Rivista di formazione e aggiornamento di pediatri e medici operanti sul territorio e in ospedale. Fondata nel 1982, in collaborazione con l'Associazione Culturale Pediatri.
Aprile 2007 - Volume X - numero 4
M&B Pagine Elettroniche
Appunti di Terapia
La
corticoterapia a bolo nel trattamento della malattia di Kawasaki
Membro
della Commissione Nazionale Vaccini
Indirizzo
per corrispondenza: bartolozzi@unifi.it
La cura
standard della malattia di Kawasaki acuta si basa su:
- Immunoglobuline ad alte dosi per via venosa (2 g/kg in una decina di ore)
- Aspirina (80-100 mg/die nella fase acuta di malattia e successivamente 3-5 mg/kg/die).
Nonostante
questo trattamento di dimostrata efficacia, iniziato entro i primi 10
giorni di malattia, circa il 5% dei bambini con malattia di Kawasaki
presenta successivamente un aneurisma dell'arteria coronarica e l'1%
ha un aneurisma gigante.
Il ruolo dei corticosteroidi nel trattamento iniziale della malattia di Kawasaki è stato oggetto di diversi studi, senza raggiungere tuttavia una conclusione che ne abbia definito con sicurezza il profilo di beneficio e di rischio.
Sebbene uno studio, molto vecchio, abbia dimostrato un effetto dannoso del trattamento con corticosteroidi nel trattamento della malattia di Kawasaki, i risultati di altri studi successivi hanno suggerito che i corticosteroidi possono avere un effetto favorevole nel prevenire la comparsa degli aneurismi dell'arteria coronaria. In nessuno di questi studi era stata valutata, in una sperimentazione randomizzata e controllata verso placebo, l'efficacia di una singola somministrazione di steroide in bolo in aggiunta alle immunoglobuline.
Il ruolo dei corticosteroidi nel trattamento iniziale della malattia di Kawasaki è stato oggetto di diversi studi, senza raggiungere tuttavia una conclusione che ne abbia definito con sicurezza il profilo di beneficio e di rischio.
Sebbene uno studio, molto vecchio, abbia dimostrato un effetto dannoso del trattamento con corticosteroidi nel trattamento della malattia di Kawasaki, i risultati di altri studi successivi hanno suggerito che i corticosteroidi possono avere un effetto favorevole nel prevenire la comparsa degli aneurismi dell'arteria coronaria. In nessuno di questi studi era stata valutata, in una sperimentazione randomizzata e controllata verso placebo, l'efficacia di una singola somministrazione di steroide in bolo in aggiunta alle immunoglobuline.
Ricercatori
statunitensi hanno condotto di recente uno studio multicentrico,
randomizzato, a doppio cieco, controllato contro placebo per
determinare se l'aggiunta al trattamento corrente del
metilprednisolone per via venosa, a bolo, come parte del trattammento
iniziale della malattia di Kawasaki riduce il rischio di alterazioni
a carico delle arterie coronarie. I pazienti sono stati reclutati dal
dicembre 2002 al dicembre 2004 in 8 centri pediatrici del Nord
America (Boston, Watertown, Toronto, Salt Sake City, New York,
Filadelfia, Charleston, Los Angeles) attraverso la Rete di
Cardiologia Pediatrica.
Pazienti
con 10 giorni o meno di febbre sono stati assegnati a caso a ricevere
uno di questi due trattamenti:
- 95 ricevettero metilprednisolone 30 mg/kg per via venosa in 2-3 ore per una sola volta, a bolo + immunoglobuline 2 g/kg per EV (in 10 ore) + aspirina (80-100 mg/kg fino a quando il paziente non divenga afebbrile da 48 ore, seguiti da 3-5 mg/kg/die fino al completamento dello studio).
- 92 ricevettero il placebo + immunoglobuline 2 g/kg per EV (in 10 ore) + aspirina (80-100 mg/kg fino a quando il paziente non divenga afebbrile da 48 ore, seguiti da 3-5 mg/kg/die fino al completamento dello studio).
Bambini
che mantenevano una temperatura corporea di 38,3°C o più,
dopo il trattamento iniziale con Ig per EV, senza avere un'altra
ragione per la febbre, vennero trattati di nuovo con la stessa dose
di Ig. Un terzo trattamento con la stessa dose fu dato a pazienti con
febbre persistente ripresentatasi dopo 36 ore o più dal
secondo trattamento con Ig. I pazienti che continuarono ad avere
febbre anche dopo la terza dose furono o meno trattati, secondo il
parere dei pediatri del centro.
ECG e
dati di laboratorio vennero ottenuti al tempo 0 e dopo una media di
7,8 ± 1,8 giorni e 36,5 ± 4,3 giorni dall'inizio del
trattamento. Usando un ecocardiografo bi-dimensionale è stato
misurato il diametro interno del lume dell'arteria coronaria
principale di sinistra, dell'arteria coronaria discendente
anteriore sinistra sia nella parte prossimale che distale, e
dell'arteria coronaria circonflessa, discendente posteriore e
coronaria destra prossimale e distale. Inoltre le arterie coronarie
vennero classificate per la presenza o meno di aneurismi. La diagnosi
di pericardite venne posta quando il luquido aveva uno spesso
superiore a 1 mm.
I bambini
rimasero ospedalizzati fino a quando la febbre non fosse andata via
da oltre 12 ore. Nei giorni successivi i genitori registravano la
temperatura a domicilio.
A una e a
5 settimane dall'inizio del trattamento, i pazienti dei due bracci
avevano le arterie coronarie delle stesse dimensioni. In confronto ai
pazienti che ricevettero il placebo (oltre il trattamento di base), i
pazienti che ricevettero il metilprednisolone (oltre il trattamento
di base), presentarono un più corto periodo iniziale di
ospedalizzazione (P = 0,05) e, a 1 settimana dall'inizio, una più
bassa velocità di sedimentazione (P = 0,02) e la tendenza ad
avere un più basso livello di proteina C reattiva (P = 0,07).
Tuttavia
i due gruppo ebbero:
- Uno stesso numero complessivo di giorni di ospedalizzazione
- Uno stesso numero di giorni di febbre
- Una stessa percentuale di ritrattamento con Ig EV e
- Uno stesso numero di eventi avversi.
Gli
Autori concludono che i dati in loro possesso non forniscono supporto
all'aggiunta di una singola dose di metilprednisolone EV al
trattamento convenzionale con Ig EV e aspirina, per il trattamento
routinario iniziale dei bambini con malattia di Kawasaki.
Considerazioni
personali
Questa
pubblicazione è di rilievo per il numero dei pazienti studiati
e per la precisa e accurata metodica di esecuzione. Le conclusioni
sono altrettanto importanti: anche se è vero che alte dosi di
metilprednisolone EV accorciano la durata del periodo iniziale di
ospedalizzazione e accelerano qualche volte il ritorno alla normalità
delle prove della fase acuta, il numero totale dei giorni di febbre e
di ospedalizzazione non è diverso nei due gruppi di pazienti.
La
conclusione è che “una singola elevata dose di
metilprednisolone in vena, in aggiunta alla terapia standard, non è
indicato per il trattamento routinario iniziale di tutti i bambini
con malattia di Kawasaki”.
I bambini
con un alto rischio di resistenza alle immunoglobuline per via venosa
tuttavia possono beneficiare del trattamento con corticosteroidi,
come per esempio si verifica nei bambini con febbre persistente che
ricevettero il ri-trattamento con Ig in vena, nei quali l'evoluzione
delle lesioni coronariche fu migliore nel gruppo trattato con
metilprednisolone in vene, in confronto al gruppo trattato con
placebo. Tuttavia le difficoltà pratiche nell'identificare
inizialmente quei pazienti che non avranno una risposta alla
somministrazione delle Ig per via venosa, rappresentano un limite
all'uso iniziale del metilprednisolone EV .
Il
presente studio non esclude che altre modalità di
somministrazione del corticosteroide nel trattamento iniziale possano
risultare efficaci.
Continua
l'enigma della malattia di Kawasaki
Nello
stesso fascicolo del New Engl J Med c'è un
interessante articolo di revisione sull'eziopatogenesi della
malattia (Burns JC, The riddle of Kawasaki disdease, N Engl J Med
2007;356:659-61): in questo vengono discussi alcuni punti, che ci
permettono di approfondire le nostre conoscenze sulla malattia di
Kawasaki.
Il fatto
è che, dopo due generazioni di clinici e di ricercatori, non
sono stati ancora chiariti completamente alcuni enigmi di questa
malattia:
- Come considerare una malattia, di probabile origine infettiva, per la quale non è stato ancora trovato l'agente causale?
- Come considerare una malattia dovuta a una vasculite immuno-mediata, che non risponde in linea generale al trattamento con corticosteroidi?
- Come considerare una malattia benigna, autolimitantesi, che può essere causa di cardiopatie gravi nei bambini?
La
malattia di Kawasaki colpisce i bambini di tutte le etnie di tutto il
mondo, anche se sono state riscontrate delle evidenti influenze
genetiche: mentre in Giappone la malattia di Kawasaki raggiunge
un'incidenza di 175 casi su 100.000, per anno, in bambini al di
sotto dei 5 anni (cioè raggiunge una prevalenza di 1 bambino
con malattia di Kawasaki ogni 185 bambini giapponesi), negli Stati
Uniti la stima, in una popolazione multietnica, risulta di 20-25
bambini al di sotto dei 5 anni su 100.000. Ne deriva che negli Stati
Uniti durante il 2005 si sono avuti circa 5.000 nuovi casi di
malattia di Kawasaki.
Senza
tener conto delle diverse differenze etniche fra l'Italia e gli
Stati Uniti e valutando solo il numero dei nuovi nati per anno (negli
Stati Uniti nascono bambini con una frequenza 8 volte superiore a
quanto avviene in Italia, cioè 4 milioni di nuovi nati per
anno contro 550.000, nonostante che la popolazione sia solo 4 volte
superiore alla nostra: l'indice di fecondità per le donne
statunitensi è di 2,6 figli per donna, contro 1,33 delle donne
italiane) si può calcolare che ogni anno in Italia si
verifichino circa 600 nuovi casi di malattia di Kawasaki.
Purtroppo
non possediamo ancora una prova diagnostica per riconoscere questa
vasculite acuta da causa sconosciuta.
La
malattia inizia in modo improvviso con febbre: altri segni clinici
appaiono nel corso di molti giorni; essi includono:
- Iniezione congiuntivale senza essudato
- Eritema delle labbra, della lingua e della mucosa della bocca
- Esantema
- Edema ed eritema delle mani e dei piedi
- Linfoadenopatia cervicale in una minoranza di casi
Questi 5
segni + la febbre costituiscono i famosi 6 elementi sui quali si basa
ancora la diagnosi di malattia di Kawasaki. Al quadro clinico si
accompagna un'evidentissima risposta delle prove della fase acuta
con:
- Leucocitosi con neutrofilia
- Anemia normocitica
- Elevazione della VES
- Elevazione dei livelli di proteina C reattiva
- Aumento nel numero delle piastrine.
Gli
aneurismi delle coronarie si sviluppano nel 25% dei bambini non
trattati (un caso su quattro): essi possono portare col passare del
tempo a:
- Malattia ischemica di cuore
- Infarto
- Di rado morte
L'uso
delle Ig per via venosa ad alte dosi rappresenta una terapia efficace
e sicura, che riduce l'incidenza degli aneurismi delle arterie
coronarie, dimostrabili all'ecocardiografia, al 3-5%, contro il 25%
(Newburger JW, et al. N Engl J Med 1991, 324:1633-9; la
dottoressa Jane W Newburger è la stessa Autrice della
pubblicazione sull'uso del metilprednisolone a bolo. Lavora al
Dipartimento di Cardiologia del Children's Hospital di
Boston). Sul meccanismo di azione delle Ig si sta ancora discutendo.
Viene
usata anche l'aspirina: ad alte dosi inizialmente per il suo
effetto anti-infiammatorio e successivamente a basse dosi per
impedire che l'ipercoagulabilità del sangue e l'attivazione
delle piastrine contribuiscano al rischio di trombosi all'interno
delle arterie coronariche infiammate.
L'opera
del pediatra è resa difficile dal fatto che i segni e i
sintomi sopra riportati non compaiono tutti contemporaneamente, per
cui già qualche anno fa venne ritenuto che la diagnosi di
malattia di Kawasaki poteva essere posta anche in bambini con forma
cliniche incomplete (con solo due o tre dei 6 sintomi basilari)
perché anche in questi si poteva manifestare la lesione
coronarica. Difficoltà sorgono anche nella diagnosi
differenziale perché la malattia di Kawasaki simula altre
malattie infettive acute e deve essere differenziata da malattie
streptococciche o stafilococciche, tossina-mediate o da infezioni da
Adenovirus e da Enterovirus.

La
mancanza di un modello animale rende difficili gli studi di
fisiopatologia della malattia di Kawasaki, come anche per la
difficoltà di ottenere campioni dei tessuti colpiti in
soggetti vivi e la scarsezza dei campioni di tessuto, ottenuti nelle
autopsie.
La
caratteristica dell'arterite è che sono presenti lesioni in
vario grado di sviluppo nello stesso paziente in un determinato
momento. Le modificazioni più precoci si vedono a carico
dell'endotelio delle arterie muscolo-elastiche, mentre le lesioni
più avanzate mostrano edema e infiltrati di cellule
infiammatorie negli spazi subendoteliali. Queste modificazioni
progrediscono fino a portare a distruzione della tunica media e la
sostituzione dell'intima e della media con tessuto connettivo
fibroso: l'assottigliamernto della media porta alla formazione di
aneurismi, alle cicatrici e alle stenosi. La rottura di un'arteria
coronaria è estremamente rara, ma può avvenire durante
lo stadio subacuto della malattia. La proliferazione dell'intima e
la stenosi avvengono in un periodo di tempo che va da mesi ad anni:
queste lesioni possono rimanere silenti fino al momento
dell'occlusione trombotica acuta, anche dopo decenni dalla malattia
acuta.
L'ecocardiografia
rappresenta un esame essenziale nel decorso della malattia di
Kawasaki; la presenza di lesioni, anche minime, a carico delle
arterie coronarie può aiutare nella fase diagnostica, come è
essenziale nello studio successivo della valutazione
dell'interessamento cardiaco.
Il
destino dei bambini che non hanno alla ecocardfiografia segni di
lesioni alle arterie coronarie durante la fase acuta della malattia,
è incerto. Autopsie, seguite in bambini o in giovani adulti,
che avevano un ecocardiogramma normale al momento della malattia di
Kawasaki e che erano morti, molti anni più tardi, per cause
non in relazione con la malattia, hanno mostrato un ispessimento
dell'intima e fibrosi della media, insieme a varie cicatrici del
miocardio.
La
corrente raccomandazione dell'American Heart Association è
di seguire tutti i pazienti che hanno avuto malattia di Kawasaki,
monitorando l'ischemia miocardia, l'insufficienza valvolare, la
dislipidemia e l'ipertensione (sempre Newburger JW, et al.Circulation 2004;110:2747-71).
Durante
40 anni le ricerche per studiare l'agente causale hanno fornito una
lunga lista di patogeni, successivamente sempre scartati. Anche gli
studi sui superantigeni non sono stati confermati. Recenti studi
suggeriscono la presenza di una risposta anticorpale oligoclonale
verso un antigene convenzionale.
Migliori
conoscenze sulle lesioni cardiache della malattia di Kawasaki offrono
l'unica opportunità di studiare le lesioni acute delle
cellule endoteliali, la formazioni degli aneurismi e il
rimodellamento delle pareti vascolari nei giovani bambini, prima che
intervengano le lesioni metaboliche. Solo studi multicentrici,
collaborativi, come quello sopra riportato, potranno offrire delle
risposte sicure alla numerose domande, rimaste ancora senza risposta.
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