Rivista di formazione e aggiornamento di pediatri e medici operanti sul territorio e in ospedale. Fondata nel 1982, in collaborazione con l'Associazione Culturale Pediatri.

Aprile 2024 - Volume XXVII - numero 4

M&B Pagine Elettroniche

I Poster degli specializzandi

Febbre e citopenia nel neonato: pensa anche all'HLH (e dosa la ferritina!)

Matteo Operti

Scuola di Specializzazione in Pediatria, Università di Torino

Indirizzo per corrispondenza: matteo.operti@edu.unito.it

Caso clinico

Riportiamo il caso di una bambina secondogenita, nata a termine da parto spontaneo da genitori consanguinei (cugini di primo grado). In anamnesi familiare uno zio materno deceduto in età infantile per sospetta leucemia. Alla nascita riscontro di lieve ipotonia e splenomegalia. Gli ematochimici mostrano trombocitopenia (emocromo: Hb 17,1 g/dl, WBC 4.230/mmc, piastrine 65.000/mmc). Screening per infezioni congenite negativo. Non disponibili esami ecografici prenatali. Con la somministrazione di antibiotici per via parenterale ed emoderivati, le condizioni generali sono temporaneamente migliorate.
Nelle settimane successive, la bambina ha sofferto di molteplici episodi di febbre con grave neutropenia, per cui è stato somministrato fattore di crescita granulocitario (GCSF) senza beneficio. La radiografia del torace, le ecoencefalografie e le ecografie addominali sono risultate ripetutamente normali, eccetto per la splenomegalia. I test sierologici e la PCR per virus herpes simplex, citomegalovirus, virus di Epstein-Barr, parvovirus B19, enterovirus, adenovirus, virus dell’epatite B e C, e le emocolture sono risultate negative.
Screening neonatale esteso per i difetti metabolici, elettroforesi dell’emoglobina, anticorpi materni antipiastrine, pannello metabolico completo (compresa l’attività degli enzimi lisosomiali, l’omocisteina, gli acidi organici urinari, l’aminoacidogramma plasmatico e urinario) e l’adenosina deaminasi (ADA) eritrocitaria sono risultati di norma. L’immunofenotipo del sangue periferico era negativo per i blasti e l’emocromo eseguito dopo la trasfusione di piastrine non suggeriva distruzione periferica. All’aspirato midollare riscontro di normocellularità e assenza di blasti, senza alcuna evidenza di emofagocitosi. All’immunofenotipo, la linfopenia non era suggestiva di immunodeficienza combinata. Livelli sierici di immunoglobuline, fibrinogeno e trigliceridi erano normali. La diagnosi differenziale è stata ostacolata da un test di Coombs indiretto positivo, dal riscontro di grassi neutri nelle feci e da una ridotta elastasi pancreatica.
Gli esami successivi hanno evidenziato un’iperferritinemia (5.534 ng/ml) che, insieme alla consanguineità dei genitori e alle origini turche della famiglia, è stata considerata fortemente sospetta per linfoistiocitosi emofagocitica primaria (HLH). La valutazione dell’espressione della perforina è risultata normale e l’attività di degranulazione attraverso l’espressione del CD107a è risultata lievemente deficitaria. Il test genetico è risultato positivo per una mutazione in omozigosi del gene UNC13D, compatibile con la linfoistiocitosi emofagocitica familiare (FHL) di tipo 3. È stata quindi avviata chemioterapia come da protocollo HLH-2004, in attesa del trapianto di cellule staminali ematopoietiche (HSCT).

Discussione

La linfoistiocitosi emofagocitica (HLH) è una sindrome iperinfiammatoria che deriva da un’attivazione prolungata e intensa delle cellule presentanti l’antigene (macrofagi e istiociti) e dei linfociti T CD8+, con un’eccessiva proliferazione e migrazione ectopica dei linfociti T, principalmente a livello di milza, linfonodi, midollo osseo, fegato e liquido cerebrospinale. La HLH può essere primaria, o genetica, oppure secondaria/acquisita (da infezioni, malattie reumatologiche, tumori, disturbi metabolici)1. La FHL, invece, può derivare da mutazioni in diverse proteine coinvolte nell’esocitosi dei granuli e nell’induzione perforino-dipendente dell’apoptosi delle cellule bersaglio, mediata dalle cellule NK e dai linfociti T citotossici.
Sebbene la HLH possa manifestarsi in tutte le fasce d’età, l’esordio neonatale come nel caso descritto è raro. I dati di letteratura sottolineano le difficoltà nello stabilire la diagnosi in epoca neonatale, in quanto è una condizione che può mimare altre malattie: più frequentemente infezioni virali congenite (citomegalovirus, parvovirus, epatite B, HIV, rosolia), sepsi, disordini immunitari o metabolici ereditari e citopenie di natura autoimmune o tumorale. Nel neonato la presentazione clinica tipica2 (febbre prolungata, epatosplenomegalia e pancitopenia) è spesso tardiva, e frequentemente possono essere presenti anche insufficienza epatica, anomalie della coagulazione o eruzioni cutanee, che mimano altre affezioni più comuni3.
In assenza di riscontro di mutazione patogenetica in un gene associato (gold standard), per la diagnosi di HLH e l’inizio della terapia è necessario un insieme di almeno cinque degli otto criteri diagnostici4 che sono febbre, splenomegalia, citopenia, ipertrigliceridemia e/o ipofibrinogenemia, emofagocitosi nel midollo osseo/milza/linfonodi, attività NK ridotta o assente, ferritina ≥ 500 μg/l, CD25 (recettore IL- 2) solubile ≥ 2.400 U/ml5. A causa della progressiva insorgenza dei sintomi, soprattutto nel periodo neonatale, la diagnosi può però essere tardiva.
In aggiunta, la valutazione dell’emofagocitosi a livello midollare è difficile a causa dell’assenza di criteri stabiliti per la quantificazione degli istiociti emofagocitici e, nel periodo neonatale, diversi eventi comuni in TIN, come le trasfusioni di sangue, varie procedure chirurgiche e la sepsi, che possono comportare un aumento significativo degli istiociti midollari6.

Conclusioni

Sebbene la presentazione neonatale della HLH sia estremamente rara, dovrebbe essere considerata nella diagnosi differenziale di patologie con coinvolgimento multiorgano, soprattutto quando non è possibile individuare alcuna causa infettiva o metabolica. La misurazione di ferritina, fibrinogeno e trigliceridi deve essere effettuata di routine in questi pazienti e l’assenza di emofagocitosi nel midollo osseo non deve essere un motivo per escludere la diagnosi di questa patologia.
In presenza di un sospetto clinico di HLH, i test genetici devono essere eseguiti tempestivamente per confermare la diagnosi e permettere l’avvio dell’iter terapeutico.

Bibliografia

  1. Degar B. Familial Hemophagocytic Lymphohistiocytosis. Hematol Oncol Clin North Am.;29(5):903-13. DOI: 10.1016/j.hoc.2015.06.008.
  2. Isaacs H Jr. Fetal and neonatal histiocytoses. Pediatr Blood Cancer. 2006;47(2):123-9. DOI: 10.1002/pbc.2 0725.
  3. Larson KN, Gaitan SR, Stahr BJ, Morrell DS. Hemophagocytic Lymphohistiocytosis in a Newborn Presenting as "Blueberry Muffin Baby". Pediatr Dermatol. 2017;34(3):e150-e151. DOI: 10.1111/pde.13128.
  4. Henter JI, Horne A, Aricó M, et al. HLH-2004: Diagnostic and therapeutic guidelines for hemophagocytic lymphohistiocytosis. Pediatr Blood Cancer. 2007;48(2):124-31. DOI: 10.1002/pbc.21039.
  5. Sieni E, Cetica V, Aricò M. Linfoistiocitosi emofagocitica: Una sfida diagnostica per il pediatra. Medico e Bambino. 2012;31(1):21-9.
  6. Zarrini P, Mosayebi Z, Ramyar A, Dalili H. Hemophagocytic Lymphohistiocytosis in a Neonate: Case Report. Acta Med Iran. 2017;55(1):82-4.

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