Rivista di formazione e aggiornamento di pediatri e medici operanti sul territorio e in ospedale. Fondata nel 1982, in collaborazione con l'Associazione Culturale Pediatri.
Dicembre 2001 - Volume IV - numero 10
M&B Pagine Elettroniche
Appunti di Terapia
Insufficienza
dell'acetazolamide e della furosemide nel trattamento della
dilatazione postemorragica ventricolare del prematuro
Indirizzo
per corrispondenza:bartolozzi@unifi.it
La
dilatazione, lenta e progressiva dei ventricoli cerebrali avviene in
circa il 35% di tutti i lattanti, che hanno sofferto di un'emorragia
intraventricolare (EIV). Di questi bambini circa il 15% richiede
successivamente un intervento per l'inserzione di un'anastomosi per
controllare l'aumento della pressione endocranica. La necessità
d'inserire un'anastomosi fra i ventricoli cerebrali e il peritoneo si
è verificata fra il 1991 e il 1994 nel 13,7 per mille neonati,
che avevano visto la luce prima della 32° settimana (di peso
inferiore a 1.700 g). Le gravi emorragie intraventricolari e la
leucomalacia periventricolare rappresentano i fattori principali
delle lesioni cerebrali nel pretermine: esse sono le responsabili
dell'insufficiente neurosviluppo successivo. La prevenzione e il
trattamento della dilazione postemorragica dei ventricoli deve essere
considerata quindi di grande importanza.
Il trattamento chirurgico delle forme con aumentata pressione, con l'inserzione di un'anastomosi ventricolo-peritoneale, è risultata efficace, ma presenta numerose complicazioni, delle quali le più importanti sono il blocco dell'anastomosi e l'infezione, la cui comparsa può avvenire anche a distanza di tempo dall'intervento, per cui rappresentano un pericolo che dura tutta la vita. In qualche caso è stata usata la ventricolostomia endoscopica del terzo ventricolo, ma è difficile che essa rappresenti una forma efficace di trattamento, perché nella maggior parte dei casi si tratta di un idrocefalo comunicante.
La furosemide e l'acetazolamide sono usate largamente nel trattamento della dilatazione ventricolare, allo scopo di evitare la necessità di passare all'intervento neuro-chirurgico, ma per questi farmaci non esiste ancora una prova controllata. Nella ricerca che andiamo esponendo, attuata nel Regno Unito, è stata eseguita una prova multicentrica, randomizzata e controllata per dimostrare l'ipotesi che questi farmaci riducano l'incidenza dell'anastomosi, della morte o l'aumento della sopravvivenza a 1 anno senza alterazioni neurologiche (Kennedy CR et al., Pediatrics 108 :597-607, 2001-11-28).
Fra il 1992 e il 1996, 177 lattanti di meno di 3 mesi di età, che avevano un ampiezza ventricolare superiore a 4 mm oltre il 97° centile, successiva a emorragia intraventricolare, furono assegnati a caso o alla terapia standard o alla terapia standard più acetazolamide (100 mg/kg/die) e furosemide (1 mg/kg/die). I neonati che sono entrati nella prova avevano un'età gestazionale media di 28,6 settimane (con un peso intorno a 1.200 g) e un'età postatale media di 3,6 settimane. Il 44% aveva una lesione parenchimali cerebrale all'ECO. La morte o l'applicazione di un'anastomosi liquorale avvenne in 56 degli 88 lattanti che ricevettero i due farmaci, in confronto a 46 sugli 88 che vennero trattati con la semplice terapia standard. Nell'81% dei soggetti trattati con i farmaci, a distanza di 1 anno, venne riscontrato una sofferenza dello sviluppo del sistema neuromotore, contro il 66% di quelli che furono trattati con la terapia standard.
Questi risultati suggeriscono che l'uso della acetazolamide e della furosemide nei pretermine con dilatazione ventricolare postemorragica è inefficace nel ridurre la percentuale di soggetti che necessitarono di un intervento di neurochirurgia (shunt ventricolo-peritoneale) e risultò associata a un aumento della morbilità neurologica. Viene concluso che questo trattamento non può essere consigliato.
Il trattamento chirurgico delle forme con aumentata pressione, con l'inserzione di un'anastomosi ventricolo-peritoneale, è risultata efficace, ma presenta numerose complicazioni, delle quali le più importanti sono il blocco dell'anastomosi e l'infezione, la cui comparsa può avvenire anche a distanza di tempo dall'intervento, per cui rappresentano un pericolo che dura tutta la vita. In qualche caso è stata usata la ventricolostomia endoscopica del terzo ventricolo, ma è difficile che essa rappresenti una forma efficace di trattamento, perché nella maggior parte dei casi si tratta di un idrocefalo comunicante.
La furosemide e l'acetazolamide sono usate largamente nel trattamento della dilatazione ventricolare, allo scopo di evitare la necessità di passare all'intervento neuro-chirurgico, ma per questi farmaci non esiste ancora una prova controllata. Nella ricerca che andiamo esponendo, attuata nel Regno Unito, è stata eseguita una prova multicentrica, randomizzata e controllata per dimostrare l'ipotesi che questi farmaci riducano l'incidenza dell'anastomosi, della morte o l'aumento della sopravvivenza a 1 anno senza alterazioni neurologiche (Kennedy CR et al., Pediatrics 108 :597-607, 2001-11-28).
Fra il 1992 e il 1996, 177 lattanti di meno di 3 mesi di età, che avevano un ampiezza ventricolare superiore a 4 mm oltre il 97° centile, successiva a emorragia intraventricolare, furono assegnati a caso o alla terapia standard o alla terapia standard più acetazolamide (100 mg/kg/die) e furosemide (1 mg/kg/die). I neonati che sono entrati nella prova avevano un'età gestazionale media di 28,6 settimane (con un peso intorno a 1.200 g) e un'età postatale media di 3,6 settimane. Il 44% aveva una lesione parenchimali cerebrale all'ECO. La morte o l'applicazione di un'anastomosi liquorale avvenne in 56 degli 88 lattanti che ricevettero i due farmaci, in confronto a 46 sugli 88 che vennero trattati con la semplice terapia standard. Nell'81% dei soggetti trattati con i farmaci, a distanza di 1 anno, venne riscontrato una sofferenza dello sviluppo del sistema neuromotore, contro il 66% di quelli che furono trattati con la terapia standard.
Questi risultati suggeriscono che l'uso della acetazolamide e della furosemide nei pretermine con dilatazione ventricolare postemorragica è inefficace nel ridurre la percentuale di soggetti che necessitarono di un intervento di neurochirurgia (shunt ventricolo-peritoneale) e risultò associata a un aumento della morbilità neurologica. Viene concluso che questo trattamento non può essere consigliato.
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