che
l'istruzione sulla corretta alimentazione e sul rischio
dell'obesità possa dare i risultati sperati.
In
considerazione della necessità di un follow-up con controlli
più frequenti e quindi di maggiori risorse (ore/uomo), sembra
giusto limitare l'accesso a strutture di terzo livello a quei
soggetti con obesità grave che presentano già
complicanze o comunque fattori di rischio elevato (familiarità)
di svilupparle in età adulta.
Riteniamo
corretta quindi la necessità di effettuare indagini di
laboratorio (alla ricerca delle complicanze) in pazienti pediatrici
che abbiamo un eccesso ponderale superiore al 40 % del peso ideale
secondo Tanner.
Obesità
di grado minore devono essere affidate alle cure del medico di base e
alle strutture territoriali.
E'
indispensabile una precoce prevenzione con il coinvolgimento di
diversi operatori (vedi a riguardo Consensus europea, pubblicata su
Medico e Bambino)8:
scuola, centri di aggregazione per bambini e adolescenti, istituzioni
pubbliche, ministeri competenti, aziende produttrici di prodotti
alimentari, associazioni dei consumatori ecc.
In base
alla nostra esperienza e a quella della letteratura sull'argomento,
l'efficacia del trattamento dietetico risulta essere soddisfacente
nei pazienti con compliance migliore. I risultati ottenuti nella
riduzione dell'eccesso ponderale, soprattutto in alcuni di essi,
comportano una significativa diminuzione del rischio di complicanze
in età adulta. Questo, al di là dell'eccesso
ponderale residuo, deve essere considerato comunque un successo in
quanto non è possibile porsi come obiettivo primario il
raggiungimento del peso ideale, impossibile in soggetti con obesità
elevata.
Come
conferma anche la nostra esperienza, il problema rimane quello della
aderenza al regime dietetico proposto ed al programma di attività
fisica9,10.
Questo rimane il target di lavoro per i prossimi anni, attraverso lo
studio e la valutazione sul campo di approcci innovativi per favorire
l'aderenza nel tempo ai programmi terapeutici proposti11,
che richiedono inevitabilmente anche una organizzazione territoriale
e di risorse, per un problema sociale in continua crescita.
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Health 2005;95(3):432-5
Per un
approfondimento bibliografico vedi la Consensus pubblicata su Medico
e Bambino, (referenza 8)


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