Rivista di formazione e aggiornamento di pediatri e medici operanti sul territorio e in ospedale. Fondata nel 1982, in collaborazione con l'Associazione Culturale Pediatri.

Agosto 2008 - Volume XI - numero 26

M&B Pagine Elettroniche

Presentazioni PPT


HIV/AIDS
L'Icaro di Matisse
Filippo Ciantia
Coordinatore Progetto Associazione di Volontariato per il Servizio Internazionale, Uganda


Una nuova malattia
Mentre lavoravo agli inizi degli anni Ottanta in un ospedale rurale del nord Uganda, incontravo nel lavoro quotidiano le tipiche malattie tropicali: morbillo, malaria, tetano neonatale, infezioni respiratorie, diarree; le complicazioni della gravidanza e del parto.
Poi iniziai a notare pazienti in giovane età che si presentavano con segni di grave perdita di peso, diarrea cronica, eruzioni cutanee e febbre. Altri erano colpiti da tubercolosi disseminata. Un giovane uomo venne colpito dal sarcoma di Kaposi, una rara forma di cancro. Tutti morirono in poche settimane, nonostante le terapie di ogni genere che provammo a instaurare.
Senza saperlo ci trovavamo di fronte a una nuova malattia. Solo dopo un paio d'anni venimmo a conoscenza dell'epidemia negli Stati Uniti e ad Haiti e alla fine alla nuova malattia venne dato un nome in Uganda: la malattia del dimagrimento, slim disease.

Una volta che la malattia fu identificata, fu chiaro che non vi era al momento alcuna cura. Essendo possibile la diagnosi ed esistendo alcune misure preventive, lanciammo nel distretto una campagna di informazione pubblica. Nel mio piccolo ospedale quasi tutto il personale, dopo aver ricevuto adeguate informazioni, accettò di essere testato. Gli operatori sanitari erano poco più di 100:11 risultarono infetti dal virus. Ma con mia grande sorpresa nessuno chiese di conoscere il proprio risultato. Eravamo nel 1987.
La paura era grande e stigma e rifiuto erano molto diffusi.
La coraggiosa campagna iniziata nel 1987 dal giovane governo del NRM aiutò molti ad affrontare la malattia in un modo totalmente diverso. Il messaggio era chiaro, senza giri di parole. Si tratta di una malattia fatale, che potrebbe devastare il nostro Paese. Ma la malattia può essere prevenuta e quindi possiamo agire ora. I malati possono essere accuditi con cura e possono continuare a vivere e poi morire con dignità. Veniva sottolineata la necessità di cambiare le abitudini sessuali come la sola realistica modalità per sradicare la causa dell'AIDS. Questo era un importante giudizio culturale che indicava che la causa dell'AIDS trova la sua origine nel cuore dell'uomo e che d'altra parte mostrava fiducia riponendo speranza nella capacità della società ugandese di superare la tremenda sfida.

Una risposta umana
Il presidente ugandese Yoweri Museveni, parlando nel 1991 alla Conferenza Internazionale sull'AIDS a Firenze, indicò i fattori che avevano caratterizzato la lotta a questa malattia in Uganda:
“... Ho sempre sottolineato la necessità di tornare alle nostre tradizioni culturali, provate dal tempo, che enfatizzano la fedeltà e denunciano i rapporti prima e fuori dal matrimonio. Credo che la miglior risposta alla minaccia posta dall'AIDS e dalle altre malattie trasmesse per via sessuale sia riaffermare pubblicamente e senza esitazioni il rispetto e la venerazione che ogni persona deve al suo prossimo. I giovani devono essere educati alle virtù della astinenza, dell'autodisciplina e della rinuncia al piacere e a volte al sacrificio...”
Di fronte al terribile disastro, la preoccupazione del governo si è basata sulla fiducia nella possibilità di vincere il nemico, se il popolo avesse lavorato in unità verso uno scopo comune. Ciò ha portato a una eccezionale mobilitazione di tutta la società, singoli individui, gruppi, la Chiesa e altre organizzazioni religiose e associazioni.
Si tratta di una vera e propria epopea del popolo ugandese. L'impressionante risultato, la riduzione della prevalenza da HIV da circa il 18% alla fine degli anni ‘80 al 6,4% nel 2005, è stato anche definito come la success story dell'Uganda. La linea del fronte è stata di fatto la risposta nelle comunità, dove numerosissime organizzazioni si sono fatte carico della responsabilità di sostenere la tradizionale rete di solidarietà della famiglia estesa, curando i malati e facendosi carico degli orfani e indirizzando l'educazione delle giovani generazioni.

Ci sono tantissime persone e organizzazioni da menzionare a questo proposito.
Noerine Kaleeba, la fondatrice della organizzazione TASO (The Aids Support Organisation), una delle prime realtà comunitarie che hanno iniziato a combattere l'AIDS.
Elly Ongee, il fondatore in Kitgum del Meeting Point, che poi si è diffuso a Hoima e Kampala.
La moglie del presidente ugandese, Janet Museveni, che ha contribuito affermando che “la nostra è una generazione spiritualmente analfabeta”. Infatti il cambiamento comportamentale deriva dalla educazione della persona alla responsabilità, che inizia con la “conoscenza”, come cultura e programmi basati sui valori.
Miriam Duggan, medico e religiosa, che con geniale intuizione ha affrontato la sfida nella comunità, negli slum di Kampala, creando la Kamwokya Christian Caring Community. Inoltre ella percepì come il cuore della risposta dovesse essere l'educazione delle giovani generazioni, promuovendo il gruppo di base Youth Alive.
La coraggiosa Lucille Teasdale Corti, stimatissimo chirurgo canadese, che morì di AIDS contratto durante le operazioni sui feriti nel conflitto armato in nord Uganda. Nonostante la malattia ella lavorò instancabilmente fino alla fine, offrendo cura e servizi alla popolazione affetta dalla guerra.
Tuttavia, tra i giganti di questa epica storia, voglio ricordare una semplice persona. Quando la mia giovane segretaria Rose Akumu risultò sieropositiva, volle partecipare a un incontro dove Elly Ongee di Kitgum pubblicamente offrì la sua coraggiosa testimonianza di un affronto pieno di significato della malattia, tentando di trasmettere ad altri la convinzione che la vita potesse avere ancora senso ed essere positiva, nonostante la malattia mortale che lo aveva colpito. Così Akumu decise di dedicare il suo tempo libero all'aiuto delle persone affette e infette dall'AIDS. Durante la pausa pranzo la ricezione dell'ufficio dell'AVSI si trasformava in un luogo di dialogo: decine di persone partecipavano, discutendo argomenti di comune interesse, ponendo domande e condividendo esperienze circa la malattia. Dopo una lunga lotta, nonostante un disperato tentativo terapeutico con l'AZT, ella morì nel maggio del 1992.

Le quattro ondate
La pandemia dell'AIDS è devastante. Dal 1981 sono morte più di 25 milioni di persone. Si stima che oggi 33 milioni di persone siano infette dall'HIV. Nel mondo, solo nel 2007, circa 2 milioni e mezzo di persone sono state contagiate. L'Africa subsahariana è la regione più colpita, con più di 22 milioni di persone sieropositive. Si stima che ben 15 milioni di bambini siano orfani a causa dell'AIDS, avendo perso uno o entrambi i genitori. Dodici milioni di questi bambini vivono nell'Africa subsahariana.
L'epidemia si è diffusa con una serie distruttiva di ondate, di vere e proprie tsunami.
Un numero grandissimo di persone malate costituisce la prima onda anomala.
Poi vi è l'ondata degli innumerevoli morti.
Infine segue la sfida costituita da milioni di orfani dell'AIDS.
E ora siamo di fronte al difficilissimo compito di aumentare i servizi alle persone malate, garantendo a milioni di malati l'accesso alla terapia antiretrovirale, soprattutto in Africa.
Tuttavia la tragedia della pandemia dell'AIDS ha anche portato con sé una straordinaria ondata di solidarietà. Assieme a situazioni di estrema paura, ansietà, rifiuto ed emarginazione, l'epidemia ha mostrato esempi meravigliosi di mobilitazione di famiglie e intere comunità e di saggia direzione politica, nel provvedere cura e sostegno ai malati. La generosità dei volontari nella Copperbelt in Zambia, nella regione Kagera in Tanzania, nei quartieri poveri di Kampala e nei sobborghi di Harare, costituisce una ispirazione per continuare un coerente impegno nell'affrontare le sfide poste dall'epidemia.
Tali iniziative sono caratterizzate da un affronto globale, centrato sulla persona, non limitandosi a soluzioni tecniche e mediche. Come nel Medio Evo l'atto di prendersi cura del malato ancora una volta ha preceduto la terapia.

Il filo conduttore
C'è un elemento comune e caratteristico di tutte queste esperienze. La risposta alla epidemia non è stata innanzitutto la reazione ad una malattia, ma il commosso piegarsi sulle persone bisognose e malate. Questo è il sottile filo rosso che collega Akumu e Ongee, Museveni e Kaleeba, Meeting Point, TASO e AVSI: la risposta a una persona che ti provoca. Si tratta e si è trattato di rapporti amorevoli. Veramente l'epidemia dell'AIDS è stata e ancora costituisce una terribile tragedia. Ma allo stesso tempo essa è stata ed è una provocazione formidabile per una riscoperta della dignità e del valore della vita umana e del significato dell'amore. Questa naturale e a volte anche educata consapevolezza ha reso possibile una risposta realistica all'epidemia. Infatti nessuno avrebbe trovato la forza e adeguate ragioni per un cambiamento e per continuare a sperare, senza la presenza di amici e il sostegno degli altri. Non possiamo amare con fedeltà per paura, ma solo perché ognuno ha ricevuto il compito meraviglioso e impegnativo di camminare assieme ad altri verso il comune Destino. Possiamo veramente farci carico degli orfani solo per un amore al destino di ciascuno di essi.
L'Icaro di Matisse è l'immagine che può essere vista nel logo del Meeting Point. Veramente l'antico mito greco di Icaro è il simbolo di questa epopea. Icaro era un giovane pieno di stupore di fronte agli uccelli, che non erano costretti a rimanere sulla terra, ma erano liberi di volare liberi nel cielo. Anch'egli voleva volare. Così suo padre gli attaccò con la cera delle piume alle braccia, che si trasformarono in ali. Mentre gioiva nel suo volo nel cielo, Icaro si avvicinò troppo al sole e il suo calore sciolse la cera. Le penne si staccarono e Icaro cadde e morì. Matisse rappresenta la nera figura di Icaro, che vola con le sue ali artificiali nel cielo blu, pieno di stelle luminose. Nella figura scura di Icaro, brilla una macchia rossa, il suo cuore.
L'uomo, come Icaro, ha un infinito desiderio di felicità e libertà. Ma ogni giorno egli deve affrontare i suoi fallimenti, la sua debolezza, la malattia e alla fine, inevitabile, la morte. Il Meeting Point è nato affinché nessuno rimanesse solo nella malattia, nelle sofferenze, nelle difficoltà e nella paura; affinché ognuno potesse incontrare una compagnia capace di sostenere la speranza, di guidare nel sacrificio e di ispirare il rispetto per gli altri.

Questa è la stessa ragione per cui, assieme a mia moglie Luciana, da oltre 25 anni continuiamo il nostro impegno. Accanto alla gente, per “combattere contro il brivido che pervade il mondo con il calore del nostro respiro”.




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F. Ciantia. HIV/AIDS
L'Icaro di Matisse. Medico e Bambino pagine elettroniche 2008;11(26) https://www.medicoebambino.com/?id=PPT0826_80.html