Rivista di formazione e aggiornamento di pediatri e medici operanti sul territorio e in ospedale. Fondata nel 1982, in collaborazione con l'Associazione Culturale Pediatri.
Giugno 2012 - Volume XV - numero 6
M&B Pagine Elettroniche
Caso contributivo
Complicanze
addominali dello shunt ventricolo-peritoneale
1Clinica
Pediatrica, Università degli Studi di Trieste, IRCCS
Pediatrico “Burlo Garofolo”, Trieste
2Pediatrica d’Urgenza e Pronto Soccorso, IRCCS Pediatrico “Burlo Garofolo”, Trieste
2Pediatrica d’Urgenza e Pronto Soccorso, IRCCS Pediatrico “Burlo Garofolo”, Trieste
Indirizzo
per corrispondenza: elisazanelli@hotmail.it
Ventriculo-peritoneal
shunt and abdominal complications
Key
words Hydrocephalus,
Ventriculo-peritoneal shunt, Abdominal complication, External
ventricular drainage, Antibiotherapy
Abstract
Ventriculo-peritoneal
shunting remains the most widely used neurosurgical procedure for
the management of hydrocephalus. Intraabdominal complications
after its insertion are frequently located near the peritoneal
end of the shunt catheter, causing shunt dysfunction and
intracranial hypertesion.
The
most common complications of ventriculo-peritoneal shunt are
infections, malfunction due to blockage, disconnection and
migration, which occur with symptoms such as fever, lethargy,
irritability, and vomiting. Signs of a possible complication
should be early identified because it can cause permanent brain
damage. Initial treatment always includes immediate shunt removal
and externalized ventricular drainage; if infection is found
intravenous antibiotics are mandatory. |
La
derivazione ventricolo-peritoneale è una delle tecniche
neurochirurgiche più utilizzate per il trattamento
dell’idrocefalo.
Nella
maggior parte dei casi le complicanze addominali legate al suo
posizionamento sono localizzate a livello dell’estremità
peritoneale dello shunt, causando malfunzionamento dello stesso e
ipertensione endocranica.
Le
complicanze più frequenti sono le infezioni, l’ostruzione,
la disconnessione del sistema stesso e la migrazione dell’estremità
distale che si presentano con febbre, letargia, irritabilità e
vomito.
È
essenziale riconoscere precocemente i segni di una possibile
complicanza in quanto può causare danni cerebrali permanenti.
Il
trattamento iniziale prevede sempre la rimozione immediata dello
shunt e il posizionamento di una derivazione ventricolare esterna; in
caso di infezione è raccomandata la terapia antibiotica
endovenosa.
La
Derivazione Ventricolo-Peritoneale (DVP) è una delle
tecniche neurochirurgiche più utilizzate per la gestione
dell’idrocefalo ostruttivo.
Tale
procedura mira a drenare il liquor presente in eccesso, da ostacolato
deflusso e ridotto riassorbimento, in direzione di una cavità
sierosa, in questo caso il peritoneo, dalla quale potrà
successivamente essere riassorbito. In alternativa alla cavità
peritoneale il liquor può essere drenato nell’atrio
cardiaco, più di rado nella cavità pleurica, ma
entrambe queste opzioni sono utilizzate molto meno frequentemente
della ventricolo-peritoneale.
Tutti i
sistemi di derivazione sono forniti di una valvola che consente il
deflusso del liquor in una sola direzione e la cui apertura avviene a
un determinato gradiente pressorio.
L’uso
delle derivazioni ha reso l’idrocefalo una delle patologie
neurologiche suscettibile di trattamento chirurgico e quindi
reversibile, tuttavia non permette di curarla definitivamente:
l’idrocefalo infatti è una condizione che, eccetto in
rari casi, perdura per tutta la vita, con rischio di complicanze che
devono mantenere in allarme i genitori.
Lo
svantaggio di questo tipo di procedura è legato al fatto che
spesso i sistemi di derivazione vanno incontro a malfunzionamento e
pertanto si rende necessaria la loro sostituzione; inoltre gli shunts
impiantati in età infantile devono essere sempre revisionati
in relazione allo sviluppo staturale e ponderale dei bambini.
Oltre
alle derivazioni liquorali, la chirurgia dell’idrocefalo si
avvale da qualche anno di una tecnica endoscopica: la
Terzo-Ventriculo-Cisternostomia, procedura mininvasiva che consente
di creare una via alternativa di deflusso del liquor internamente al
cervello stesso. Questo tipo di intervento non richiede l’impianto
di sistemi protesici o valvolari di nessun tipo, per tale ragione una
volta effettuato con successo il paziente può dirsi guarito;
tale metodica però può essere utilizzata solo in
pazienti selezionati.
Nella
gran parte dei casi le complicanze da derivazione si manifestano con
sintomatologia a carico del SNC (ipertensione endocranica,
infezione...). Più raramente si estrinsecano con patologia
addominale.
Casi
clinici
J. è
una bambina di 10 anni, portatrice di derivazione
ventricolo-peritoneale a seguito di un’encefalopatia
ipossico-ischemica neonatale da sofferenza secondaria a pneumotorace.
All’età
di 8 anni viene sottoposta a un intervento chirurgico per rottura del
tragitto esterno dello shunt ventricolo-peritoneale con conseguente
riposizionamento di un nuovo sistema di drenaggio senza la necessità
di intervento sulla derivazione intracranica.
A
distanza di un anno viene ricoverata per la comparsa di una
sintomatologia caratterizzata da febbre elevata e distensione
addominale in assenza di disturbi della canalizzazione e con quadro
clinico neurologico pressoché invariato.
Gli
accertamenti eseguiti mostrano importante rialzo degli indici di
flogosi (VES 95 mm/h e PCR 25 mg/l), con lieve leucocitosi (globuli
bianchi 10.970/mm3)
e marcata piastrinosi (753.000/mm3),
non si rilevano però indici di compromissione della
funzionalità epatica o renale.
L’ecografia
addominale mostra un abbondante versamento addominale senza segni di
coinvolgimento epatico o renale e la laparoscopia esplorativa
definisce un quadro di ascite-peritonite con esclusione di lesioni
intestinali primitive.
Si rende
necessario dunque un drenaggio immediato della cavità
peritoneale che consente l’aspirazione di circa 2,5 litri di
essudato, risultato in seguito positivo alla coltura per enterococco.
Si
provvede ad avviare una terapia antibiotica tempestiva con
teicoplanina e unasyn, in aggiunta ad albumina e aldactone, che
consentono un miglioramento delle condizioni cliniche della bambina;
tuttavia solo il successivo intervento di sostituzione del drenaggio
porterà ad una guarigione completa.
In
conclusione la diagnosi è quella di un’infezione
primitiva del sistema di drenaggio ventricolo-peritoneale con
conseguente malfunzionamento dello stesso.
E.
è un bambino di 4 anni con idrocefalo congenito e portatore di
derivazione ventricolo-peritoneale.
Il quadro
clinico in questo caso esordisce con febbre elevata (fino a 39 °C),
dolore addominale intenso associato a vomito e diarrea e una
progressiva compromissione del sensorio.
I
risultati di laboratorio rilevano una marcata leucocitosi neutrofila
(globuli bianchi 23.680/mm3,
neutrofili 16.500/mm3)
e incremento degli indici di flogosi (VES 14 mm/h; PCR 16.85 mg/l).
Viene
dunque sottoposto ad una TC encefalo che esclude segni di idrocefalo
iperteso e a una ecografia e una TC addominale che mostrano la
presenza di una formazione cistica plurisettata di circa 7 x 5 x 3 cm
all’estremità distale del sistema di derivazione,
riferibile a raccolta liquorale (Figura
1).
Si
decide quindi di intervenire con laparoscopiaesplorativa che rileva un quadro
compatibile con appendicite acuta flemmonosa, per cui si rende
necessaria appendicectomia. In quell’occasione inoltre si
effettua una revisione del sistema di drenaggio che appare pervio e
ben funzionante, motivo per il quale si decide di lasciarlo in sede.
Di fatto
però le condizioni generali del bambino non migliorano, anzi
nei giorni seguenti si rileva una maggiore compromissione neurologica
e la comparsa di vomiti.
Il
bambino viene sottoposto ad un’ulteriore ecografia addominale
(Figura 2)
che mostra la presenza di una formazione ovalare a parete spessa in
sede sopravescicale, compatibile con una raccolta saccata e nella
quale si riconosce l’estremità distale della derivazione
ventricolo-peritoneale.
Si rende
necessario quindi un intervento di sostituzione del sistema di
drenaggio e l’analisi microbiologica della punta del catetere
addominale e ventricolare per la pianificazione di una terapia
mirata.
Solo dopo
l’intervento e l’avvio della terapia specifica le
condizioni cliniche del bambino sono andate migliorando; il decorso
postoperatorio è stato scevro da complicanze con
negativizzazione degli esami.

Figura
1. TC assiale: formazione
cistica ovalare in sede sovravescicale contenente l’estremità
distale del catetere.

Figura
2. Ecografia:
formazione ovalare anecogena a parete spessa, in sede paramediana
destra sovravescicale.
I
sistemi di derivazione ventricolo peritoneale sono spesso associati
ad una serie di complicanze addominali come il malfunzionamento o la
disconnessione del sistema stesso con possibile migrazione del
catetere distale e/o perforazione di visceri, le infezioni tra cui
appendiciti e peritoniti, la formazione di pseudocisti e lo sviluppo
di ascite1.
I segni
di una possibile complicanza devono essere individuati e trattati
precocemente in quanto possono causare danni cerebrali permanenti.
Il
malfunzionamento dello shunt ventricolo-peritoneale dopo il
posizionamento iniziale, si verifica nel 25-35% dei casi entro 12
mesi2.
Circa il 70-80% dei bambini necessita di almeno una revisione nel
corso degli anni in relazione alla crescita staturo-ponderale e alla
possibilità di rottura e dislocazione dell’impianto3.
L’infezione
è la complicanza più frequente, soprattutto nei bambini
di età superiore ai 2 anni e correla con un maggior grado di
morbilità e mortalità4.
L’agente
eziologico maggiormente coinvolto è lo Staphylococcus
aureus (65% dei casi), seguito da
batteri Gram -, in particolare Escherichia coli, mentre rare sono le
infezioni fungine, perlopiù da Candida
albicans (1% dei casi)5.
Quadri
clinici di appendicite e/o peritonite non sono rari nei portatori di
derivazioni ventricolo-peritoneali, soprattutto nei bambini più
grandicelli; l’incidenza di peritonite successiva all’impianto
di shunt varia dall’8% al 12%6,7.
Da
alcuni studi emerge inoltre che i pazienti con shunt
ventricolo-peritoneale possono essere predisposti a sviluppare una
peritonite batterica spontanea, in quanto il liquido spinale può
comportarsi come un fluido ascitico anche in assenza di accumulo
peritoneale8.
La
pseudocisti costituisce una complicanza insolita con un’incidenza
inferiore al 1,0-4,5% e, fino a prova contraria, deve essere
considerata secondaria a infezione; nell’80% dei casi infatti
la sua formazione è attribuibile a un agente infettivo3.
Le cisti
liquorali peritoneali possono con relativa frequenza complicarsi per
il sopravvenire di situazioni flogistiche acute endoperitoneali
(appendicite acuta) o perforative da decubito del catetere; tali
complicanze richiedono subito un trattamento mirato in urgenza con
eventuale derivazione liquorale esterna e/o riposizionamento del
drenaggio in peritoneo o in atrio destro.
Un’altra
possibile complicanza è la perforazione di visceri addominali,
soprattutto quella intestinale; si tratta tuttavia di un’entità
piuttosto rara che si verifica in meno dello 0,1-0,7% dei casi e che
può presentarsi immediatamente dopo il posizionamento dello
shunt ma anche a distanza di mesi o anni3.
La
diagnosi precoce di una complicanza del sistema di derivazione è
il miglior modo per prevenire la possibilità di danni
cerebrali.
Il
malfunzionamento di uno shunt sarà caratterizzato da segni
diretti e indiretti di ipertensione endocranica e/o di infezione
(febbre, letargia, irritabilità, vomito).
Oltre
alla clinica, le tecniche di imaging rivestono un ruolo cruciale in
questo senso; le più utilizzate sono la radiografia,
l’ecografia ma soprattutto la TAC e la RMN.
Preliminare
a tutto è la verifica del corretto funzionamento di ogni
componente del sistema di derivazione, nonché un accurato
inquadramento diagnostico di una possibile infezione, confermata
dalle indagini microbiologiche.
Nell’eventualità
di un’infezione, oltre all’avvio immediato di una terapia
antibiotica specifica, è necessario ricorrere a una
derivazione ventricolare esterna, collegata a una sacca di raccolta
esterna del liquor per risterilizzarlo e successivamente all’impianto
di un nuovo shunt.
Nei casi
di ipertensione endocranica acuta è anzitutto opportuno
mettere in atto una derivazione esterna e in seguito effettuare una
revisione e un riposizionamento dello shunt.
In
conclusione è importante riconoscere segni e sintomi di
malfunzionamento o infezione della derivazione e sottoporre questi
bambini a periodiche valutazioni di pediatri, neuropediatri e
neurochirurghi.
- Popa F, Grigorean VT, Onose G, Popescu M, Strambu v, Sandu AM.
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