Novembre 2002 - Volume V - numero 9

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Prevalenza del disturbo da deficit dell'attenzione con iperattività
(ADHD) in una popolazione di bambini seguita dai pediatri di famiglia
S. Corbo(*), F. Marolla(*), V. Sarno (*), MG. Torrioli (#), S. Vernacotola (#)
(*) Pediatri di famiglia - Associazione Culturale Pediatri Lazio
(#) Cattedra di Neuropsichiatria Infantile - Università Cattolica S.Cuore - Roma

INTRODUZIONE
Il disturbo da deficit di attenzione con iperattività (ADHD) è un disturbo dello sviluppo che inizia nell'infanzia e, il più delle volte, si evidenzia durante i primi anni della scuola elementare (1). Con gli anni le sue manifestazioni cambiano, a volte spontaneamente diminuiscono, ma i bambini che ne sono affetti possono più facilmente di altri andare incontro ad insuccesso scolastico; in età adulta circa un terzo di loro presenterà ancora le caratteristiche dell'ADHD e, tra questi, molti riceveranno diagnosi di personalità antisociale (2). L'ADHD determina un forte coinvolgimento della famiglia e degli insegnanti generando sentimenti di impotenza, frustrazione e inadeguatezza nei confronti di bambini giudicati "troppo vivaci", distratti, maleducati e disobbedienti (3). Le conseguenze sull'individuo, in termini di stile di vita insoddisfacente, e sulla società, in termini di costi sanitari e sociali, giustifica l'impegno degli operatori per un precoce riconoscimento del disturbo e per l'inizio di un trattamento che, se ben condotto, sarà molto probabilmente efficace (4,5,6).
I criteri diagnostici e la terapia sono attualmente argomento di vivace discussione (7). I segni su cui si basa la diagnosi, così come in altre condizioni psichiatriche, non comprendono valutazioni oggettive, indagini strumentali, di laboratorio o radiologiche, ma le informazioni si ricavano esclusivamente dalla storia del paziente e dalla valutazione del suo comportamento ottenute tramite il colloquio con i genitori, gli insegnanti e, meno frequentemente, con altre figure che sono coinvolte nella vita quotidiana del bambino. Questo aspetto rende difficile il confronto tra i vari studi, soprattutto quelli di prevalenza, laddove si utilizzino procedure di indagine con metodologie diverse (8). Inoltre, i sintomi di iperattività, impulsività e disattenzione si sovrappongono frequentemente ad altri problemi del comportamento, dell'apprendimento e del tono dell'umore rendendo più complessa la valutazione diagnostica (4,5,9,10).
Il secondo punto critico è rappresentato dalla strategia terapeutica, che prevede l'uso di psicostimolanti e in particolare il metilfenidato. Questo principio farmacologico, efficace nell'80% dei bambini con ADHD, ha subito in USA un forte e allarmante incremento delle vendite negli ultimi 10 anni (11,12). Infatti i medici statunitensi vengono accusati di trattare farmacologicamente i bambini che mostrano comportamenti non desiderati in classe o altrove, al fine di controllarne la vivacità, senza effettuare le necessarie e approfondite valutazioni prima della prescrizione del metilfenidato; in tal modo, gli stessi genitori e insegnanti non sarebbero motivati ad affrontare i problemi familiari e scolastici del bambino (7,13). Alcune prese di posizione dei mass media in USA hanno creato un clima di paura tra medici, genitori e educatori, generando spesso ansia e confusione nell'opinione pubblica (7).
In Italia siamo alla vigilia della reintroduzione del metilfenidato nelle farmacie e da diversi mesi è cresciuto il dibattito su come gestire questi bambini; da una parte c'è chi afferma la necessità di utilizzare il farmaco per poter aiutare famiglie disperate e bambini emarginati, dall'altra chi prevede uno scenario simile a quello americano, dove la dissonanza tra le aspettative della società e le difficoltà dell'individuo trovano spesso la risposta in una "pillola" non priva di effetti collaterali (14).
Scopo del nostro lavoro è stato quindi quello di rilevare la percentuale di bambini affetti da ADHD tra quelli che afferiscono all'ambulatorio del pediatra di famiglia, utilizzando un percorso diagnostico complesso in collaborazione con specialisti neuropsichiatri e in grado di assicurare un elevato grado di accuratezza diagnostica.

MATERIALI E METODI
Lo studio prevedeva una prima fase di sospetto del disturbo, che veniva svolta presso l'ambulatorio dei pediatri di famiglia autori del lavoro e una seconda fase, di conferma, presso un servizio di neuropsichiatria infantile.
I criteri di esclusione erano:
- età inferiore ai 6 anni,
- ritardo mentale anche lieve,
- patologie rilevanti a carico del SNC.
Nella prima fase venivano inizialmente poste le seguenti domande ai genitori che accompagnavano i bambini inclusi nello studio:
1. L'insegnante le ha detto che è irrequieto? E' disattento?
2. Ha difficoltà a mantenere l'attenzione nei compiti? O in altre attività?
3. Le sembra sia un bambino iperattivo o impulsivo? E' un bambino che non sta mai fermo?
Avendo ottenuto anche solo una risposta affermativa alle domande, si sottoponeva al genitore la check-list prevista nei criteri del manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, quarta edizione (DSM-IV) (15), e si approfondiva l' intervista con lo scopo di stabilire se il bambino potesse presentare uno stato di disadattamento sociale e/o scolastico. In alcune occasioni è stato necessario programmare una visita successiva per poter effettuare un colloquio più approfondito.
Se erano esauditi i criteri di diagnosi del DSM-IV, veniva infine chiesto ai genitori l'assenso per poter contattare il corpo insegnante, con lo scopo di ottenere un'ulteriore conferma mediante la somministrazione del questionario di Conners per la valutazione dei comportamenti problematici in classe e, contemporaneamente, veniva loro proposto l'invio presso il servizio di Neuropsichiatria Infantile dell'Università Cattolica S. Cuore di Roma. Qui avveniva il colloquio con i genitori del bambino (anamnesi riguardo al comportamento del bambino dalla gravidanza al momento della visita; familiarità per ADHD e altre patologie psichiatriche o neurologiche; disturbi del sonno; notizie sulle scuole frequentate; relazioni con i coetanei e con gli adulti; altri disturbi psicologici). A seguito di questa prima visita veniva stabilito un programma per completare l'iter diagnostico. Sulla base dei disturbi riferiti od osservati ad una valutazione del Quoziente Intellettivo (WISC-R) e delle capacità attentive, eseguite in tutti i casi, veniva aggiunto un approfondimento specifico per valutare la presenza e le caratteristiche di co-morbidità sospettate. Mediante il questionario di Conners (16,17) veniva effettuata la valutazione del comportamento del bambino a casa e a scuola e, infine, venivano effettuate la comunicazione della diagnosi e la discussione con i genitori di strategie da attuare a casa e a scuola per aiutare il bambino a migliorare il suo comportamento.

RISULTATI
Nel periodo dal 1.4.1999 al 31.12.1999 sono stati studiati 794 bambini (vedi tabella 1); di questi, 19 sono stati individuati come probabilmente affetti dal disturbo ADHD. Per 9 di questi bambini il pediatra ha preso contatto con l'insegnante mediante un colloquio diretto o telefonico. Ai genitori di questi bambini è stato proposto l'invio presso il Servizio di Neuropsichiatria Infantile (vedi figura); i genitori di tre bambini (15.8%) hanno rifiutato. Tra i rimanenti bambini, quattro (21%) hanno ricevuto un'altra diagnosi (in 3 casi disturbi dell'apprendimento, valutati mediante ulteriori test, e in un caso disturbo depressivo). Hanno ricevuto conferma del disturbo ADHD 12 bambini (63.2%), in 3 casi con prevalente disturbo dell'attenzione ( vedi tabella 2); la prevalenza generale del disturbo in percentuale è risultata pari a 1.51 (IC95% 0.67 - 2.35). Considerando i tre bambini i cui genitori hanno rifiutato la visita neuropsichiatrica, è possibile stimare che almeno 2 di essi avrebbero potuto ricevere diagnosi di ADHD; per tale motivo la prevalenza stimata potrebbe salire a 1.76 (IC95% 0.85 - 2.67). Dieci dei 12 bambini che hanno ricevuto diagnosi di ADHD sono maschi, determinando una prevalenza percentuale diversa fra i due sessi: 2.46 (IC95% 0.95 - 3.97) tra i maschi e 0.52 (IC95% 0 - 1.23) tra le femmine, con un rapporto maschi-femmine di 5:1.

DISCUSSIONE
Una delle questioni cruciali relative al disturbo da deficit di attenzione con iperattività riguarda, come abbiamo detto, la diagnosi, che si basa per lo più sulla storia ottenuta dal colloquio con coloro che vivono con il bambino. L'importanza di un'accurata diagnosi è stata recentemente sottolineata dall'Accademia Americana di Pediatria, che raccomanda:
1) l'uso dei criteri compresi nel DSM-IV;
2) l'anamnesi raccolta in almeno due ambienti, soprattutto famiglia e scuola;
3) la ricerca di condizioni coesistenti (comorbidità) che possono rendere più difficile la diagnosi e più complesso l'iter terapeutico (4).
Oltre al DSM-IV, si possono utilizzare i criteri diagnostici della classificazione ICD-10 (Classificazione Internazionale delle Malattie, decima edizione) delle malattie psichiatriche. Il DSM IV definisce l'ADHD distinguendo tre sottotipi:
- disturbo con prevalente disattenzione,
- disturbo con prevalente iperattività/impulsività,
- disturbo misto.
L'ICD-10 definisce il disturbo ipercinetico (HKD), utilizzando criteri diagnostici più rigidi e richedendo la presenza contemporanea di disattenzione e di iperattività/impulsività. Quest'ultimo criterio è inoltre più severo nel separare i bambini affetti da altri disturbi comportamentali (ad es. depressione, ansia, disturbo della condotta) dai bambini con HKD (8). L'uso di uno o dell'altro criterio è stato identificato come la causa principale, ancor prima di fattori sociali, geografici, razziali ed economici, della differente prevalenza del disturbo rilevata nei vari paesi (8).
Nel nostro studio abbiamo utilizzato i criteri riportati nel DSM-IV fondamentalmente perché è maggiormente utilizzato in letteratura e per la semplicità e la maneggevolezza della check-list che lo rendono più idoneo alla realtà dell'ambulatorio pediatrico.
L'iter diagnostico da noi seguito è iniziato con alcune domande, del tutto simili a quelle attualmente raccomandate dall'Accademia Americana di Pediatria (4), e che sono finalizzate ad uno screening rapido dei problemi di comportamento. Successivamente, in caso di risposta positiva ad almeno una domanda, veniva eseguito il DSM-IV, spesso accompagnato da una ricca narrazione degli episodi concernenti il comportamento del bambino. In quasi la metà dei casi è stato possibile per il pediatra mettersi in contatto con uno o più insegnanti di ciascun bambino e, pur non avendo previsto una quantificazione numerica, possiamo affermare che si è trattato di un momento giudicato complessivamente in modo molto positivo da tutti, dimostrando l'utilità dell'incontro tra operatori che, pur avendo compiti diversi, condividono obiettivi comuni.
A questa fase seguiva quella di conferma presso un centro di NPI. Le famiglie di tre bambini hanno rifiutato la valutazione specialistica, a conferma della problematicità legata all'invio dal neuropsichiatra; è infatti comprensibile la paura del figlio "non normale", per il quale si delineano i fantasmi di un futuro da disadattato, verso cui ci si difende con la negazione del problema.
L'accuratezza diagnostica del pediatra, in termini di valore predittivo positivo, ovvero di diagnosi confermate sul totale dei bambini valutati dal servizio di neuropsichiatria infantile, è stata pari al 75%. Questo risultato ci permette di affermare che il pediatra ambulatoriale è in grado di porre un sospetto di ADHD molto fondato, ma altresì non può prescindere, se non nei casi in cui lo stesso sia particolarmente esperto di psicodiagnostica (18), dalla collaborazione del neuropsichiatra infantile.
La stima della prevalenza del disturbo tra i bambini in cura dai pediatri è stata di poco inferiore al 2%, percentuale che rientra nel range di prevalenza dell'ADHD/HKD nella popolazione generale, compreso tra 1.7% e 16%. In Europa studi che hanno utilizzato i criteri ICD-10 riguardano la Germania (4% a 8 anni, 2% a 13 anni), la Svezia (2% tra i 5 e i 12 anni) e il Regno Unito (2% a 7 anni). Gli studi, soprattutto statunitensi, che hanno utilizzato il DSM-IV riportano, proprio in ragione dei criteri di diagnosi più ampi sopra descritti, tassi più elevati compresi fra il 4.2% e il 26% nella fascia d'età 6-12 anni (9,10).
E' possibile che il nostro dato sottostimi l'entità del problema fondamentalmente perché la popolazione in cura presso i pediatri può non essere rappresentativa di quella generale. Infatti, è noto che in Italia, unico paese al mondo in cui lo Stato fornisce un servizio di assistenza territoriale specialistica gratuito per tutti i bambini, l'obbligatorietà di essere in cura presso il pediatra termina a 6 anni; questo aspetto potrebbe aver selezionato famiglie meno svantaggiate, culturalmente più motivate ad apprezzare le diversità assistenziali tra le varie figure mediche e a scegliere la continuità con il proprio pediatra. Un'altra causa di sottostima potrebbe derivare dall'incapacità del pediatra di "vedere" il disturbo quando viene negato a priori dal genitore; questo è possibile soprattutto quando è elevato il grado di tolleranza familiare o quando il genitore si riconosce appieno nel proprio figlio.
Al pari della letteratura (9,10), abbiamo rilevato una differenza marcata tra i due sessi, con un rapporto maschi-femmine pari a 5 a 1.

Commento
Alla fine di questo percorso diagnostico ci siamo resi conto di aver preso contatto con una realtà che tende a sfuggire alla razionalità, infarcita di umiliazioni personali, frustrazioni, incomprensioni, pregiudizi, a volte violenza, che si ripercuote in maniera importante sui genitori, ma soprattutto sul bambino, sul suo stato d'animo, sulla sua spontaneità e spensieratezza nell'affrontare l'esperienza quotidiana. Ci siamo resi conto che se da una parte c'è una famiglia con il suo bambino sofferente che chiede un aiuto, dall'altra c'è una società spesso sorda, emarginante, causa di insuccesso scolastico, che colpevolizza i genitori e soprattutto la madre.
Il nostro lavoro ci ha permesso di maturare alcune considerazioni. Riteniamo sia compito del pediatra formarsi coscienziosamente sul disturbo, sapere utilizzare le tecniche di counseling per fare in modo che la narrazione dei genitori costituisca una risorsa diagnostica e terapeutica, entrare in contatto con gli insegnanti per comprendere le dinamiche scolastiche, sospettare il disturbo ed effettuare una diagnosi differenziale, affiancare il neuropsichiatra e la famiglia durante la fase di diagnosi e inizio terapia, farsi carico del follow-up di questi bambini sapendo prevenire ulteriori disagi e infondendo quella fiducia necessaria al raggiungimento di obiettivi soddisfacenti. Lavorare in questi termini è senza dubbio impegnativo, ma costituisce un forte momento di crescita professionale del pediatra ambulatoriale, soprattutto in una realtà in cui le patologie emergenti trovano origine sempre di più dalla realtà psicosociale dell'infanzia (19).

BIBLIOGRAFIA
1) Margheriti M. e Sabbadini G. L'iperattività e i disturbi dell'attenzione. In Manuale di Neuropsicologia dell'età evolutiva. A cura di G. Sabbadini Zanichelli editore 1995.
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14) Diller L. Coca-Cola, McDonald's e Ritalin. Informazione sui farmaci 2001; 25,4: 109-111
15) American Psychiatric Association. Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM IV) Milano Masson, 1995
16) Scala di valutazione dei comportamenti problematici in classe (TRS-Conners 1969) in: Kirby E.A. e Grimley L.K.: Disturbi dell'attenzione e iperattività. Ed. Erikson,1989.
17) Questionario generale per i genitori (PSQ- Conners, 1969) in: Kirby E.A. e Grimley L.K.: Disturbi dell'attenzione e iperattività. Ed. Erikson, 1989
18) Nuzzo V. Il disturbo di attenzione con iperattività (ADD/ADHD). Medico e Bambino 2001; 20: 581-594
19) American Academy of Pediatrics - Committee on psychosocial aspects of child and family health.
The new morbidity revisited: a renewed commitment ti the psychosocial aspects of pediatric care.
Pediatrics 2001; 108,5: 1227 - 1230

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S. Corbo, F. Marolla, V. Sarno , MG. Torrioli , S. Vernacotola. Prevalenza del disturbo da deficit dell'attenzione con iperattività (ADHD) in una popolazione di bambini seguita dai pediatri di famiglia. Medico e Bambino pagine elettroniche 2002;5(9) https://www.medicoebambino.com/?id=RI0209_10.html