Rivista di formazione e aggiornamento di pediatri e medici operanti sul territorio e in ospedale. Fondata nel 1982, in collaborazione con l'Associazione Culturale Pediatri.

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Striscia... la notizia

a cura di Maria Valentina Abate
Patologia Neonatale, ASST Papa Giovanni XXIII, Ospedale di Bergamo
Indirizzo per corrispondenza: valentina_aba@yahoo.it





AIFA, in rete notizie fuorvianti sul vaccino anti-influenza
‘Non bisogna lasciarsi condizionare da false notizie sul web, bensì vaccinarsi’

Circola in queste ore sui canali social (Facebook e Twitter), “con chiaro intento allarmistico da parte di chi periodicamente la rilancia (specie durante la campagna di vaccinazione antinfluenzale)”, la notizia di un divieto di utilizzo di vaccini antinfluenzali da parte dell’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA). In realtà gli articoli citati, avverte la stessa AIFA sul proprio sito, “risalgono al 2014 e riportano notizie di decessi che in nessun caso sono stati correlati alla somministrazione dei vaccini, come è emerso dagli approfondimenti scientifici condotti in seguito dalle autorità nazionali ed europee”.
Si tratta dunque di una “notizia fuorviante che rischia di arrecare danno alla campagna di vaccinazione antinfluenzale in corso”. L’AIFA ribadisce dunque “l’importanza di vaccinarsi contro l’influenza stagionale, in particolare per le categorie più a rischio (soprattutto anziani e persone di tutte le età con patologie di base che aumentano il rischio di complicanze in corso d’influenza), e di non lasciarsi condizionare da false notizie circolanti in rete”.




Ferite e cadute da lettini e divani, mai lasciare i bimbi da soli
È il motivo più frequente di incidenti fra i più piccoli

Attenzione a lasciare i bimbi anche solo per pochissimi istanti da soli sul letto o sul divano, convinti che, avendo una parte morbida questi mobili siano meno pericolosi. I problemi, a volte anche gravi, derivanti dalle cadute possono essere in agguato, se si considera che sono oltre 2 milioni i bambini di età inferiore ai 5 anni negli USA che sono stati trattati nei reparti di emergenza degli ospedali per ferite e traumi relativi a questi specifici mobili di casa tra il 2007 e il 2016. A calcolarlo è una ricerca che sarà presentata all’American Academy of Pediatrics 2018 National Conference & Exhibition.
“I genitori spesso lasciano i bambini su un letto o un divano, si allontanano per un po’ e pensano che non sia pericoloso -, evidenzia il ricercatore che ha guidato lo studio, Viachaslau Bradko -, ma la nostra ricerca mostra che questi tipi di cadute sono ora la fonte più comune di lesioni in questo gruppo di età”. I bambini avevano 2,5 volte più probabilità di essere feriti dalle cadute da letti e divani di quanto non fossero da infortuni legati ad esempio alle scale.
I ricercatori hanno analizzato i dati del Sistema di sorveglianza degli infortuni elettronici nazionali della Commissione per la sicurezza dei consumatori negli Stati Uniti dal 2007 al 2016. Hanno scoperto che 2,3 milioni di bambini di 5 anni o meno sono stati trattati per lesioni legate a letti e divani, in generale mobili con parti morbide, durante quel periodo di tempo, con una media di 230.026 feriti all’anno.
È emerso anche che il 62% dei bambini ha riportato lesioni all’area della testa e del viso. Fortunatamente, un trauma grave e potenzialmente letale è stato raro, ma il 2,7% dei piccoli è stato ricoverato in ospedale. I maschietti avevano più probabilità di farsi male rispetto alle femminucce.




Togliere le tonsille? In sette casi su otto si potrebbe evitare
Uno studio analizza le operazioni sui bimbi del Regno Unito

Nei bambini sette casi di tonsillectomia su otto sarebbero evitabili. È questo il risultato di uno studio di oltre 1,6 milioni di cartelle cliniche scritte da più di 700 medici di medicina generale tra il 2005 e il 2016 nel Regno Unito. I ricercatori dell’Università di Birmingham hanno scoperto che su 18.271 bimbi che hanno rimosso le tonsille in questo periodo solo l’11,7% (2.144) ha avuto un dolore tale alla gola da giustificare un intervento chirurgico. I risultati dell’analisi sono state pubblicate sul British Journal of General Practice. I ricercatori hanno scoperto che, tra coloro che avevano subito una tonsillectomia, il 12,4% aveva riportato da cinque a sei mal di gola in un anno; il 44,7% aveva sofferto da due a quattro mal di gola in un anno, e il 9,9% ha avuto un solo di gola nell’arco dei 12 mesi.
“La ricerca suggerisce che i bambini con meno mal di gola non hanno abbastanza giovamento da giustificare un intervento chirurgico, perché il mal di gola tende ad andare via comunque”, ha sottolineato Tom Marshall, docente dell’Università di Birmingham che ha condotto lo studio.




Nel mondo 21 milioni di bambini hanno bisogno di curare il dolore
Arriva una guida dell’Organizzazione Mondiale Sanità sulle cure palliative

Anche quando non si può guarire, c’è ancora molto da fare. È importante infatti lenire la sofferenza, soprattutto se a essere colpito da malattia inguaribile è un bambino. Nel mondo sono 21 milioni, e in Italia 35.000, i bimbi che necessitano di cure palliative specialistiche, in grado di garantire la qualità e dignità alla loro vita, ma il 20% di loro vi ha accesso.
A evidenziarlo è la Fondazione Maruzza Lefebvre D’Ovidio Onlus, che annuncia che in convegno che si terrà a Roma il 24 ottobre ci sarà la presentazione in anteprima mondiale di una guida dell’Organizzazione Mondiale Sanità (OMS) sulle cure palliative pediatriche, Guide Integrating Palliative care and symptom relief into paediatrics - A WHO guide for health care planers, implementers and manager. ”Le cure palliative sono una responsabilità etica condivisa, non solo dagli operatori sanitari che si prendono cura dei bambini, ma anche dai servizi sanitari nel loro insieme” evidenzia Marie-Charlotte Bouësseau, Advisor dell’Organizzazione Mondiale Sanità e responsabile per la presentazione del documento.
La Guida si rivolge a tutte quelle persone che si occupano di salute, incluse le istituzioni dei governi di ogni paese, preposte alla pianificazione delle cure di base pediatriche. La cerimonia di apertura del convegno prevede anche la partecipazione straordinaria degli Emirati Arabi Uniti, con Sua Altezza Reale Sheika Jawaher bint Mohammed Bin Sultan Al Qasimi, moglie di Sua Maestà il Sultano dello Sharjah in qualità di fondatrice e sostenitrice degli Friends of Cancer Patients Uae. Spazio anche alla tecnologia, con l’intervento degli innovatori giapponesi Kevin Kajitani & Akira Fukabori, che presenteranno per la prima volta in Italia la Ana Avatar Initiative che, con il supporto delle linee aeree giapponesi, promuove lo sviluppo di una tecnologia avanzata nel campo della robotica per utilizzo anche nel mondo della medicina.




Colla, coca, eroina: in Italia l’emergenza droga comincia a 8 anni

Dal 2013 sono raddoppiati i ragazzi tossici. E l’età media è sempre più bassa: bambini che sperimentano i solventi, tredicenni che si prostituiscono per una dose, adolescenti sottoposti a trattamento sanitario obbligatorio. Ecco le loro drammatiche storie.

Le scuole medie, Riccardo, le ha viste solo da lontano. Quel giorno di settembre è arrivato davanti al cancello dell’istituto, l’ha fissato per alcuni secondi e poi se ne è andato. Per lui non ci sarebbero stati libri, compagni, compiti in classe. Aveva 12 anni e una sola necessità: farsi di coca e farlo in fretta. Oggi Riccardo, 16 anni appena compiuti, tossicodipendente da quattro, in fuga da tre diverse comunità terapeutiche, praticamente analfabeta, fa parte di quella generazione di ragazzi interrotti che aumenta giorno dopo giorno.
Bambini che a 8 anni hanno già sperimentato le droghe più devastanti: colla e solventi. Tredicenni che si prostituiscono per una dose, rimangono incinte e sono costrette ad abortire. Adolescenti legati con le cinghie ai letti di contenzione, sottoposti a trattamenti sanitari obbligatori negli ospedali psichiatrici per adulti. Eroina non più fumata ma sparata direttamente in vena, così che a 13 anni hanno già il corpo massacrato dai buchi delle siringhe, si ammalano di epatite e AIDS, come i vecchi tossici negli anni Ottanta.
Le loro storie, raccolte dall’Espresso, fanno rabbrividire. Sono contenute nei verbali delle forze dell’ordine che ogni giorno prestano servizio nelle piazze dello spaccio e nei boschi della droga. Sono scritte nero su bianco nelle relazioni dei Tribunali per i minorenni. Escono dalla bocca di quegli stessi ragazzi che a fatica accettano di parlare, dalle comunità dove stanno cercando lentamente di riemergere dagli abissi della tossicodipendenza.
Un’emergenza alla quale il nostro Sistema sanitario nazionale non riesce più a stare dietro. Secondo i dati ottenuti dall’Espresso, da Nord a Sud la presa in carico da parte dei Servizi sanitari locali dei minori che fanno uso di droga negli ultimi 5 anni è quasi ovunque raddoppiata. Anche i Tribunali per i minorenni - sia civili che penali - registrano un’impennata di baby consumatori: quasi tutti italiani, iniziano ad assumere droga in media a 12 anni.
Mentre le comunità terapeutiche per minori con problemi psichici causati dalle droghe - il vero fenomeno di questi ultimi anni - si contano sulle dita di una mano. E così i bambini tossicodipendenti con disagi mentali spesso sono trasferiti a centinaia di chilometri di distanza dalle loro famiglie in luoghi non idonei. O trattenuti in reparti neuropsichiatrici per adulti, dove non potrebbero stare.

L’impennata dei SERD
In tutta Italia - secondo i dati elaborati dal Dipartimento per la giustizia minorile del ministero della Giustizia - i minori e i giovani adulti (dai 18 ai 25 anni) attualmente in carico agli uffici di servizio sociale per i minorenni sono 20.466, di cui oltre 7 mila nuovi arrivi solo nell’ultimo anno. Negli ultimi 12 mesi, quelli collocati nelle comunità dell’area penale - fra cui i minori che hanno commesso reati in materia di stupefacenti - sono stati 1.837, con un aumento di quasi 300 unità rispetto al 2015. Poco più di cento, invece, quelli ricoverati in apposite strutture per disintossicarsi. Quando si tratta di minorenni infatti - i magistrati sono i primi ad ammetterlo - le comunità sono solo l’estremo rimedio. Nella maggior parte dei casi i ragazzi vengono indirizzati verso i SERD, i servizi pubblici per le dipendenze patologiche. Ed è anche qui che i numeri degli under 18 in cura negli ultimi anni hanno avuto un’impennata, al punto che alcune Regioni si sono dovute attrezzare con dipartimenti riservati solo agli adolescenti e con la nascita di strutture private, ormai sempre più diffuse.
Ma si tratta ovviamente di una panoramica sottostimata: mancano all’appello tutti i ragazzi che non sono entrati nel circuito dei tribunali e che si sono rivolti direttamente a strutture terapeutiche private. O che sono totalmente sconosciuti ai servizi sociali.




Mielite flaccida acuta: l’infezione che sta colpendo bambini e adolescenti negli USA
Si manifesta inizialmente come un semplice raffreddore. Può essere frenata, ma in alcuni casi anche degenerare fino alla paralisi, come accade con la poliomielite.

All’inizio, sembra il più classico dei raffreddori. Ma in questi casi le conseguenze dell’infezione respiratoria possono essere più gravi e portare finanche alla paralisi dei bambini che ne sono colpiti, come accade con il virus della poliomielite. Si chiama mielite flaccida acuta la condizione che finora, negli Stati Uniti, ha colpito 127 persone: nella quasi totalità dei casi bambini e adolescenti.
Ondate analoghe - il periodo tra agosto e ottobre è comunque quello di massima circolazione del virus - si sono registrate anche nel 2014 (prima volta) e nel 2016. Alla base di tutto, con ogni probabilità, c’è l’enterovirus D68, un agente della famiglia dei poliovirus. Le prove, però, sono ancora incomplete. Ci si chiede innanzitutto come mai l’infezione evolva nella paralisi soltanto in una minoranza dei casi.

Una correlazione da perfezionare
Tutti questi aspetti stanno facendo crescere la preoccupazione al di là dell’Atlantico. La complicanza dell’infezione può risolversi in poche ore, con il ritorno dei pazienti al pieno controllo della muscolatura dei propri arti. Oppure perdurare fino all’irreversibilità. Quello che gli esperti hanno potuto escludere con certezza, finora, è il coinvolgimento del virus responsabile della poliomielite: mai rilevato in alcuno dei campioni fecali dei pazienti colpiti dalla mielite flaccida acuta. Rimane però il dato di fatto. Negli ultimi quattro anni, a cavallo tra la fine dell’estate e l’autunno, negli Stati Uniti s’è osservato un aumento dei casi, in concomitanza con la diffusione di infezioni respiratorie dovute a rinovirus ed enterovirus.
Cercando di capire se vi fosse una correlazione fra l’infezione respiratoria e la paralisi, si è arrivati a quello che è lo stato dell’arte. La corrispondenza tra l’aumento delle infezioni e dei casi di paralisi flaccida farebbe ipotizzare un ruolo dell’enterovirus D68, come confermato anche pochi mesi fa in un lavoro pubblicato sulla rivista The Lancet Infectious Diseases. Ma la rara rilevazione del virus nel liquido cerebrospinale e l’assenza di studi su animali non permette ancora di confermare la correlazione oltre ogni ragionevole dubbio.

Segnalare subito i casi sospetti
In alternativa, a causare la mielite flaccida acuta potrebbero essere il virus del Nilo occidentale, alcune tossine ambientali o un difetto del sistema immunitario che porta i linfociti ad aggredire le cellule del proprio organismo. Molti però sono i punti da chiarire: a partire dal motivo che spinge il virus a infettare la maggior parte delle persone senza innescare queste conseguenze.
Per adesso, soltanto ipotesi: da un possibile ruolo di alcuni geni alla possibilità che il virus determini la paralisi soltanto se arriva a contatto con dei muscoli lesionati. Quanto alle terapie, gli esperti stanno sperimentando delle immunoglobuline e il farmaco fluoxetina. Visto che i dubbi sono più delle certezze, il Centro statunitense per il Controllo delle Malattie Infettive (CDC) ha lanciato un messaggio chiaro ai genitori: «Occorre cercare subito il supporto di un medico se un figlio sviluppa una debolezza improvvisa e progressiva, fino alla perdita nel controllo degli arti». La prontezza nella sorveglianza e nella diagnosi sono le armi più efficaci al momento disponibili per evitare la mielite flaccida acuta.




Contraccezione. Nei Paesi in via di sviluppo 20 milioni di ragazze non vi accedono

Ogni anno sei milioni di gravidanze indesiderate e due milioni di aborti potrebbero essere evitati se le ragazze dei Paesi in via di sviluppo fossero indirizzate a una contraccezione affidabile, che costerebbe circa 25 dollari pro capite.

“Sono circa 20 milioni le ragazze di età compresa tra i 15 e i 19 anni nei Paesi in via di sviluppo sessualmente attive che non hanno accesso a una contraccezione affidabile”, sottolineano i ricercatori dall’Istituto Guttmacher, un’organizzazione statunitense che si occupa di salute sessuale e diritti riproduttivi.
Più di tre quarti di esse non utilizza alcun metodo contraccettivo e le altre ricorrono a tecniche poco efficaci, come l’astinenza completa nei giorni di presunta fertilità.
Fornire la contraccezione a queste ragazze costerebbe circa 25 dollari pro capite.
Con l’accesso alla contraccezione, anche le morti materne legate alle complicazioni della gravidanza nelle adolescenti calerebbero di circa 6.000 unità all’anno.
Gli autori del rapporto sollecitano un maggior impegno delle organizzazioni interessate a promuovere la scelta riproduttiva, attuando programmi educativi per ragazze e ragazzi, combattendo il fenomeno dell’abuso sessuale e coinvolgendo le scuole in attività di sensibilizzazione.




Lo studio del pediatra è troppo affollato? Colpa (anche) di Peppa Pig

Secondo un articolo pubblicato sul British Medical Journal il cartone animato più amato dai piccoli veicola un messaggio diseducativo: troppe visite a domicilio e medicine per ogni piccolo malanno (anche se non servirebbero).

A quanti genitori non è capitato, soprattutto in questo periodo di malanni e raffreddori, di andare dal pediatra e trovare la sala d’aspetto iper affollata di bambini febbricitanti o pieni di catarro? Tutta colpa dell’influenza o peggio, della varicella? Sembrerebbe di no. Almeno secondo quanto scrive il British Medical Journal nel suo numero natalizio che «incolpa» del sovraffollamento (e dell’uso improprio delle risorse di assistenza primaria) niente meno che Peppa Pig, la famosissima maialina del cartone animato più amato dai piccoli e conosciuta in 180 Paesi del mondo.

Messaggio diseducativo
Il motivo dello j’accuse è presto detto. Secondo la prestigiosa rivista scientifica il medico di Peppa e dei suoi amici, Orso Brown, sarebbe eccessivamente prodigo di visite a domicilio e sciroppi per ogni più piccolo malanno, anche quando in realtà non ci sarebbe bisogno di una visita dal pediatra e neppure di una prescrizione. Autrice dell’articolo è Catherine Bell, medico di medicina generale a Eckington, in Inghilterra e madre di un bambino piccolo che ama Peppa Pig. Secondo la dottoressa il messaggio trasmesso dal cartone animato è diseducativo e spinge le famiglie a credere che il medico di base sia sempre pronto a rispondere per ogni minimo problema o addirittura ad andare a casa.

La medicina sempre necessaria?
Pur sottolineando che Peppa Pig trasmette molti messaggi positivi sulla salute pubblica, incoraggiando un’alimentazione sana, l’esercizio fisico e la sicurezza stradale, la dottoressa Catherine Bell sottolinea che alcune puntate veicolano un messaggio sbagliato, e cioè che si possa chiamare il dottore per qualunque minimo problema (e soprattutto risponde subito), anche per un banale raffreddore, e che si debba prendere una medicina anche se per rimettersi in forze basterebbe restare sotto le coperte al calduccio e riposare. Ma sarà davvero colpa di Peppa Pig che gli studi pediatrici sono presi d’assalto o ci sono in giro anche molti genitori ansiosi?

La prospettiva distorta dell’intervento medico
«Peppa Pig è pur sempre un cartone animato, quindi ci sono limiti di cui va tenuto conto - commenta Roberto Marinello, pediatra di base - ma sottoscrivo l’articolo pubblicato sul British Medical Journal - perché cambia la prospettiva dell’intervento medico: quell’orso dottore si atteggia più da genitore che da medico. Viene saltato un passaggio molto importante, la gestione familiare delle piccole questioni sanitarie come il riposo, la febbre o il raffreddore e via così. Se al primo sintomo interviene un estraneo è probabile che si generi ansia, anche nel bambino. Sapere che il genitore può gestire un malanno infonde sicurezza nei più piccoli. Chiamare il dottore subito per problemi banali è un percorso perverso».

Quando chiamare il pediatra
Allora come possiamo aiutare i genitori a non entrare nel panico e consultare il pediatra quando è davvero necessario? «In generale, se la febbre è a 39 e non scende con il paracetamolo, se ci sono macchie sul corpo che possono fare sospettare una malattia esantematica, se ci sono sintomi come vomito, diarrea che perdurano per qualche giorno allora è giusto chiamare il medico - spiega Roberto Marinello - Anche l’influenza è gestibile a casa, se i classici sintomi come raffreddore, febbre alta o tosse non passano dopo 2-3 giorni allora va chiamato il pediatra. Ma sono i genitori che conoscono bene i propri figli: se si accorgono che sono inappetenti, apatici o semplicemente diversi dal solito allora è bene programmare una visita. Naturalmente è il pediatra che deve dedicare del tempo, in particolare ai neo genitori, a insegnare come comportarsi se ci sono piccole problematiche di salute»




Screening neonatale esteso. ISS: “L’85% delle Regioni ha avviato programma, ma solo il 38% ha attivato i Centri di coordinamento”

Pubblicato dall’Istituto superiore di sanità il primo Rapporto sullo stato dell’arte dei programmi regionali. In ritardo Abruzzo, Basilicata e Calabria. “Necessario rafforzare ulteriori sinergie soprattutto in direzione della cooperazione sul territorio”. Leggi il Rapporto

Sono 18 le Regioni/Province Autonome che hanno avviato il programma di Screening Neonatale Esteso (SNE), mentre in tre Regioni (Abruzzo, Basilicata e Calabria) il sistema SNE è ancora in fase di attivazione. Quattordici i laboratori dotati di spettrometria di massa tandem e 15 quelli che fanno anche il test di conferma diagnostica. Sono questi alcuni dei risultati del primo report sullo stato di attuazione della Legge 167/2016 e del DM 13 ottobre 2016 sullo SNE in Italia.
Il report è stato illustrato nel corso del Convegno che si è tenuto oggi all’Istituto Superiore di Sanità “Screening neonatale esteso”. Secondo il rapporto i Centri clinici per le malattie metaboliche ereditarie (MME) oggetto dello SNE operanti in Italia sono 29, tutti afferenti alla Rete nazionale delle malattie rare.
Il documento, elaborato a distanza di un anno circa dall’entrata in vigore della normativa, dal Centro di Coordinamento sugli Screening Neonatali (CCSN) operativo presso l’ISS, in collaborazione con il Centro Nazionale Malattie Rare e le Regioni/PA, descrive lo stato dell’arte dei singoli programmi regionali SNE al 30 giugno 2017.
“L’Italia si pone all’avanguardia nel settore dello screening neonatale – dichiara Angelo Lino Del Favero, Direttore dell’Istituto Superiore di Sanità - La Legge 167/2016, infatti, richiede un’operazione di organizzazione e di raccordo dei centri clinici sul territorio che è ormai pienamente in corso. La metà delle Regioni ha una copertura totale delle patologie oggetto di screening e in tutte le altre si stanno definendo i vari livelli del sistema. Tutte comunque sono al lavoro per l’applicazione della Legge”.
La Legge ha posto l’obiettivo di effettuare lo screening a tutti i nati per un numero significativo di malattie metaboliche ereditarie e detta tempi di risposta che devono essere rapidi in modo da consentire, grazie a diagnosi tempestive, di attuare precocemente, ove possibile, terapie in grado di influire favorevolmente sulla storia naturale della malattia.
Il Report, tuttavia, evidenzia anche le carenze da sanare: solo otto Regioni (38%) hanno individuato il Centro di Coordinamento Screening. Inoltre, la copertura nazionale della popolazione neonatale non raggiunge ancora il 100%.
“Questa Legge rappresenta una delle norme più avanzate in materia di Sanità pubblica - dichiara Domenica Taruscio, Direttore del Centro Nazionale Malattie Rare - I risultati di questo primo report mostrano la volontà delle Regioni di realizzare i suoi obiettivi. Tuttavia, è necessario rafforzare ulteriori sinergie soprattutto in direzione della cooperazione sul territorio in modo che la Legge trovi l’applicazione più estesa e più capillare possibile. In questo è fondamentale il supporto e la collaborazione di tutti: dalle Istituzioni centrali alle Regioni, ai centri clinici, alle associazioni di pazienti e famiglie fino alle società scientifiche, soprattutto per garantire ai nuovi nati l’equità nell’accesso allo screening”.

Lo screening neonatale
Lo screening neonatale è un programma complesso, integrato e multidisciplinare di prevenzione sanitaria secondaria. Lo scopo è quello di identificare, su tutta la popolazione neonatale, i soggetti che presentano alterazioni biochimiche indicative di determinate malattie, procedere all’accertamento diagnostico e, in caso di diagnosi confermata, avviare il paziente al trattamento specifico per la malattia da cui è affetto e assicurargli il successivo follow-up. In Italia, lo screening neonatale rivolto a tutti i nati, include la fenilchetonuria, l’ipotiroidismo congenito e la fibrosi cistica. Lo screening neonatale per queste tre patologie è diventato obbligatorio per tutti i nati sul territorio nazionale con la Legge n. 104 del 5 febbraio 1992 e successivi regolamenti attuativi.




Precisazioni dell’AIFA sui medicinali biosimilari

Con riferimento ad alcune notizie recentemente apparse sugli organi di stampa, l’AIFA intende fornire alcune precisazioni sui medicinali biosimilari.
L’approvazione dei medicinali biosimilari segue elevati standard di qualità, sicurezza ed efficacia, così come previsto per tutti i medicinali biologici approvati nell’Unione Europea.
Le evidenze a oggi disponibili provenienti da studi clinici e dall’esperienza acquisita nel corso di oltre 10 anni di pratica clinica supportano l’equivalenza dei biosimilari, in termini di qualità, efficacia e sicurezza, rispetto ai prodotti di riferimento.
Dall’introduzione nel 2006 del primo biosimilare nella pratica clinica, sono stati autorizzati e utilizzati numerosi altri biosimilari, e per nessuno di questi (oltre 25 medicinali) sono stati adottati provvedimenti di revoca o sospensione dell’autorizzazione all’immissione in commercio per motivi di sicurezza o di mancanza di efficacia1.
Dai dati disponibili in letteratura scientifica internazionale, provenienti da studi clinici e revisioni sistematiche, non si evidenziano rischi associati allo switch da biologico di riferimento a biosimilare2-4.
La sicurezza dei medicinali biosimilari è costantemente monitorata attraverso tutte le attività di farmacovigilanza e dalle segnalazioni spontanee, nonché dagli studi di farmacovigilanza post autorizzativi, da cui non emerge un aumento statisticamente significativo di reazioni avverse da biosimilari, per i quali peraltro a oggi esiste una consistente casistica d’impiego, rispetto ai medicinali di riferimento.
Pertanto, si ribadisce quanto indicato nel Secondo Position Paper di AIFA sui Farmaci Biosimilari: “Pur considerando che la scelta di trattamento rimane una decisione clinica affidata al medico prescrittore, a quest’ultimo è anche affidato il compito di contribuire a un utilizzo appropriato delle risorse ai fini della sostenibilità del sistema sanitario e la corretta informazione del paziente sull’uso dei biosimilari.
Come dimostrato dal processo regolatorio di autorizzazione, il rapporto rischio-beneficio dei biosimilari è il medesimo di quello degli originatori di riferimento. Per tale motivo, l’AIFA considera i biosimilari come prodotti intercambiabili con i corrispondenti originatori di riferimento. Tale considerazione vale tanto per i pazienti naïve quanto per i pazienti già in cura”.


Bibliografia
  1. EMA. Biosimilars in the EU. Information guide for healthcare professionals.
  2. Wiland P, Batko B, Brzosko M, et al. Biosimilar switching - current state of knowledge. Reumatologia 2018;56(4):234-42.
  3. Inotai A, Prins CP J, Csanadi M, et al. Is there a reason for concern or is it just a hype? A systematic literature review of the clinical consequences of switching from originator biologics to biosimilars. Expert Opin Biol Ther 2017;17:915-26.
  4. Kurki P, van Aerts L, Wolff-Holz E, et al. Interchangeability of biosimilars: a European perspective. BioDrugs 2017;31:83.



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M.V. Abate (a cura di). AIFA, in rete notizie fuorvianti sul vaccino anti-influenza - Ferite e cadute da lettini e divani, mai lasciare i bimbi da soli - Togliere le tonsille? In sette casi su otto si potrebbe evitare - Nel mondo 21 milioni di bambini hanno bisogno di curare il dolore - Colla, coca, eroina: in Italia l’emergenza droga comincia a 8 anni - Mielite flaccida acuta: l’infezione che sta colpendo bambini e adolescenti negli USA - Contraccezione. Nei Paesi in via di sviluppo 20 milioni di ragazze non vi accedono - Lo studio del pediatra è troppo affollato? Colpa (anche) di Peppa Pig - Screening neonatale esteso. ISS: “L’85% delle Regioni ha avviato programma, ma solo il 38% ha attivato i Centri di coordinamento” - Precisazioni dell’AIFA sui medicinali biosimilari. Medico e Bambino pagine elettroniche 2018;21(10) https://www.medicoebambino.com/?id=NEWS1810_10.html