Rivista di formazione e aggiornamento di pediatri e medici operanti sul territorio e in ospedale. Fondata nel 1982, in collaborazione con l'Associazione Culturale Pediatri.
Marzo 2001 - Volume IV - numero 3
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Marzo 2001 - Volume IV - numero 3
M&B Pagine Elettroniche
Avanzi
Novità,
riflessioni, contributi e proposte,
Si è
sempre pensato che l'aumento nell'incidenza di ceppi resistenti agli
antibiotici sia legato a un incontrollato uso di questi farmaci nella
popolazione: questo concetto vale anche per la recente comparsa di
ceppi di pneumococco resistenti alla penicillina. Tuttavia una sicura
dimostrazione di questo legame ci consolida ulteriormente in questa
convinzione. Per anni in Svezia l'incidenza dei ceppi di pneumococco
resistenti alla penicillina (uguale o superiore a 0,12 mg/L) ha
variato fra il 3 e il 5%. Ma a Malmohus, nel sud della Svezia, la
percentuale di ceppi resistenti ha superato largamente il 10%
(Melander E et al., Pediatr Infect Dis J 2000, 19:1172-7): in
una accurata ricerca condotta nella popolazione al di sotto dei 6
anni, abitante in questa area, è stata trovata una
significativa correlazione fra l'uso di antibiotici e la proporzione
di ceppi resistenti di pneumococco (p = 0,002). Analizzando il
consumo di cotrimossazolo, di amoxicillina, di macrolidi e di
cefalosporine la significatività ha raggiunto lo 0,001.
Circa 30
anni fa venne isolato dal latte di donna il citomegalovirus (CMV):
d'altra parte molti studi hanno dimostrato la possibilità di
acquisire l'infezione postnatale attraverso questa via. Mentre
l'infezione postatale non dà in generale nel nato a termine
manifestazioni cliniche, quando essa avvenga in un soggetto nato da
parto prematuro possono manifestarsi una polmonite, una neutropenia
con linfocitosi, trombocitopenia ed epato-splenomegalia. In una
ricerca sull'argomento è stato osservato che di 69 madri
siero-negative, che avevano avuto un parto pretermine, nessuna
eliminava il CMV nel proprio latte, mentre nel 96% delle donne
siero-positive ci fu una riattivazione dell'infezione da CMV e molte
di loro presentavano il DNA del CMV nel proprio latte, già
pochi giorni dopo il parto (Hamprecht K et al., Lancet 2001,
357:513-8). La percentuale di trasmissione al neonato pretermine
fu del 37%; il tempo d'incubazione nel neonato fu lungo, con una
media di 42 giorni. Circa il 50% dei lattanti infetti rimase senza
sintomi, ma fra gli altri 4 ebbero un quadro di tipo settico. Viene
concluso che l'allattamento al seno rappresenta una fonte d'infezione
postnatale, che nel pretermine può essere all'origine di forme
altamente sintomatiche.
Nell'uomo
la sudorazione è una risposta fisiologica al calore e
all'esercizio: essa fa parte della termoregolazione e ha lo scopo,
con la successiva evaporazione, di abbassare la temperatura cutanea.
Ma a volte l'eccesso di sudorazione (detta iperidrosi primaria) è
un fenomeno incontrollabile che si manifesta senza una causa
evidente: più spesso esso si manifesta alle ascelle, alle
palme delle mani e alla pianta dei piedi. I pazienti che ne soffrono
vanno incontro a macerazione cutanea e a infezioni microbiche
secondarie: i loro vestiti appaiono fradici, specialmente alle
ascelle e chi ne soffre viene socialmente stigmatizzato. Quasi tutti
gli interventi terapeutici sono stati deludenti. Oggi con la
somministrazione della tossina A del botulino il problema sembra
risolto (Heckmann M et al., N Engl J Med 2001, 344:488-93).
145 pazienti con iperidrosi alle ascelle, che producevano più
di 50 mg di sudore per minuto, hanno ricevuto la tossina A del
botulino (200 U) iniettata in u'ascella, mentre nell'altra veniva
usato il placebo, con una modalità a doppio cieco. Dopo 14
giorni nell'ascella nella quale era stato iniettato il placebo venne
somministrata la tossina botulinica (100 U). La sudorazione venne
valutata con un metodo gravimetrico. Quali risultati? Nell'ascella
nella quale era stata iniettata la tossina, la quantità di
sudore fu di 24 mg per minuto (con un'amplissima DS) e nell'altra
ascella, trattata con placebo fu di 144 mg per minuto, con un p <001.
Il risultato fu simile dopo la seconda somministrazione nell'ascella
che aveva ricevuto il placebo. Viene concluso che l'uso della tossina
A botulinica è efficace e sicuro, come terapia perla grave
iperidrosi dell'ascella.
Alcuni
studi hanno suggerito una correlazione tra il colore scuro degli
occhi ed un minor rischio di sviluppare sordità sia in seguito
all'esposizione a sostanze ototossiche come il cisplatino sia al
rumore. La spiegazione di questo fenomeno starebbe in un effetto
protettivo della melanina cocleare, più abbondante nei
soggetti con gli occhi scuri.
Un recente lavoro inglese, pubblicato sul British Medical Journal (BMJ 2001;322:587) ha indagato l'applicabilità di questo fattore prognostico anche per la perdita di udito che può complicare le meningiti batteriche. I risultati mostrano che mentre nei soggetti con sordità non dovuta a meningite la percentuale di soggetti con occhi chiari era ampiamente maggiore (riflettendo la composizione della popolazione inglese), solo 2 dei 32 soggetti che avevano sviluppato sordità in seguito ad una meningite avevano gli occhi scuri. I soggetti con occhi chiari avrebbero, in base a questi dati, un rischio 5.8 volte più elevato dei soggetti con occhi scuri di sviluppare sordità dopo una meningite.
Tuttavia bisogna tener conto che lo studio è stato effettuato in una regione dove i soggetti con occhi scuri sono per lo più asiatici (soprattutto indiani) e non vengono forniti dati epidemiologici riguardo l'incidenza di meningite nei diversi gruppi etnici.
Un recente lavoro inglese, pubblicato sul British Medical Journal (BMJ 2001;322:587) ha indagato l'applicabilità di questo fattore prognostico anche per la perdita di udito che può complicare le meningiti batteriche. I risultati mostrano che mentre nei soggetti con sordità non dovuta a meningite la percentuale di soggetti con occhi chiari era ampiamente maggiore (riflettendo la composizione della popolazione inglese), solo 2 dei 32 soggetti che avevano sviluppato sordità in seguito ad una meningite avevano gli occhi scuri. I soggetti con occhi chiari avrebbero, in base a questi dati, un rischio 5.8 volte più elevato dei soggetti con occhi scuri di sviluppare sordità dopo una meningite.
Tuttavia bisogna tener conto che lo studio è stato effettuato in una regione dove i soggetti con occhi scuri sono per lo più asiatici (soprattutto indiani) e non vengono forniti dati epidemiologici riguardo l'incidenza di meningite nei diversi gruppi etnici.
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