Il Blog del prof. Panizon

Qualcosa di guasto
giovedì, 22 Settembre 2011, ore 10:28
Sì, pare proprio che ci sia qualcosa di guasto. Sarà l’eredità di caino, sarà quel tanto di cattiveria che ha consentito all’uomo di arrivare trionfante (ma che sanguinoso trionfo) fino a quest’oggi, fatto sta che non si arriva mai a un equilibrio; a un equilibrio, in questo caso, tra l’inevitabilità dell’errore medico e la ferocia nella sua persecuzione, tra il bisogno di fiducia reciproca, il bisogno di aiutare, l’inevitabilità dell’errore, la punizione per chi sbaglia, e un feroce desiderio di rivalsa, che maschera, alla fine , un’avidità che fa parte, appunto, dell’uomo. Perché l’uomo sembra fatto anche per questo, per essere sempre in equilibrio instabile, proiettato in questa o in quella avventura dello spirito, e magari fosse soltanto dello spirito, spinto sempre dal fuoco dopaminico dell’insoddisfazione. Quante chiacchiere (mie). Fatto sta che non è lontana l’epoca della diagnosi fatta a macchina e della terapia fatta a macchina, e della fine della medicina umana.
E chissà perché Paola Bortolazzo detesta la medicina preventiva. Nemmeno questa è una presa di posizione ovvia. Occuparsi TROPPO di sé, di quello che si sarà tra trent’anni, quaranta, cinquanta, del tumore che prima o poi salterà fuori da qualche parte del nostro corpo, oppure dell’ictus che ci paralizzerà, o dell’Alzheimer, o di qualunque altro dei guai che la coppia genetica-ambiente ha in serbo per ciascuno di noi come antipasto alla morte, farsi i check-up periodici sulla salute, è già un antipasto dell’antipasto alla morte; è un impaccio alla vita che è fatta per essere vissuta, e poi concludersi e morire. Una morte che difficilmente la medicina preventiva sposterà in là e, anche se la spostasse davvero, non è detto che questo sia bene per l’uomo. E tuttavia anche qui esiste un problema di equilibrio, e forse anche di definizione. È fare medicina preventiva raccomandare qualcosa che assomigli a una “vita sana”? Perché questo è, alla fine delle fini quello a cui si riduce molta parte dell’intervento del pediatra: non mangiare troppo, non ingrassare (possibilmente), non fumare, bere senza avvinazzarsi, muoversi un po’, prendere un po’ di vitamina D sono, in fondo, soltanto indicazioni che si rifanno al modello di vita per la quale l’uomo era stato costruito, qualcosa come tra alcuni milioni e alcune centinaia di migliaia di anni fa. Un modello dal quale il Progresso ci ha allontanato, allungando la nostra vita nello stesso tempo in cui ha aumentato le trappole alla sua continuazione.
Vero è che non siamo tutti eguali, e che qualcuno ha bisogno di trovare, di trovarsi, o di dare, e di darsi, più sicurezze di un altro. Vero è anche che nessuna malattia può essere “prevenuta”, si tratta semmai di evitare quelle devianze che sono, quelle sì, causa di malattia.
(Ah si, dimenticavo i vaccini, quelli fanno ormai parte della nostra quotidianità; ma anche lì, adesso, mi sembra che si voglia un po’ esagerare).
Vista alla tele
giovedì, 15 Settembre 2011, ore 12:19
Ho visto alla televisione quella che, fino a poco fa, consideravo la spiaggia più bella del mondo; e che ancora considero tale, incastonata nella mia memoria e paragonata a tutte le spiagge che ho visto nella mia lunga vita, ai Caraibi, a Tahiti, in Brasile, alle Hawaii, nella stessa Sardegna. Si. è una spiaggia della Sardegna, sta vicino a Stintino, all’ombra di Capo Falcone, in fronte all’Asinara e all’Isola Piana. Una spiaggia non grande, bianca, con un po’ di polvere di corallo ai margini, tra il Golfo dell’Asinara e il Mare di Fuori; si chiama, così la chiamavano i pescatori, “La Pelosa”, con un chiaro riferimento al “nido d’amore” femminile. Il fondo del mare, attorno alla spiaggia, per leghe e leghe è bianchissimo: le correnti vi hanno accumulato una splendida sabbia di diatomee, interrotta da rare radure di tenere alghe. Nascosti nella sabbia dormono (dormivano!), sul fianco, degli splendidi e rari pesci colorati, dalla livrea principesca e dalla carne squisita (sì, li pescavo, confesso, sembrava allora giusto e innocente, oggi sembrerebbe una rapina, ma credo proprio che non ce ne sia più la materia: era una pesca non facile, e la preda era “privilegiata”, un vanto; hanno –avevano- due dentini che venivano fuori da sotto il labbro superiore, e per questo li chiamano -chiamavano- “li sorighi”, i sorci). Il sole che batteva sul fondo bianchissimo e si riverberava in alto, passando, attraversava in andata e nel ritorno l’acqua fredda del mare, limpida, splendente, e questo passaggio ne colorava i raggi riflessi di un verde diffuso. Quando, con la barca, si arrivava su quei fondali, sembrava di essere immersi in uno smeraldo: tutto era smeraldo, luminoso, i gabbiani in volo, la vela, lo scafo, noi, i nostri visi, tutto.
L’ho rivista, La Pelosa, alla televisione, assieme alla notizia che era stato fermato un turista che cercava di portarsi via, a casa sua, come se fosse un pezzo di paradiso, cinque chili di quella sabbia. Gli ombrelloni blu la coprivano tutta, fitti, fino a riva (in una mia vecchia foto c’è un solo ombrellone il mio, con sotto mio figlio bambino). Sotto gli ombrelloni carne, carne, carne. Nemmeno più si vedeva, nemmeno più c’era, la Pelosa.
Certo, ai miei tempi non la godevano in molti: i pescatori, le mogli, qualche “bagnante” (qualche “signore” di Sassari) che passava con la famiglia una rustica vacanza a Stintino, considerata e battezzata “una dimensione dello spirito”. Certo, qualcosa di “esclusivo”, quindi di snob. Era giusto? come faccio a saperlo, era, appunto, un’altra dimensione, il tempo di un’Italia povera, poverissima, dove i pescatori facevano i pescatori e i contadini facevano i contadini. È più giusto adesso? È più giusto. ma molto più infelice. Meno felice, temo, anche per quelle famiglie già povere, oggi non più, che una volta pescavano e adesso non so cosa fanno, affittano, o vendono, o hanno venduto. Ma non voglio, è contro la mia “filosofia” rimpiangere il passato, quel passato. Ma che quella gemma, quella bellezza, La Pelosa, e il resto, la solitudine, lo splendore del mare, non ci sia più, per nessuno, sia stata violentata, rapinata, divorata, digerita, sputtanata, questo mi sembra insopportabile. Ma è così di tante delle bellezze, monti, mari, colline, paesi, città, che hanno rallegrato la mia giovinezza. Ridotte a puttane. Povere puttane, chissà perché le chiamo così, anche le povere puttane. Vittime, anche loro, di quell’avidità che sembra ci arricchisca e che invece ci spoglia.
OBBIETTIVO: RISARCIMENTO. LA CONTRASSICURAZIONE: ovvero un blog politicamente scorretto
mercoledì, 7 Settembre 2011, ore 18:04
L’avete vista? La vedete? Quella pubblicità televisiva (io l’ho vista a La 7, che non voglio veder più) orribile, con un uomo dal viso bestiale e dai denti in fuori, che parla a un microfono che a sua volta è moltiplicato da cento microfoni e che dice: “Se siete stati oggetto di malasanità, avete dieci anni per rivalervi: avvocati e medici legali a vostra disposizione. Rischi zero, anticipi zero”.
Capite bene cosa vuol dire? Un gruppo di avvocati e di medici legali, vostri, nostri cari colleghi che si pone sulla piazza al servizio dei poveri cittadini, dicendosi disposti a lavorare per niente, anticipi zero, rischio zero. Per amor loro? Dei cittadini? Per bisogno di un Mondo Più Giusto? No, certo, per amore di se stessi, per “spartirsi gli utili”, per amore dello sporco denaro. Merda, merda, merda.
Io non dico che non sia giusto che chi ha sbagliato paghi. Io non dico che non fossero sbagliati, anzi colpevoli, i tempi, ancora trenta o quarant’anni fa in cui l’errore medico (dico l’errore colpevole, per ignoranza, trascuratezza, dolo) non era, in pratica, mai perseguito.
Ma oggi mi pare che siamo ancora molto peggio, con la schiera dei medici, vorrei dire la schiera proprio dei medici meno coraggiosi, meno coscienziosi, meno disponibili, meno aperti, inchiodata dal timore non di sbagliare ma di pagare, spinti all’astensione, o all’iper-prudenza, agli esami “di garanzia”, alla fuga dai problemi, con un lievitare dei costi della salute, legati, appunto, agli esami inutili oltre che alla necessità delle spese assicurative (che non bastano, non bastano mai); con la caduta della confidenza, del fare il tragitto assieme, tra morte e malattia, del medico col Suo Paziente; e con la speranza, invece, da parte di chi, parente, o avvocato, o medico legale, eventualmente, vincerà alla riffa, non di “avere giustizia”, come quelli lì recitano, ma piuttosto a mettere in tasca una bella sommetta.