Rivista di formazione e di aggiornamento professionale del pediatra e del medico di base,
realizzata in collaborazione con l'Associazione Culturale Pediatri
Gentile Prof. Panizon,
innanzitutto grazie per aver trattato questo argomento, c’è sicuramente bisogno di parlarne. Le avevo risposto qualche giorno fa per motivare la ragione del mio detestare la medicina preventiva, ma la risposta si è persa nelle pieghe dell’etere, perciò lo colgo come un monito del destino ad essere più sintetica, cosa che però difficilmente mi riesce. Detesto la medicina preventiva, ovvero quella praticata perché “sia mai che poi il paziente mi denunci”, perché dimentica purtroppo che dietro a segni e sintomi c’è una persona, non solo un organo più o meno mal funzionante. Per problemi fisici insorti dopo l’inizio di una terapia farmacologica mi sono già rivolta a 3 specialisti diversi: tre perché ognuno di loro mi rimanda ad un altro collega ritenendo che i miei disturbi non dipendano dall’organo di rispettiva competenza ( il responso delle macchine non permette una diagnosi fino ad ora). Stanca di esami, visite e di sentirmi “Il malato immaginario”, ho pensato che forse il mio medico di base potrebbe avere le risposte che cerco. Perché non mi sono rivolta subito a lui? Ebbene lo ammetto: è un giovane medico, che conosco da poco e soprattutto nel suo ruolo di prescrittore di farmaci, e non gli ho dato fiducia. Un parolone questo. Pediatri e medici di base hanno ancora la grande fortuna, e privilegio aggiungo, di potersi accostare alla persona nella sua globalità prima che all’organo, e con questo non voglio denigrare la medicina specialistica che è comunque necessaria, ma credo che il futuro della medicina non sia la macchina ultraspecializzata in grado di fare le diagnosi, bensì la medicina sul territorio. Peccato che buona parte di coloro che ci governano ancora non lo abbiano afferrato e vadano nella direzione opposta. Per concludere, se gli operatori sanitari riescono a mantenere un approccio di cura alla persona e, a loro volta, i pazienti riescono a dare fiducia a chi li prende in cura, ecco che il rapporto di cui parlavo prima può nascere e forse l’inevitabile errore medico (e visto che sono infermiera aggiungo l’inevitabile errore infermieristico) potrebbe essere compreso. Forse.
Paola Bortolazzo
Paola Bortolazzo
ACP - Medico e Bambino-Uppa
mercoledì, 5 Ottobre 2011, ore 11:18
Medicina difensiva
In realtà, quello di cui Paola Bortolazzo parla, non è tanto la medicina preventiva (seguire delle regole di vita, sottoporsi a esami periodici, “curare gli esami”, come il famoso colesterolo, anziché “curare le malattie”, atteggiamento mentale che , in sé, può già portare alla paranoia), quanto la medicina difensiva, che è quella deformazione professionale che vorrebbe prevenire le cause penali/civili di risarcimento (un fantasma, per la verità, ogni giorno più minaccioso) non migliorando la qualità dell’approccio clinico, ma introducendo un eccesso di esami quasi-inutili, di false-sicurezze e di falsa-attenzione al malato. Entrambi gli atteggiamenti mentali/comportamentali aumentano (di molto) i costi della medicina, ed entrambi hanno in sé qualcosa di “debole”, di “regressivo”. Ma dei due non c’è dubbio che, come dice la Signora Paola Bortolazzo. (in origine, certamente Bortolaso, perché la doppia zeta, in Veneto, non esiste) sia il secondo a essere, veramente “detestabile”, anche se ci vuole una certa forza d’animo, e una vera “passione per il malato”, a dimenticarsene del tutto, nella pratica quotidiana.
Franco Panizon
professore Emerito, Dipartimento di Scienze della Riproduzione e dello Sviluppo, Università di Trieste
innanzitutto grazie per aver trattato questo argomento, c’è sicuramente bisogno di parlarne. Le avevo risposto qualche giorno fa per motivare la ragione del mio detestare la medicina preventiva, ma la risposta si è persa nelle pieghe dell’etere, perciò lo colgo come un monito del destino ad essere più sintetica, cosa che però difficilmente mi riesce. Detesto la medicina preventiva, ovvero quella praticata perché “sia mai che poi il paziente mi denunci”, perché dimentica purtroppo che dietro a segni e sintomi c’è una persona, non solo un organo più o meno mal funzionante. Per problemi fisici insorti dopo l’inizio di una terapia farmacologica mi sono già rivolta a 3 specialisti diversi: tre perché ognuno di loro mi rimanda ad un altro collega ritenendo che i miei disturbi non dipendano dall’organo di rispettiva competenza ( il responso delle macchine non permette una diagnosi fino ad ora). Stanca di esami, visite e di sentirmi “Il malato immaginario”, ho pensato che forse il mio medico di base potrebbe avere le risposte che cerco. Perché non mi sono rivolta subito a lui? Ebbene lo ammetto: è un giovane medico, che conosco da poco e soprattutto nel suo ruolo di prescrittore di farmaci, e non gli ho dato fiducia. Un parolone questo. Pediatri e medici di base hanno ancora la grande fortuna, e privilegio aggiungo, di potersi accostare alla persona nella sua globalità prima che all’organo, e con questo non voglio denigrare la medicina specialistica che è comunque necessaria, ma credo che il futuro della medicina non sia la macchina ultraspecializzata in grado di fare le diagnosi, bensì la medicina sul territorio. Peccato che buona parte di coloro che ci governano ancora non lo abbiano afferrato e vadano nella direzione opposta. Per concludere, se gli operatori sanitari riescono a mantenere un approccio di cura alla persona e, a loro volta, i pazienti riescono a dare fiducia a chi li prende in cura, ecco che il rapporto di cui parlavo prima può nascere e forse l’inevitabile errore medico (e visto che sono infermiera aggiungo l’inevitabile errore infermieristico) potrebbe essere compreso. Forse.
Paola Bortolazzo