giovedì, 15 Settembre 2011, ore 12:19
Ho visto alla televisione quella che, fino a poco fa, consideravo la spiaggia più bella del mondo; e che ancora considero tale, incastonata nella mia memoria e paragonata a tutte le spiagge che ho visto nella mia lunga vita, ai Caraibi, a Tahiti, in Brasile, alle Hawaii, nella stessa Sardegna. Si. è una spiaggia della Sardegna, sta vicino a Stintino, all’ombra di Capo Falcone, in fronte all’Asinara e all’Isola Piana. Una spiaggia non grande, bianca, con un po’ di polvere di corallo ai margini, tra il Golfo dell’Asinara e il Mare di Fuori; si chiama, così la chiamavano i pescatori, “La Pelosa”, con un chiaro riferimento al “nido d’amore” femminile. Il fondo del mare, attorno alla spiaggia, per leghe e leghe è bianchissimo: le correnti vi hanno accumulato una splendida sabbia di diatomee, interrotta da rare radure di tenere alghe. Nascosti nella sabbia dormono (dormivano!), sul fianco, degli splendidi e rari pesci colorati, dalla livrea principesca e dalla carne squisita (sì, li pescavo, confesso, sembrava allora giusto e innocente, oggi sembrerebbe una rapina, ma credo proprio che non ce ne sia più la materia: era una pesca non facile, e la preda era “privilegiata”, un vanto; hanno –avevano- due dentini che venivano fuori da sotto il labbro superiore, e per questo li chiamano -chiamavano- “li sorighi”, i sorci). Il sole che batteva sul fondo bianchissimo e si riverberava in alto, passando, attraversava in andata e nel ritorno l’acqua fredda del mare, limpida, splendente, e questo passaggio ne colorava i raggi riflessi di un verde diffuso. Quando, con la barca, si arrivava su quei fondali, sembrava di essere immersi in uno smeraldo: tutto era smeraldo, luminoso, i gabbiani in volo, la vela, lo scafo, noi, i nostri visi, tutto.
L’ho rivista, La Pelosa, alla televisione, assieme alla notizia che era stato fermato un turista che cercava di portarsi via, a casa sua, come se fosse un pezzo di paradiso, cinque chili di quella sabbia. Gli ombrelloni blu la coprivano tutta, fitti, fino a riva (in una mia vecchia foto c’è un solo ombrellone il mio, con sotto mio figlio bambino). Sotto gli ombrelloni carne, carne, carne. Nemmeno più si vedeva, nemmeno più c’era, la Pelosa.
Certo, ai miei tempi non la godevano in molti: i pescatori, le mogli, qualche “bagnante” (qualche “signore” di Sassari) che passava con la famiglia una rustica vacanza a Stintino, considerata e battezzata “una dimensione dello spirito”. Certo, qualcosa di “esclusivo”, quindi di snob. Era giusto? come faccio a saperlo, era, appunto, un’altra dimensione, il tempo di un’Italia povera, poverissima, dove i pescatori facevano i pescatori e i contadini facevano i contadini. È più giusto adesso? È più giusto. ma molto più infelice. Meno felice, temo, anche per quelle famiglie già povere, oggi non più, che una volta pescavano e adesso non so cosa fanno, affittano, o vendono, o hanno venduto. Ma non voglio, è contro la mia “filosofia” rimpiangere il passato, quel passato. Ma che quella gemma, quella bellezza, La Pelosa, e il resto, la solitudine, lo splendore del mare, non ci sia più, per nessuno, sia stata violentata, rapinata, divorata, digerita, sputtanata, questo mi sembra insopportabile. Ma è così di tante delle bellezze, monti, mari, colline, paesi, città, che hanno rallegrato la mia giovinezza. Ridotte a puttane. Povere puttane, chissà perché le chiamo così, anche le povere puttane. Vittime, anche loro, di quell’avidità che sembra ci arricchisca e che invece ci spoglia.