Rivista di formazione e aggiornamento di pediatri e medici operanti sul territorio e in ospedale. Fondata nel 1982, in collaborazione con l'Associazione Culturale Pediatri.
Gennaio 2006 - Volume IX - numero 1
M&B Pagine Elettroniche
Appunti di Terapia
Il
Natalizumab nel trattamento della malattia di Crohn
Membro
della commissione nazionale vaccini
Indirizzo
per corrispondenza:bartolozzi@unifi.it
Nella
patogenesi del morbo di Crohn assume un ruolo essenziale il
reclutamento persistente dei leucociti all'interno della parete
intestinale, come conseguenza del processo infiammatorio.
Il
natalizumab (in commercio con il nome di Tysabri della Elan
Pharmaceuticals and Biogen Idec) è un anticorpo monoclonale
umanizzato IgG4 che blocca l'adesione e la successiva migrazione
dei leucociti nell'intestino, legandosi all'integrina α4;
esso è un membro di una nuova classe di molecole, che viene
indicata come “inibitori selettivi delle molecole di adesione”.
I primi
studi hanno dimostrato che il Natalizumab può essere efficace
nel trattamento del morbo di Crohn in fase attiva.
In uno
studio multicentrico, al quale hanno partecipato ricercatori
francesi, canadesi, statunitensi, australiani, tedeschi e belgi, sono
state condotte due ricerche per valutare il natalizumab nel
trattamento del morbo di Crohn attivo, sia nella fase induttoria che
come mantenimento (Sandborn WJ, Colombel JF, Enns E et al.,
Natalizumab induction and maintenance therapy for Crohn's disease.
N Engl J Med 2005; 353:1912-25).
Nella
prima esperienza 950 pazienti sono stati assegnati a caso:
- a ricevere 300 mg di natalizumab a 0, 4 e 8 settimane
- o partecipare al gruppo placebo
Il primo
obiettivo fu la valutazione della risposta favorevole, definita come
una riduzione di almeno 70 punti dell'Indice di Attività
della Malattia di Crohn (CDAI) alla 10° settimana.
Nella
seconda fase, i 339 pazienti che avevano risposto al natalizumab
vennero rassegnati a caso:
- a ricevere 300 mg di natalizumab ogni 4 settimane per 56 settimane
- o a partecipare al gruppo placebo
L'obiettivo
secondario in ambedue le prove fu la remissione della malattia (uno
score CDAI inferiore a 150).
Nella
prima fase il gruppo natalizumab e il placebo ebbero simili
percentuali di risposta (56 e 49% rispettivamente con un P = 0,05) e
remissioni (37 e 30% rispettivamente con un P = 0.12) alla 10°
settimana. Continuando il natalizumab nella seconda fase, venne
osservata una maggiore percentuale di risposte favorevoli durature
(61% contro 28%, P <0,001) e remissioni (44% contro 26%, P=0,003),
alla 36° settimana.
Gravi
effetti collaterali si sono osservati nel 7% di ogni gruppo nella
prima fase, e nel 10% nel placebo e nell'8% nel gruppo natalizumab,
durante la seconda fase. Un paziente trattato con natalizumab morì
per una leucoencefalopatia multifocale progressiva, associata con il
virus JC, un poliomavirus umano.
Concludendo,
nell'induzione della remissione della malattia di Crohn, il
natalizumab ha dimostrato miglioramenti di lieve entità e non
significativi. I pazienti che hanno risposto hanno una maggiore
probabilità di risposte prolungate, quando il natalizumab
venne usato ogni 4 settimane. Secondo gli autori è necessario
valutare i benefici del natalizumab rispetto ai rischi di gravi
eventi avversi, inclusa la leucoencefalopatia multifocale
progressiva.
Casi
simili di leucoencefalopatia multifocale progressiva sono stati
infatti descritti altre volte in seguito all'uso prolungato di
natalizumab anche per malattie diverse dalla malattia di Crohn
(astrocitoma, sclerosi multipla e altre) (Van Assche et al, NEJM
2005:362-8; Kleinschmidt BK et al. NEJM 2005:369-74; Langer-Gould et
al., NEJM 2005, 353:375-81).
Questo
insieme di casi suggerisce che la terapia con l'anti-integrina ?4
può determinare una leucoencefalopatia multifocale
progressiva, un'infezione virale opportunista, indotta dal virus
JC; la malattia è risultata molto spesso mortale, ma in un
caso è stato osservato un miglioramento dopo trattamento con
citarabina.
Da quanto
sopra esposto risulta evidente che nell'utilizzo dei nuovi farmaci
biologici (natalizumab, infliximab ed etanercept) è necessario
valutare accuratamente le eventuali conseguenze che essi possono
determinare in seguito a un certo grado d'immunodeficienza, con
aumento del rischio d'infezioni opportunistiche.
In
particolare è risultato evidente l'aumento del rischio per
alcune infezioni opportunistiche e non per altre: sono
particolarmente associate le vecchie infezioni tubercolari e altre
patologie infettive da agenti intracellulari. Come abbiamo visto,
studi con il natalizumab hanno messo in evidenza la necessità
del controllo immune del virus JC, un poliomavirus umano quasi
uniubiquitario: circa l'80% della popolazione umana è
infatti infettata da questo virus; il virus viene incontrato durante
l'infanzia e persiste in forma latente nell'epitelio del tratto
gastro-intestinale e nel rene, per tutta la vita. L'attivazione del
virus latente e la sua successiva disseminazione può portare
alla leucoencefalopatia multifocale progressiva.
Mentre in
un primo tempo, secondo le esperienze acquisite in pazienti affetti
da AIDS, si pensava che la disseminazione fosse legata a una caduta
dell'attività delle cellule T, dopo quanto è accaduto
nei pazienti con morbo di Crohn, trattati con un farmaco
anti-integrina, si pensa che le vie immunitarie integrina-dipendenti
siano altrettanto importanti per mantenere il virus JC in forma
latente.
Sono
necessari ulteriori studi per stabilire il bilancio tra i rischi ed i
benefici nell'uso del natalizumab nel morbo di Crohn (Podolsky
DK, NEJM 2005, 353:1965-7).
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