Riproduzione
assistita e difetti congeniti
Dal
momento che la riproduzione assistita sta diffondendosi sempre
maggiormente, ci si è posti il problema della relazione
eventuale di questa tecnica con le malformazioni congenite: sono
stati usati i dati di un registro perinatale dell'Ontario relativo
al 2005 e riguardanti donne sottoposte ad induzione
dell'ovulazione (298), inseminazione intrauterina (173),
inseminazione in provetta (319) e confrontando tali dati con un
campione di controllo rappresentato da 60.170 donne non sottoposte
ad alcuna tecnica riproduttiva.
Rispetto
ai controlli, le donne del gruppo studiato erano
significativamente più avanti negli anni, avevano meno
figli precedenti e presentavano una meno frequente abitudine al
fumo di sigaretta. La prevalenza dei difetti congeniti maggiori,
diagnosticati in epoca prenatale o perinatale è stata
significativamente maggiore nei bambini concepiti con metodi
artificiali (2.9% contro 1.9%).
La
prevalenza di difetti gastrointestinali, cardiovascolari e
muscolo-scheletrici è stata maggiore, ma non la prevalenza
di difetti del tubo neurale o facciali.
Non
c’è al momento una ipotesi univoca che spieghi questa
maggiore associazione. Sappiamo che le tecniche di gravidanza
artificiale comportano un aumento di rischio di difetti congeniti,
ma non sappiamo il perché: la causa stessa dell'infertilità
potrebbe essere alla base di queste malformazioni, ma rimaniamo
nel campo di ipotesi.
Quello
che è necessario è invece informare le donne di
questa possibile evenienza negativa, quando decidono di ricorrere
a tecniche artificiali di fecondazione.
Cautele
sull’uso della TAC nei bambini
L’esecuzione
di una TAC può rappresentare un utile strumento
diagnostico, a volte indispensabile. Non va dimenticato però
che la TAC come e più di altre tecniche radiologicheespone
l’organismo a importanti quantità di radiazioni che,
se ripetute ed eccessive possono aumentare il rischio
cancerogenico. I bambini, in particolare, in quanto individui in
crescita, presentano un importante turnover cellulare e quindi una
maggiore vulnerabilità agli effetti delle radiazioni. Al
momento non è stabilita una soglia sicura delle quantità
di radiazioni, il rischio di cancro comunque risulta essere
cumulativo e aumenta in maniera proporzionale alla dose ricevuta.
Il
follow-up dei pazienti con pregresso
tumore infantile
Benché
l'80% dei bambini trattati per il tumore sopravvivono, molti hanno
speciali esigenze mediche per decenni dopo, secondo i nuovi dati
australiani. Quando diventano adulti, i pazienti con pregresso
tumore infantile hanno un rischio quasi cinque volte maggiore di
un secondo tumore rispetto alla popolazione generale e hanno 7,5
volte più probabilità di morire prematuramente.
Il
follow up va quindi mantenuto.
The
Lancet Oncology, Volume 11, Issue 10,
Page 924, October 2010
Troppo
"schermo" fa male ai bambini ma in Italia uno su 2 ha la
TV in camera
Secondo
una nuova ricerca inglese, guardare stare davanti al PC o alla
televisione per più di due ore al giorno riduce le capacità
di concentrazione e di comunicazione. Intanto un'indagine del
ministero della Salute disegna un ritratto preoccupante dei
ragazzini italiani e del loro stile di vita
Questo
è il ritratto dei bambini italiani come emerge dalla
seconda indagine "Okkio alla Salute" - promossa dal
ministero e dall'Istituto superiore di sanità - che ha
misurato le abitudini e i comportamenti di oltre 42.000 scolari di
terza elementare: 21mila dei 42mila interpellati hanno la
televisione in camera.
Proprio
sull'abuso di televisione, computer e videogiochi un nuovo allarme
arriva da una ricerca appena pubblicata sulla rivista Pediatrics:
i ragazzini che passano più di due ore al giorno di fronte
a uno schermo, sia quello del computer o della televisione, hanno
più probabilità di avere difficoltà
psicologiche; in particolare di vedersi ridotte le capacità
di concentrazione e di comunicazione con gli altri.
Se
passano troppo tempo davanti alla TV o al PC si muovono poco, non
socializzano fra loro e si isolano. I programmi e gli spot sono
veloci, offrono tutto e subito, le storie hanno ritmi rapidi e
questo ha come conseguenza la difficoltà a pianificare a
scuola. Per non parlare poi del rischio obesità".
"Sarebbe bene non far vedere la televisione a quelli che
hanno meno di sei anni per i quali la TV può anche portare
a ritardi nello sviluppo del linguaggio. La visione TV andrebbe
evitata dopo cena, ma anche quando il bambini si è appena
svegliato; ai più grandi andrebbe spiegata la differenza
tra realtà e finzione e si dovrebbe infine preferire un
film in DVD alla TV commerciale.
Il
bullismo è anche femmina
Aumentano
i casi tra le bambine e si abbassa l'età: individuati
episodi anche nelle scuole materne
convegno
della Società italiana di pediatria
Intimidazioni,
aggressioni e soprusi sono sempre più comuni nell'infanzia
e a scuola. Ogni giorno, nel 49,9% delle classi italiane si
compiono atti di bullismo. Un fenomeno che non è più
solo tipico degli adolescenti maschi: un bullo su sei è
femmina e si registrano episodi a nche
nella scuola materna. «Il bullismo inizia generalmente dagli
8 anni - spiega - perché è quello il momento in cui
inizia a strutturarsi il concetto di classe, e quindi anche quello
del suo leader. In Italia e all'estero stiamo raccogliendo episodi
del genere anche nelle scuole materne, dove bimbi di 4 anni
vengono aggrediti da gruppi di tre, cinque coetanei. Si inizia con
le vessazioni verbali e a volte si finisce con le aggressioni
fisiche. A scatenare i bulli nell'infanzia è generalmente
la diversità, razziale o della disabilità. Nelle
scuole medie e al liceo si aggiunge anche l'omofobia».
L'altro fenomeno in crescita è quello del bullismo
femminile: «La bulla femmina è quasi sempre
intelligente e brillante, si circonda di altre ragazzine brillanti
e intelligenti e crea una cintura di insicurezza attorno alla
vittima con chiacchiere e calunnie su mail, sms, social network».
Per arginare e combattere il bullismo si deve agire soprattutto
sul fronte della prevenzione, «con un'alleanza forte tra
scuola, famiglia e istituzioni, e dall'altro creando dei centri di
riferimento per il recupero di questi ragazzi. Il bullo che non
viene fermato e seguito spesso entra nei circuiti della
criminalità o pratica mobbing sul posto di lavoro, mentre
le vittime diventano adulti con disturbi del comportamento e
dell'alimentazione, fino ad arrivare a tentare il suicidio».
Il
dolore è anche dei bambini
Il
prelievo del sangue. La frattura della caviglia. L’infiammazione
all’orecchio. Sono condizioni comuni e ricorrenti, dolorose
anche per i bambini e i neonati, ma non ne viene tenuto conto in
maniera adeguata. E' ancora forte, infatti, la convinzione che il
bambino non provi dolore. La gestione del dolore nei piccoli
pazienti viene lasciata alla discrezione del singolo operatore.
Spesso accade che il nostro obiettivo terapeutico sia solo la
malattia, come ad esempio l’otite, e non il sintomo dolore.
Da qui la necessità di diffondere le conoscere, di formare
e sensibilizzare le figure professionali che entrano in contatto
con il dolore del bambino", come ci si propone di fare con il
manuale. Ancora oggi, però, in ospedale si stima che più
dell’80% dei ricoveri pediatrici sia dovuto a patologie che
presentano, fra i vari sintomi, anche il dolore.
Circa
il 60% degli accessi al Pronto soccorso pediatrico è dovuto
a dolore, e il 70-80% dei bambini operati lamenta la presenza del
sintomo. L’incidenza del dolore è elevata anche
nell’ambulatorio del pediatra di base.
L’80%
dei casi di dolore può essere gestito in modo ottimale dal
pediatra di base e dal medico di riferimento ospedaliero se
preparati e formati. Il rimanente 20% fa parte della patologia
difficile, ad esempio il dolore neuropatico o quello che si
accompagna a patologie ad andamento cronico. La letteratura dice
che il dolore acuto può essere controllato quasi nel 100%
dei casi. Per il dolore cronico, che si accompagna a patologie
gravi, il livello di insuccesso è più alto: può
arrivare al 30% dei casi. In questo 30% dei casi c’è
la necessità di un intervento multispecialistico, per cui
ci deve essere lo psichiatra, lo psicologo, il farmacologo e
l’esperto di dolore.
Per
approfondire:
Vai al
comunicato stampa dell’Associazione Culturale Pediatri (ACP)
Salute:
giornata ONU lavaggio mani
Lavarsi
le mani con acqua e sapone specialmente in alcuni momenti critici
in particolare dopo aver usato i servizi igienici e prima di
toccare gli alimenti, contribuisce a ridurre l’incidenza
delle malattie diarroiche di oltre il 40%e le infezioni
respiratorie acute di oltre il 23%, eppure questo semplice
comportamento non viene praticato regolarmente.
E’
uno degli interventi sanitari più efficaci e meno costosi
per prevenire malattie infettive nei paesi in via di sviluppo, ma
è una buona pratica da consolidare anche nei paesi ricchi.
I medici raccomandano di praticare per almeno due minuti
quest'attività igienica, ma questo consiglio sembra essere
seguito molto più dal gentil sesso che dai maschietti. Una
ricerca inglese ha messo in luce, infatti, che gli uomini si
lavano le mani molto meno rispetto alle donne.
Obesità
infantile cresce a ritmi vertiginosi, i Paesi in via di sviluppo i
più colpiti
L'obesità
infantile sta diventando una sorta di "epidemia" che a
livello globale cresce a ritmi vertiginosi, +50% negli ultimi
vent'anni (dal 4% del 1990 al 6% del 2010), soprattutto nei paesi
in via di sviluppo.
Ma
anche l'Italia, complici stili di vita tutt'altro che salutari,
caratterizzati da poco sport e molta tv, si trova costretta ad
affrontare l'emergenza obesità, se è vero che in
base agli ultimi dati che arrivano dall'Organizzazione Mondiale
della Sanità più di 1 bambino su 5 tra gli 8 e i 9
anni è obeso (21%) e quasi 1 su 2 è in sovrappeso
(45,6%), con una percentuale più elevata nei bambini
(48,8%) che nelle bambine (42,2%).
Basterebbe
leggere i risultati dell'indagine che il ministero della Salute ha
commissionato all'ISS per capire che il problema obesità è
strettamente legato alle cattive abitudini alimentari e agli
scorretti stili di vita dei nostri ragazzi. Secondo l'indagine,
infatti, il 9% dei bambini italiani tra gli 8 e i 9 anni non fa
colazione e ben il 30% non la fa adeguata. Inoltre 1 bambino su 4
non mangia quotidianamente frutta e verdura, mentre il 50% consuma
bevande gassate o zuccherate nell'arco di una giornata. E brutte
notizie arrivano anche sul versante dell'attività fisica.
Mentre
1 bambino su 2 ha l'adorata televisione in camera, solo il 20% dei
bambini pratica sport più di una volta la settimana. Senza
contare che circa il 70% dei bambini non ha l'abitudine di andare
a scuola a piedi e solo 1 su 4 (26,8%) gioca più di 2 ore
al giorno all'aria aperta nei giorni feriali."In Italia si
fanno già tante iniziative ma non si fa ancora abbastanza.
Servono interventi non solo a livello locale ma a livello
nazionale e in più settori, perché non è
sufficiente intervenire sulla scuola o sull'educazione" per
risolvere il problema.
Citta'
nemiche dei bambini
Niente
tempo libero e gioco spontaneo, esperienze importanti
Citta'
sempre meno a misura di bambino: l'80% non gioca piu' fuori e
scompare il tempo libero.

Per
quelli nati fino agli anni '70 era ancora l'epoca del marciapiedi
sgomberi di auto e moto. Di viali tranquilli dove disegnare con il
gessetto la Campana, divertirsi a nascondino e ai quattro cantoni
negli ampi cortili dei condomini prima che fossero adibiti a
parcheggi di motocicli oppure a giardini incalpestabili. Tutto
cambia.
Meglio
in uno spazio all'aperto. Perché quella che potrebbe
sembrare la naturale evoluzione della vita moderna è uno
dei motivi alla base dei disagi degli adolescenti di oggi: abuso
di alcol e droghe, suicidi, bullismo, potrebbero essere spiegati
anche dal fatto che «ai nostri piccoli manca oggi la libertà
di movimento e il tempo libero». le buone città-
fanno molto per i bambini: dedicano all'infanzia notevoli risorse
economiche e umane, ma non rispondono alle loro reali esigenze. La
città prepara infatti per i bambini spazi separati e
specializzati come giardinetti, ludoteche, parchi tematici e tutte
le proposte educative. Sempre spazi protetti e vigilati da adulti.
La scuola occupa buona parte del tempo quotidiano con le ore di
classe e con i compiti per casa. La famiglia impegna il tempo
rimanente "regalando" ai figli le scuole pomeridiane di
sport, di lingua o di attività creative, ma pur sempre
scuole. Il tempo che rimane viene trascorso davanti a uno
schermo». In altre parole: i bambini non si vedono più
per strada. L'80% non gioca più all'aria aperta.
scompare
il tempo libero. La possibilità di uscire di casa da soli
per incontrarsi con amici, scegliere con loro un gioco e un luogo
adeguato. Vivere insieme, anche se all'interno di un giusto
confine di regole dettate dalla famiglia, le esperienze
dell'avventura, della scoperta, del rischio, e non vedere l'ora di
tornare a casa per raccontarle. Invece, «non potendo vivere
esperienze autonome - ha spiegato lo studioso - i bambini non
conoscono l'esperienza dell'ostacolo, del rischio, della
frustrazione, del successo, nei tempi e nei modi giusti. L'assenza
di queste esperienze "forti", impossibili alla presenza
di adulti vigilanti, produce un accumulo di desiderio che potrà
realizzarsi solo quando i bambini non saranno più bambini,
ma adolescenti. Quando avranno per la prima volta la chiave di
casa in tasca o un motorino sotto il sedere. Chi non ha potuto
fumare di nascosto ha più facilità a subire il
fascino dello spinello, chi non ha potuto sbucciarsi le ginocchia
in bicicletta è più facile che subisca incidenti
gravi in moto».
Quando
informazione fa rima con prescrizione
Che
impatto hanno le attività promozionali e comunicazionali
intraprese dalle aziende farmaceutiche presso i medici sulla
qualità, la quantità e i costi delle prescrizioni?
Se lo domanda una revisione sistematica pubblicata dalla rivista
PLoS Medicine.
I
ricercatori australiani dell’University of Queensland di
Brisbane coordinati da Geoffrey K. Spurling hanno effettuato una
approfondita ricerca in Medline (dal 1966 al 2008), International
Pharmaceutical Abstracts (dal 1970 al 2008), Embase (dal 1997 al
2008), Current Contents (dal 2001 al 2008) e Central (The Cochrane
Library Issue 3, 2007) per analizzare i dati sull’esposizione
dei medici a informazione (promozionale o scientifica) da parte
delle aziende, visite di informatori del farmaco, inserzioni
pubblicitarie sulle riviste, presenze a meeting e a congressi
sponsorizzati, informazione via posta o e-mail, forniture di
software per la prescrizione elettronica, partecipazione a trial
clinici sponsorizzati. Obiettivo, misurare l’impatto di
tutto questo sulla qualità, la quantità e i costi
delle prescrizioni.
È
emerso che con rare eccezioni l’esposizione a informazioni
provenienti direttamente dalle aziende (in una forma o nell’altra)
è associata a una più elevata quantità di
prescrizioni e a costi più elevati. Commenta Spurling:
“Raccomandiamo ai medici di seguire i principi più
elementari della cautela quando effettuano prescrizioni, e di
tenersi il più possibile al riparo dalle informazioni che
arrivano direttamente dalle aziende farmaceutiche”.
Fonte:
Spurling GK, et al. Information from
Pharmaceutical Companies and the Quality, Quantity, and Cost of
Physicians' Prescribing: A Systematic Review. PLoS Med
7(10): e1000352. doi:10.1371/journal.pmed.1000352.
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