Febbraio 2002 - Volume V - numero 2
M&B Pagine Elettroniche
Pediatria per l'ospedale
Febbre
periodica ereditaria
(Parte
seconda)
I
pazienti con sindrome da iper-IgD hanno attacchi ricorrenti di febbre
che in generale iniziano prima della fine del primo anno di vita.
Un
attacco è caratterizzato da brividi, seguiti da un brusco
aumento della febbre, che dura 4-6 giorni, dopo i quali diminuisce
gradualmente.
La febbre
può essere provocata da stimoli diversi, come la vaccinazione,
un piccolo trauma, un intervento o lo stress. L'attacco è
usualmente accompagnato da linfoadenopatia, dolori addominali, vomito
e diarrea. Altri sintomi comprendono epato-splenomegalia, cefalea,
artralgie e artrite delle grandi articolazioni, maculo-papule
eritematose, insieme a petecchie e porpora. Una minoranza di pazienti
ha ulcere aftose, dolorose del cavo orale e della vagina. Fra gli
attacchi il paziente è senza sintomi, anche se le lesioni
cutanee e articolari scompaiono lentamente. Gli attacchi si
ripresentano ogni 4-6 settimane, ma l'intervallo può variare
ampiamente da un paziente a un altro.
Genetica
ed epidemiologia
La
sindrome da iper-IgD è ereditata come carattere autosomico
recessivo; metà dei pazienti con questa sindrome ha un
fratello colpito, perché la malattia è presente anche
allo stato eterozigote. La frequenza del gene colpito è bassa
(il rapporto è di 1 a 350). Il registro della sindrome da iper
IgD è tenuto in Olanda: i casi fino alla fine del 2001 sono
170 fra quelli pubblicati e quelli non pubblicati. Informazioni sono
ottenibili presso questo indirizzo
La
maggior parte dei pazienti sono bianchi e abitano nell'Europa
occidentale; il 60% di loro sono olandesi o francesi.
Reperti
di laboratorio
La
sindrome da iper-IgD è diagnosticata sulla base dei reperti
clinici caratteristici e sul costante elevato valore delle IgD (più
di 100 UI/mL). Nei pazienti più piccoli (sotto i 3 anni di
età) il valore delle IgD può essere normale, ma può
essere normale in qualche caso anche nelle età successive.
Quando la malattia si presenta in due fratelli, può accadere
che un fratello abbia valori elevati di IgD e l'altro valori bassi.
Più dell'80% dei pazienti ha anche alti livelli di IgA.
Durante l'attacco vi è un improvviso aumento delle proteine
della fase acuta con leucocitosi, alti livelli della proteina C
reattiva e della amiloide A del siero e attivazione della rete di
citochine.
E'
stata riscontrata un'elevazione nelle orine della neopterina, un
indicatore di una risposta immune cellulare attivata, in rapporto
all'attività della malattia.
Patogenesi
Il gene
della suscettibilità alla malattia è localizzato sul
braccio lungo del cromosoma 12. Il rilievo di questa localizzazione,
insieme al reperto dell'acido mevalonico nelle urine durante
l'attacco acuto in un soggetto con sindrome da iper IgD, ha portato
all'identificazione delle mutazioni del gene della mevalonato
chinasi, come causa della sindrome. La mevalonato chinasi è un
enzima chiave nella via metabolica del colesterolo. Nei pazienti con
sindrome da iper IgD l'attività della mevalonato chinasi è
ridotta dal 5 al 15% del valore normale; per questo i livelli di
colesterolo sono lievemente ridotti e durante l'attacco
l'escrezione dell'acido mevalonico si fa lievemente elevata.
La
maggior parte dei pazienti è eterogizote per mutazioni
missense nel gene della mevalonato chinasi. Una mutazione, la V377I,
è presente in oltre l'80% dei pazienti. Questa mutazione
determina una leggera riduzione della stabilità della proteina
mevalonato chinasi e nell'attività catalitica dell'enzima.
Meno dell'1% dei pazienti ha una perdita completa dell'attività
della mevalonato chinasi, che si associa alla mevalonico aciduria, un
raro disordine ereditario, caratterizzato da ritardo di sviluppo,
insufficienza a crescere, ipotonia, atassia, miopatia e cataratta.
Come la
deficienza di mevalonato chinasi sia collegata alla sindrome
periodica infiammatoria non è ancora chiaro.
Trattamento
Non
esiste un trattamento specifico della sindrome. Sono presenti solo
descrizioni anedottiche di efficacia dei corticosteroidi, delle Ig
per via venosa, della colchicina o della ciclosporina. La talidomide
è risultata senza effetto.
Prognosi
Gli
ammalati di sindrome da iper IgD hanno attacchi febbrili per tutta la
vita, tuttavia gli attacchi si fanno meno frequenti con il passare
dell'età. A volte può capitare che un paziente non
presenti attacchi per mesi o per anni. In questa malattia non è
stata descritta amiloidosi. Gli attacchi di artrite non portano a
distruzione articolare.
Strategia
diagnostica
Un'accurata
storia clinica è elemento essenziale per la diagnosi: in
generale la malattia si sviluppa nell'infanzia. In un paziente che
presenti una storia simile debbono essere valutati i livelli di IgD e
di IgA. Se essi risultano elevati, viene posta la diagnosi. Tuttavia,
per conferma, si può ricercare la mutazione V377I. Se il
risultato viene negativo e il quadro clinico è tipico,
potrebbe trattarsi di un'altra mutazione. E' possibile anche
ricercare l'attività della mevalonato chinasi, ma la tecnica
non è stata ancora messa a punto.
Il
dosaggio dell'acido mevalonico nelle urine non è utile,
perché esso è solo di poco più elevato durante
l'attacco.
La
sindrome periodica associata al recettore del TNF è stata
descritta per la prima volta in una famiglia irlandese: a questa
malattia venne dato il nome di febbre familiare Iberiana. I membri
della famiglia hanno una febbre ricorrente con mialgia ed eritema
doloroso localizzato. L'ereditarietà autosomico dominante di
questa malattia e la sua risposta ai corticosteroidi differenziano
quest'affezione dalla febbre mediterranea familiare.
I
pazienti con questa sindrome hanno attacchi che durano almeno 1-2
giorni, ma nella maggioranza dei casi l'attacco dura più di
una settimana: l'intervallo fra l'uno e l'altro può
essere di qualche mese (vedi la figura, riportata nella prima parte).
Il dolore localizzato e la consistenza di un gruppo muscolare,
insieme all'andamento migratorio dei sintomi, rappresentano gli
aspetti preminenti della malattia, quale si presentano in oltre l'80%
dei casi. E' comune il dolore addominale, di tipo colico, a volte
associato a diarrea o stitichezza, nausea e vomito. Sono comuni anche
(50% dei pazienti) una congiuntivite dolorosa, associata a meno a
edema periorbitario o dolore toracico dovuto a pleurite sterile.
Durante gli attacchi di febbre si sviluppano lesioni dolorose cutanee
al tronco o alle estremità con tendenza a migrare distalmente.
In oltre le metà dei pazienti si hanno macule eritematose e
placche edematose, dovute infiltrati perivascolari e interstiziali di
cellule mononucleate. Le artralgie sono comuni, mentre le artriti
sono rare. Fra gli altri sintomi sono da ricordare il dolore
testicolare e la cefalea. Il quadro clinico e la sua durata
differenziano bene questa malattia dalle altre sindromi periodiche.
Va ricordato che in alcuni pazienti la sintomatologia è
assolutamente vaga.
Genetica
ed epidemiologia
Sebbene
la malattia sia caratteristica di famiglie irlandesi e scozzesi, essa
è stata descritta anche in altri gruppi etnici: Australia,
Francia, Porto Rico, Stati Uniti e Olanda.
La
malattia viene ereditata come carattere autosomico dominante.
Esami
di laboratorio
Durante
un attacco tipico c'è neutrofilia, un aumento dei livelli
della proteina C reattiva e una lieve attivazione del complemento.
Sono aumentati i livelli di Ig, specialmente quelli di IgA; anche i
livelli di IgD possono essere aumentati, ma mai viene superato il
valore di 100 UI.
Il
reperto tipico della malattia è il basso livello serico del
recettore solubile tipo 1 del tumor necrosis factor (TNF).
Patogenesi
Il gene
suscettibile è stato mappato sul braccio corto del cromosoma
12. Sono state identificate molte mutazioni missense.
Il
recettore è espresso su molti tipi di cellule. Il TNF-a
determina la secrezione di citochine, attiva i leucociti, induce
febbre e cachessia. L'attivazione del recettore è
responsabile della rottura della molecola e della liberazione in
circolo della sua parte extracellulare; nella circolazione il
recettore agisce come un inibitore del TNF-a. Sono state trovate
almeno 16 mutazioni nel recettore tipo 1 del TNF: le alterazioni
strutturali che ne derivano interferiscono con la liberazione del
recettore e con la conseguente elevazione del livelli di TNF-a,
responsabile di conseguenza dell'infiammazione non controllata.
Trattamento
I
pazienti con sindrome associata al recettore del TNF rispondono ad
alte dosi di prednisone (più di 20 mg/dose). La risposta
iniziale è drammatica, ma in seguito bisogna aumentare la
dose. La colchicina non ha alcun effetto.
Per
neutralizzare l'effetto del TNF-a è sembrato essenziale
inibire l'azione del TNF, per far questo è stato usato
l'etanercept. L'etanercept è una proteina dimerica
ricombinante di fusione, che consiste di due copie del dominio
solubile extracellulare del recettore tipo 2 del TNF-a, che si lega
alla porzione costante (Fc) delle IgG1 umane. L'etanercet si lega
strettamente al TNF-a sia solubile che legato alle cellule e attenua
quindi i suoi effetti biologici. La presenza della porzione Fc delle
IgG1 porta a un allungamento della metà vita del farmaco. Il
trattamento con 25 mg di etanercept, due volte per settimana, ha
portato a un evidente miglioramento in 6 di 8 pazienti. In un caso il
trattamento per 3 giorni consecutivi di 25 mg al giorno, in un caso
grave di sindrome periodica associata al recettore TNF, ha portato a
una remissione per 6 mesi.
Prognosi
La
prognosi è legata alla presenza di amiloidosi; questa
complicanza si riscontra nel 25% dei casi. I depositi di amiloide
alterano principalmente la funzione del rene, ma a volte anche quella
del fegato. Poiché l'amilodosi renale si manifesta con
proteinuria, è bene nei pazienti, colpiti dalla sindrome,
controllare di frequente le urine per ricercare la proteinuria.
Strategia
diagnostica
Nei
pazienti con sindrome periodica associa al recettore TNF, il livello
del recettore tipo 1 del TNF è in quantità inferiore a
1 ng/mL nella maggioranza dei pazienti. In qualche caso tuttavia il
valore può anche essere normale, durante l'attacco.
L'analisi molecolare conferma la diagnosi: la sequenza DNA del gene
rivelerà le mutazioni conosciute, ma può metterne in
evidenza anche delle nuove. Va ricordato che non tutti i pazienti con
la mutazione hanno sintomi, perché la malattia è a
penetranza incompleta.
Nonostante
la scoperta dell'alterazione genetica nei 3 tipi di febbre
periodica ereditaria, la caratteristica periodicità degli
attacchi di febbre rimane ancora da chiarire. Si può pensare
che le proteine mutate funzionino normalmente in condizioni basali,
ma che la funzione di scompensi quando ci si trovi in situazioni di
stress. Questa spiegazione è in accordo con quanto si rileva
di norma: la maggior parte dei pazienti ha un attacco quando si
verifichi un trauma localizzato o un piccolo intervento chirurgico.
Altri fattori precipitanti possono essere: le infezioni virali, la
vaccinazione e altro.
A parte
le 3 forme descritte vi sono altre sindromi febbrili periodiche, meno
caratterizzate: fra queste l'orticaria familiare da freddo e altre.
Al momento attuale le 3 sindromi sopra descritte coprono solo il 50%
di tutte le sindromi, caratterizzate da febbre periodica.
Al
contrario delle forme di cui abbiamo parlato fino a ora, nella PFAFA
non è stato trovato alcun difetto genetico; essa d'altra
parte ha una prognosi buona e risponde bene al trattamento con
prednisone.
Drenth
JPH, van der Meer JWM Hereditary periodic fever N Engl J
Med 345:1748-57, 2001
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