Maggio 2021 - Volume XXIV - numero 5

M&B Pagine Elettroniche

Pediatria nella Comunità

La denatalità e le prospettive

I bambini nella loro valenza anche economica

Paolo Masile

Specialista in Pediatria, già Pediatra e Neonatologo presso AO Brotzu, Cagliari

Indirizzo per corrispondenza: paolomasile@tiscali.it

Declining birth rate and future perspectives - Children and their economic value

Key words: Birth rate, Demographic dividend, Family support provisions

Abstract
The decline in birth rate that Italy has suffered for many years and that has been underestimated by medias and politicians has been experienced as a new way of conceiving the family rather than as an economic calamity. Children are still perceived as a cost for the society rather than as a resource. On the contrary, the progressive decrease in birth rate is creating huge voids in many working fields connected with the presence of children which negatively affect the economy of the territory. Being aware of such a situation, the most advanced European countries have been making great financial and welfare efforts for a long time to increase their birth rates. Up to now the family support provisions that have been applied in Italy in the last few years have not led to an increase in the national birth rate.

Riassunto

La denatalità che il Paese vive da molto tempo, abitualmente sottovalutata dai mezzi di informazione e dalle forze politiche, è vissuta più come un nuovo modo di concepire la famiglia che come una calamità economica. I figli sono ancora visti più come un costo per la società piuttosto che una risorsa. La progressiva rarefazione dei bambini sta creando, invece, ampi vuoti in numerosi settori lavorativi legati alla loro presenza che si riflettono negativamente sull’economia del territorio. Consci di questo, i Paesi europei più avanzati hanno intrapreso da molto tempo rilevanti sforzi finanziari e assistenziali per incrementare il loro patrimonio di nuove generazioni. I provvedimenti di sostegno alla famiglia assunti in Italia negli ultimi anni, non hanno finora portato alcun miglioramento nella curva discendente della natalità nazionale.

Introduzione

Il 26 marzo 2021, l’ISTAT (Istituto Nazionale di Statistica) ha presentato il Report 2020 con la situazione demografica del Paese. Come avviene da dieci anni a questa parte, la stampa ha versato fiumi di inchiostro, dal più banale e inflazionato “Culle vuote” al terroristico “Disastro neonatale”. Dopo pochi giorni di attenzione mediatica, il problema, anche alla luce delle notizie che incalzano e che di questi tempi certo non mancano, è stato presto accantonato e dimenticato.

L'evidenza demografica

Il calo delle nascite
I numeri per il 2020 delle nascite in Italia, 404.104 nati di cui 208.168 maschi e 195.936 femmine, confermano la continua e impressionante discesa negativa della popolazione nazionale dei neonati, che negli ultimi dieci anni è calata del 22,7% a un ritmo medio costante di meno quattordicimila nati/anno e con una tendenza alla diminuzione che non conosce soste (Figura 1).

Figura 1. Italia: nati x 1000. Dati ISTAT.


Il calo delle madri
Meno amplificato dai mezzi di informazione, ma nei fatti ancora più importante e inquietante soprattutto qualora si voglia impostare delle previsioni su lunghi periodi, è stato il calo delle potenziali madri.
La denatalità in campo nazionale ha avuto inizio con il termine del babyboom che, convenzionalmente nei primi anni ’70, ha ceduto il passo a quella che è stata chiamata Generazione X. Da allora si è assistito a un continuo calo delle nascite, al quale nei vent’anni di questo millennio è conseguita una fortissima diminuzione del segmento della popolazione formato dalle donne fisiologicamente in età riproduttiva. Statisticamente questa porzione si identifica nelle persone di sesso femminile da 15 a 49 anni.
Come si vede nel grafico (Figura 2), si rileva una curva discendente di diminuzione della popolazione femminile in età fertile simile a quella delle nascite.

Figura 2. Italia: popolazione femminile 15-49 anni. Dati ISTAT.


La diminuzione della fecondità
In aggiunta ai due punti precedenti, la stima numerica ISTAT degli ultimi dieci anni riguardante il tasso di fecondità totale (TFT) nelle donne italiane dimostra una tendenza in diminuzione che ha raggiunto il minimo nell’anno 2019 con 1,27 nati per ogni donna in età fertile (Figura 3). Il dato (previsto) per il 2020 sarebbe 1,24.

Figura 3. Italia: tasso di fecondità totale. Dati ISTAT.


La tempesta perfetta
Le tre evidenze, diminuzione dei neonati, calo delle potenziali madri e riduzione del tasso di fecondità, ci permettono di comprendere come il fenomeno denatalità in Italia non sia solo gravissimo dal punto di vista statistico ma, soprattutto in assenza di provvedimenti veramente incisivi e idonei, sia destinato ad aggravarsi e non possa essere correggibile se non in tempi lunghissimi. Si tenga presente che il nostro Paese è tra i fanalini di coda nella graduatoria mondiale della natalità.
Si potrebbe obiettare che si tratta fondamentalmente di fenomeni di costume inevitabili nella società moderna, che riguardano le singole famiglie e interesseranno le future generazioni ma, oltre allo spopolamento del territorio, il calo delle nascite ha in campo finanziario, e anche a breve termine, un gravissimo effetto negativo sullo sviluppo economico di tutta la collettività.

Implicazioni economiche della denatalità

Analizzando i dati periodici della demografia italiana, le maggiori preoccupazioni dei media sono soprattutto rivolte alla futura mancanza di chi dovrebbe fornire le entrate tributarie necessarie al sistema delle pensioni, sempre più sotto pressione.
Al presente invece, i bambini sono abitualmente visti come un “costo” e di rado ci si ferma a considerare come, già dalla gravidanza e dal momento della nascita ma ancor più nella fase del loro accrescimento, la loro presenza e la loro assistenza occasioni la necessità di figure professionali a essi dedicate. Queste ultime, benché portatrici di spesa per la comunità, costituiscono in realtà formidabili opportunità lavorative che, immettendo energie e redditi monetari in un sistema aperto di mercato, lo stimolano a un circolo virtuoso di trasformazione e scambio della ricchezza. Riesce perciò difficile immaginare qualcosa di più produttivo di un neonato che, già dalla gravidanza, ha soltanto esigenze che mettono in moto moltissime personalità lavorative per le quali egli è motivo di guadagno. Il bisogno e la domanda stimolano l’offerta e i consumi creano nuove opportunità di ricchezza. Inoltre, causa quasi imbarazzo ammetterlo, ma i bambini sono coloro che, tra pochi decenni, costituiranno la fascia portante dei “consumatori”, capaci di generare le nuove richieste di mercato.
Per comprendere quali siano, già oggi, le conseguenze economiche del perdurante crollo demografico, prendiamo in esame alcune categorie professionali e alcuni segmenti di marketing che traggono ragione di essere e sostentamento dalla presenza dei bambini: il mondo della scuola, il commercio del settore kids e, infine, noi pediatri. Qualche considerazione sarà fatta anche sullo spopolamento del territorio e sul “dividendo demografico”.

Denatalità e mondo della scuola
Durante la crescita del bambino, sorge la necessità di figure professionali che affianchino le competenze educative dei genitori: dapprima il personale degli asili nido e poi quello della scuola, fondamentale anche per i risvolti occupazionali che riveste nell’economia nazionale.
La Fondazione Agnelli, Istituto indipendente di ricerca nelle Scienze Sociali, che dal 2008 ha concentrato attività e risorse nello studio del settore educazione (scuola, Università, apprendimento permanente), il 12 aprile 2018 ha pubblicato uno dei suoi periodici e preziosi approfondimenti.
Il lavoro, dal titolo “Scuola. Orizzonte 2028”1, a partire dai dati ISTAT, ha evidenziato come, nei prossimi dieci anni, l’evoluzione demografica in atto porterà in Italia a una considerevole contrazione della popolazione studentesca nella fascia di età da 3 a 18 anni. Come rileva la Fondazione, “nessun altro Paese europeo avrà un trend così declinante”. In tutte le circoscrizioni e Regioni del Paese, la fetta di studenti si ridurrà complessivamente da 9 a 8 milioni circa e, a regole vigenti, comporterà la progressiva scomparsa di decine di migliaia di classi e di circa 55mila cattedre.
Con la normativa attuale, sarà probabile un rallentamento nel turnover con invecchiamento dei professori e con un numero di nuovi insegnanti in ruolo inferiore a quelli che usciranno. Progressivamente, a partire dalla scuola primaria, si evidenzierà un enorme surplus di insegnanti con il blocco dell’inserimento dei più giovani di loro nel mondo lavorativo.
Secondo il rapporto della Fondazione Agnelli, come conseguenza del decremento delle nascite nell’ultimo decennio, “a regole vigenti, nel 2028 assisteremo a una riduzione di circa 6300 sezioni della scuola dell’infanzia a livello nazionale. Gli iscritti alla scuola primaria (6-10 anni) diminuiranno consistentemente al Nord, al Centro e al Sud (con un picco del 24% in Sardegna e del 20% in Campania, ma lo stesso Veneto scenderà del 18%) con una perdita di circa 18.000 classi. […] Potrebbero essere oltre 55.000 i posti/cattedre in meno fra 10 anni, a partire dai gradi inferiori. Il fenomeno investirà progressivamente tutte le regioni, comprese quelle del Nord”.
Qualora non vi siano scelte diverse da parte dei prossimi Governi come il rafforzamento della scuola del pomeriggio, l’aumento del numero medio di insegnanti o la riduzione del numero di studenti per classe, lo studio ha calcolato che la perdita dei posti/cattedre, potrebbe comportare annualmente minori compensi per i professori statali per 1826 milioni di euro, calcolando lo stipendio lordo nella fascia di 0-8 anni di anzianità.
Il risparmio per lo Stato è illusorio se si considera che i lavoratori della scuola italiana appartengono a quel settore del 12% di contribuenti con trattenute alla fonte che pagano il 58% delle tasse, contribuendo così alla gran parte del gettito IRPEF, a sua volta fonte di retribuzioni/pensioni per molte categorie di cittadini.

Paradossalmente un aiuto ai livelli di lavoro previsti nella scuola potrebbe venire dall’epidemia di Covid-19. Probabilmente, per le norme sul distanziamento, dovrà essere ridotto il numero di studenti per classe, con il risultato di dover assumere più docenti. Il problema più importante, però, almeno in questo momento, riguarda più le strutture scolastiche, difficilmente riconvertibili che il personale. L’assunzione di nuovi professori avrà carattere di necessità soltanto temporanea, vista l’evidente diminuzione della popolazione scolastica italiana, che già da oggi mostra ampi vuoti tra le sue fila.

Denatalità e settore salute
A partire dal concepimento, ogni nuova gestazione necessita di molteplici figure professionali sanitarie: laureati in Ostetricia, medici specialisti in Ostetricia e Ginecologia, ecografisti, personale degli ambulatori, personale dei laboratori di analisi chimiche, anestesisti ecc. A queste vanno aggiunte tutte quelle competenze cui ricorrere in caso di controlli specialistici più approfonditi legati alla gestazione come cardiologi neonatali, genetisti, diabetologi e altri. L’elenco si infittisce al momento del parto quando è coinvolta l’intera rete ospedaliera e i servizi di trasporto a essa dedicati. In un mondo in cui la richiesta di eccellenza delle prestazioni sanitarie è sempre più pressante, il diminuire delle nascite può facilmente comportare un decadimento delle competenze specifiche di strutture periferiche o poco frequentate. Il problema è particolarmente sentito per i Punti nascita con meno di 500 nati l’anno, dove la scarsità della casistica rischia di generare prestazioni non adeguate agli standard operativi, tecnologici e di sicurezza richiesti dagli utenti e dal Ministero. D’altra parte esistono situazioni orogeografiche difficili nelle quali i presidi sanitari, oltre che indispensabili dal punto di vista medico, sono di validissimo apporto all’economia locale. Il dilemma di una loro chiusura in nome di una migliore assistenza nei Centri più frequentati ma meno facilmente raggiungibili in situazioni di urgenza, qual è spesso il parto, è di non facile soluzione. C’è il pericolo che l’inarrestabile e continuo calo della natalità renda inevitabile una soppressione dei Centri nascita minori, con tutti i rischi sanitari connessi ma anche con le negative ricadute economiche sul territorio.
Dopo la nascita, l’aspetto medico della vita del neonato è preso in carica dal pediatra di famiglia, fornito dal Sistema Sanitario Nazionale. Per noi che siamo pediatri e traiamo sostentamento dalla presenza di piccoli pazienti, l’equivalenza “meno bambini = meno opportunità lavorative” è scontata e solo temporaneamente e solo in parte controbilanciata perché, al momento, l’offerta della nostra figura professionale è inferiore alle richieste. Tutto ciò è dovuto all’avvicendamento delle classi pensionabili, al ridotto numero di specialisti formati e ai forti stimoli all’emigrazione professionale.

In Italia i pediatri di famiglia, di anno in anno, hanno visto assottigliarsi il loro bacino di utenti. Questa accelerazione è diventata impressionante nell’ultimo decennio. I bambini nella fascia di assistenza pediatrica di base (0-14 anni) sono diminuiti da 8.477.937 del 2010 a 7.564.791 al primo gennaio del 2021. In dieci anni abbiamo perso più di 900mila potenziali assistiti (Figura 4), mettendo una seria ipoteca sui posti di lavoro per i pediatri di famiglia e sui progetti di nuove strutture pediatriche che corrono il rischio di nascere sottoutilizzate.

Figura 4. Italia: popolazione 0-14 anni al primo gennaio di ogni anno (x 1000). Dati ISTAT.


Denatalità e settore merceologico
Meno facile è monetizzare la crisi di consumi che la denatalità provoca nel settore commerciale. È però intuitivo che i bambini muovono un mercato particolare fatto di alimenti, giocattoli, editoria e cartoleria, parchi ludici e di divertimenti, che ovviamente è destinato a contrarsi ulteriormente nel tempo sottraendo numerosi posti di lavoro. È di comune osservazione che nella grande distribuzione le aree alimentari e merceologiche destinate ai bambini stanno perdendo spazi e importanza.
Come esempio per valutare l’impatto di una denatalità così marcata sul mondo del consumo dedicato ai bambini, può essere interessante esaminare un indicatore tipico dei prodotti destinati a questa fascia di età come il latte intero fresco. Il report di Assolatte del marzo 20182 ha evidenziato come in Italia, nell’anno 2017, ci sia stato un consumo di latte intero fresco di -6,0% rispetto al 2015. Nello stesso periodo di confronto i latti per l’infanzia hanno segnato -8,6%.
Anche un altro settore di vitale importanza per l’industria italiana, quello della moda junior, rischia pesanti contraccolpi dovuti al mercato ormai povero di consumatori 0-14 anni. Si pensi che per tale fascia di età, il fatturato stimato per l’Italia per il solo 2018 era stimato in quasi tre miliardi di euro (Sita Ricerca per Sistema Moda Italia). Tutti questi dati, reperibili sul web, sono antecedenti all’epidemia di Covid-19 che ha travolto e peggiorato i mercati.
È vero che, in un mondo senza bambini, l’ingegno degli imprenditori ha spostato i target economici e affettivi verso fasce di età più numerose come gli anziani o verso altri settori come gli animali da compagnia, ma tutti questi hanno un minore arco vitale mentre i bambini, oltre ad avere la vita davanti a sé, sono i futuri produttori e consumatori e gli unici a potere e dovere sostenere il peso del sistema pensionistico.

Denatalità e spopolamento
La gravità e la desolazione dello spopolamento di vaste zone del territorio nazionale sono tali che molti amministratori di piccoli Comuni hanno lanciato l’idea di vendere le abitazioni abbandonate a prezzi simbolici. Queste iniziative possono richiamare solo chi ha denaro da investire in ristrutturazioni e abbellimenti, ma difficilmente si trasformano in progetti di ripopolamento stabile. Non vi può essere vera ripopolazione se non alla presenza di chi, in futuro, possa garantire una stabilità demografica con l’alternarsi delle età della vita.
La Regione Sardegna, territorio a particolare rischio di spopolamento, ha introdotto un bonus, per i primi cinque anni di vita del bambino, di 600-800 euro per i nati nelle zone interne nei Comuni con meno di tremila abitanti.

Il “dividendo demografico”
Con il termine “dividendo demografico” si intende la quota di crescita economica che può derivare dall’aumento della quota di popolazione in età lavorativa (15-64 anni). Bankitalia, in una recente (marzo 2018) e dettagliata analisi dal titolo Il contributo della demografia alla crescita economica3 analizza con accuratezza il crollo di questa voce.
Ecco le conclusioni del voluminoso lavoro di analisi di PIL e PIL pro capite: “Le modifiche nella struttura per età della popolazione hanno prodotto nel passato un dividendo demografico positivo. Al contrario negli ultimi venticinque anni e con ogni probabilità nel futuro, la demografia ha dato e darà un contributo diretto sensibilmente negativo alla crescita economica. I flussi migratori previsti limiteranno l’ampiezza di tale contributo negativo, ma non saranno in grado di invertirne il segno”.
La conferma di quanto scritto da Bankitalia viene dalle evidenze demografiche, le cui proiezioni da qui a dieci anni dimostrano che in Italia mancherà un milione circa di 40enni, elemento portante del sistema produttivo.

Panorama europeo degli aiuti alla natalità e situazione italiana

Le nazioni europee più evolute hanno compreso da molto tempo che la denatalità rappresenta forse la madre di tutti i problemi economici e che non possiamo delegare a figli e nipoti il conto da pagare per il nostro egoistico benessere attuale. Sono perciò intervenute per tentare di arginare il problema con programmi di aiuto alle famiglie per favorire nuove nascite.
Come si può vedere nella Figura 5, le nazioni che hanno preso seri provvedimenti per contrastare la denatalità mantengono, tranne la Finlandia, una fecondità superiore alla media europea. L’Italia, invece, occupa stabilmente le parti più basse della classifica.
È da notare, però, come nessuna dei Paesi presi in esame, raggiunga il valore di 2,1 nati per donna in età riproduttiva (linea rossa tratteggiata), quota minima necessaria per ottenere un fisiologico ricambio generazionale.

Figura 5. Europa: tasso di fertilità totale medio e dei principali Paesi. Dati EUROSTAT, aggiornamento 24 febbraio 2020. Elaborazione grafica di P. Masile.


Usando come indicatore la risalita, o almeno la non ulteriore discesa, del tasso di fecondità, possiamo dare un panorama dei provvedimenti di aiuto alle famiglie per quei Paesi che hanno ottenuto i migliori risultati. Il quadro europeo delle provvidenze, infatti, è quanto mai complesso e frammentato e riflette le possibilità ma anche le peculiarità di ogni singola nazione. Tentiamo una sintesi con i dati desunti dal sito della Commissione Europea: Employment, Social Affairs and Inclusion4.
La Francia è stata una delle prime nazioni ad adoperarsi con sostanziosi assegni familiari che vengono rivalutati ogni anno5. Secondo il reddito, i valori massimi possono raggiungere 132 euro per 2 figli fino a 470 euro per 4 figli. Accanto a questi c’è il pacchetto Paje (Prestation d’accueil du jeune enfant) che prevede, oltre a un premio considerevole di nascita, (947 euro per ogni nato), un assegno di base da 92 fino a 184 euro fino ai 3 anni di vita del bambino, un’indennità di istruzione per bambini condivisa (PreParE) e la libera scelta del tipo di assistenza al bambino che può essere anche una babysitter domiciliare o un micro asilo nido. In alcuni casi le agevolazioni prescindono dal reddito, a indicare che, qualunque sia l’introito della famiglia, ogni figlio rappresenta primariamente una ricchezza per la nazione intera. In Francia esistono anche Centri di accoglienza per genitori-figli, che permettono momenti di relax, convivialità, scambi di esperienze e giochi per i bambini fino a 4 o 6 anni, aperti anche ai futuri genitori. Un aspetto non trascurabile della situazione francese è anche l’adozione del sistema di tassazione con il “quoziente familiare”. I redditi del nucleo familiare sono sommati e poi divisi per un numero di parti risultante dall’attribuzione di un coefficiente a ciascun componente, anche quelli di minore età.
La Svezia ha concentrato invece i suoi sforzi nel campo dei congedi familiari: ogni genitore, padre compreso, ha diritto a 240 dei totali 480 giorni di congedo per ogni figlio più altri 180 giorni nel caso di nascite multiple. Per 390 di questi giorni lo stato assicura un sostanzioso assegno parentale ma alcune aziende private aggiungono spontaneamente il mancante della retribuzione. Quando i congedi terminano, è possibile avere una riduzione dell’orario lavorativo del 25% fino agli otto anni di vita del bambino. Oltre a questo, tutti i genitori hanno diritto a un assegno familiare per ogni figlio fino ai 16 anni e, fino a tale età, è gratis la scuola, compresi i libri, matite e quant’altro e le cure mediche, incluso il dentista. L’assegno può essere esteso come indennità di studio fino ai 20 anni. In Svezia è consentita ai bambini più piccoli la frequenza all’asilo durante le ore lavorate da padre e madre, accortezza fondamentale per garantire il mantenimento del posto di lavoro a entrambi i genitori.
La Germania, senza limiti di reddito familiare, prevede assegni di 194 euro al mese per il primo e il secondo figlio, 200 euro per il terzo e 225 euro per il quarto e altri figli. Il tutto fino ai 18 anni di età, prolungabili fino a 25 nel caso i giovani frequentino l’Università o inizino un apprendistato. Oltre a questo, ma destinato alle famiglie a basso reddito, vi è un assegno parentale che può arrivare a 1800 euro/mese e un assegno parentale plus fino a 900 euro/mese se si rinuncia temporaneamente al lavoro per seguire il bimbo nei primi anni di vita. C’è anche la possibilità per i neo-genitori di ottenere una riduzione dell’orario di lavoro fino a 25-30 ore settimanali per i primi tre anni di vita del bambino.
La Danimarca prevede un intervento di assegni familiari decrescenti in base all’età del bambino: 203 euro/mese da 0 a 2 anni, 161 euro/mese da 3 a 6 anni, fino a 126 euro/mese da 7 a 17 anni (importi per il 2019). Non tutti i genitori hanno diritto a ricevere l’intera somma, ma il plafond del reddito familiare è veramente alto: 105.000 euro/anno. Altre provvidenze sono previste in caso di nascita di più figli, e se il genitore è single con figli a carico, si può arrivare a un pacchetto assistenziale più conveniente, a volte, di un reddito di lavoro. Accanto a questi incentivi economici, questa nazione ha messo in campo anche una serie di brevi e vivaci sussidi visivi sotto forma di cortometraggi “patriottici” con lo scopo di promuovere nuove gestazioni. I titoli sono intuitivi: “Fallo per la Danimarca”, “Fallo per la nonna”, “Fallo per sempre…”

E l’Italia?
Il nostro Paese ha compreso molto tardi la gravità dei problemi legati alla denatalità. I provvedimenti che sono stati messi in opera dai vari Governi (e solamente a partire dal 2014) oltre ad essere poco consistenti sono scollegati tra loro. Come si può vedere in Figura 6, le misure governative finora messe in atto non hanno portato ad alcun risultato nell’andamento discendente della natalità nazionale.

Figura 6. Nascite in Italia. Dati ISTAT in relazione con le misure governative contro la denatalità. Elaborazione grafica di P. Masile.


Le ultime provvidenze, varate nel dicembre 2019 e previste nella Legge di Stabilità 2020, sarebbero già superate dal Family Act, inglesismo per il decreto di legge approvato dalla Camera il 21 luglio 2020 con un raro voto unanime6. Tuttavia, di queste “Deleghe al Governo per l’adozione dell’assegno universale e l’introduzione di misure a sostegno della famiglia”, siamo ancora oggi in attesa di conoscere i due parametri fondamentali: il “quanto” monetario e il “quando” le misure dovrebbero entrare in vigore.
Per la prima voce bisognerà verificare se l’assegno universale sia effettivamente più appetibile della somma delle indennità finora erogate come detrazioni, bonus, assegni familiari e altro. La presenza nella legge di una clausola di salvaguardia con “adozione di strumenti di integrale compensazione qualora il beneficio complessivo risulti inferiore al beneficio complessivo fruito prima della data di entrata in vigore della legge” più che rassicurare lascia perplessi. Fa temere la possibilità di un assegno poco conveniente e tediose lungaggini burocratiche.
Per l’aspetto cronologico, al momento in cui scriviamo, questo “assegno unico” è previsto a partire da luglio 2021 solo per i lavoratori autonomi e disoccupati, mentre per tutte le altre categorie di lavoratori dovrebbe essere a regime nel gennaio 2022. In ogni caso, l’assegno avrà una procedura legata all’ISEE che, anche se più equa, non semplificherà la sua applicazione e non darà al bambino quella caratteristica di “ricchezza per la nazione” indipendente dal censo che dovrebbe essergli riconosciuta.

Conclusioni

Lungi dal rappresentare una “spesa”, i figli sono da considerare una “risorsa” per l’economia nazionale. Essi generano necessità di figure professionali con conseguenti posti di lavoro e perciò consumi di primaria importanza che mettono in moto un ciclo produttivo virtuoso. In una società anziana come la nostra sono i veri e ultimi motori di un’economia ormai pericolosamente sbilanciata per l’assistenza alla terza età e dovranno sostenere, in pochi, l’argine sempre più debole contro il collasso del nostro sistema pensionistico.
Il crollo delle nascite non è un problema recente, ma ha le sue radici negli anni Settanta dello scorso millennio. La gravissima lacuna creata nella popolazione nazionale non potrà in alcun modo essere colmata e ciò causa già oggi seri problemi economici, ma soprattutto ne arrecherà di molto più gravi alle prossime generazioni.
Ogni neonato, già dalla gestazione, rappresenta non solo una ricchezza affettiva, ma è anche un formidabile produttore di risorse per il territorio. Per questo ogni donna in gravidanza e, dopo la nascita, ogni famiglia, dovrebbero ottenere un particolare sostegno dalla collettività affinché l’intera società possa beneficiare delle opportunità di lavoro che ogni nuovo nato favorisce per gli altri e dell’apporto che fornirà in futuro come cittadino attivo.
I notevoli sforzi che le nazioni europee più progredite stanno facendo per incrementare la fertilità sono la testimonianza più concreta che, oltre all’immenso valore affettivo e sociale, ogni neonato possiede una fortissima e positiva valenza economica.


A mia madre, ostetrica condotta durante e dopo la Seconda Guerra Mondiale.

Il lavoro è tratto dalla relazione “Children? Employers!” tenuta dall’Autore al convegno “Nascere in Sardegna”, organizzato annualmente dalla dottoressa Luciana Pibiri, Responsabile della Neonatologia dell’Ospedale Brotzu di Cagliari.

Bibliografia

  1. Fondazione Agnelli. Scuola. Orizzonte 2028. Evoluzione della popolazione scolastica in Italia e implicazioni per le politiche. 12 aprile 2018.
  2. Assolatte. L’andamento delle vendite dei mercati. Latte in pillole 3/2018.
  3. Barbiellini Amidei F, Gomellini M, Piselli P. Il contributo della demografia alla crescita economica: duecento anni di “storia” italiana. Banca d’Italia, n. 431, marzo 2018.
  4. European Union. Employment, Social Affairs & Inclusion.
  5. CAF France. Droits et prestations.
  6. Camera dei Deputati. Delega al Governo per riordinare e potenziare le misure a sostegno dei figli a carico attraverso l’assegno unico e la dote unica per i Servizi. 4 giugno 2018.

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