Dicembre 2011 - Volume XIV - numero 10
M&B Pagine Elettroniche
Casi indimenticabili
Una
scossa alla schiena
Clinica
Pediatrica Perugia
M. è
una bambina vivace e volitiva di quasi 3 anni e arriva in reparto
una sera, ai primi di agosto, accompagnata dai genitori molto
preoccupati.
Circa
2 settimane prima, mentre è in vacanza, presenta all'improvviso,
dopo essere scesa bruscamente da un marciapiede, un dolore
lombare, che però si risolve spontaneamente nella stessa
giornata. M. è vivace come sempre, non ha febbre, non presenta
altri sintomi e i genitori pensano a un lieve traumatismo o a un
residuo malessere dopo una gastroenterite a rapida risoluzione ai
primi di luglio. Ma qualche giorno dopo il dolore ricompare, al
risveglio, questa volta più intenso. Si attenua in posizione
semiseduta, ma la sera peggiora ancora tanto da impedirle di
addormentarsi tranquillamente e così nei giorni successivi. M.
cammina, è tranquilla, se ha male si siede un po' e va meglio,
ma il dolore non va mai via del tutto.
I
genitori cominciano a preoccuparsi e, dopo una settimana, fanno
valutare M: non viene riscontrato nulla di rilevante, il medico
tranquillizza i genitori attribuendo il sintomo ai frequenti
bagni in mare; suggerisce di provare con il paracetamolo e stare
a vedere. Il paracetamolo non funziona e i genitori decidono di
interrompere la vacanza perché vogliono “vederci chiaro”;
presso il PS della loro città vengono eseguiti emocromo, indici
di flogosi, ecografia addominale: è tutto normale e così viene
proposto un FANS, ma il dolore, che un po' migliora, continua a
non scomparire. Qualcuno pensa che M. “faccia finta” ma, due
giorni dopo, comincia a non aver più voglia di camminare, si
stanca e ha bisogno di appoggio. E poi la mamma nota che non è
più regolare nelle evacuazioni, cosa che non era mai successa,
nemmeno dopo la gastroenterite.
Viene
ricoverata all'Ospedale della sua città: gli esami di routine,
gli indici di flogosi, l'ecografia, sono ancora normali. Così
un Rx della colonna e alcuni esami per autoimmunità. Viene
programmata a distanza di circa un mese una RM del rachide e M.,
che nonostante tutto è in buone condizioni generali, viene
dimessa in terapia con macrogol, nell'ipotesi che il dolore
lombare sia dovuto ad un'irritazione del muscolo ileopsoas da
intasamento fecale. Ma la situazione peggiora. Un pediatra, amico
di famiglia, vede la bambina e si ricorda di un suo piccolo
paziente di qualche anno prima con gli stessi sintomi: era un
neuroblastoma! Così condivide con noi la sua ansia e invia M. da
noi.
Anche
all'arrivo al nostro reparto M. è in buone condizioni
generali, è seduta sul passeggino perché si rifiuta di
camminare, anche se mantiene la stazione eretta con appoggio. è
irritabile, ma è sera tardi ed è molto provata e comunque si fa
visitare; i parametri vitali sono normali, non ha febbre, né
segni di infezione né limitazioni funzionali alla mobilizzazione
passiva degli arti inferiori; i riflessi sono presenti,
normoevocabili e simmetrici; non c'è dolore alla palpazione
delle apofisi spinose né lesioni cutanee o segni di possibili
disrafie spinali occulte. La madre ci riferisce una “rigidità”
della colonna e quando le palpiamo l'addome percepiamo una
resistenza diffusa alla palpazione profonda ed evochiamo quel
dolore lombare. Non si apprezzano masse, Giordano negativo.
Ripetiamo
velocemente tutti gli esami di routine: Rx del torace e
dell'addome (abbondanti residui fecali nella cornice colica),
acidi urinari… è tutto normale. Una EMG indica “sindrome
cordonale subacuta per gli arti inferiori (forse
post-infettiva?)” ed esclude danni neurogeni periferici.
L'ipotesi infettiva non ci convince, tutti gli sforzi sono
concentrati a organizzare l'RM della colonna in sedazione. Non
riusciamo a trovare un anestesista disponibile e si rimanda tutto
al giorno dopo. Notte insonne: domani non c'è l'anestesista
in risonanza e il neuroradiologo è oberato di lavoro. Ma M.
adesso ha anche parestesie agli arti inferiori e nonostante il
clistere non evacua affatto. Di primo mattino riusciamo a trovare
un anestesista disponibile e, tra le proteste dei pazienti in
attesa, finalmente M. entra in risonanza.
Pochi
minuti e abbiamo conferma del sospetto di compressione: c'è
una lesione espansiva ovalare a livello dei metameri dorsali D5 e
D6 in sede intradurale extramidollare, con diametri massimi sui
piani sagittale e coronale di circa 19 mm e sul piano assiale di
circa 12 mm. La formazione non assume mezzo di contrasto e
presenta intensità di segnale liquorale in tutte le sequenze. è
probabilmente una formazione cistica di natura benigna, ma ha
evidente effetto compressivo sul midollo spinale, che è
“notevolmente compresso e depiazzato posteriormente, ridotto
nel punto di maggiore compressione a una sottile lamina addossata
alle pareti laterali e alla parete posteriore del canale
vertebrale” e presenta, cranialmente alla compressione,
“sfumata iperintensità di segnale T2, indicativa di sofferenza
parenchimale”… Si corre alla neurochirurgia pediatrica più
vicina e M. nella notte viene operata.
Il
seguito
L'istologia
dimostra che si tratta di una cisti semplice, a rivestimento
cilindrico ciliato, come in cisti neuroepiteliale. Il giorno
successivo all'intervento M. riprende le normali funzioni
sfinteriali e finalmente si alza. Non l'abbiamo rivista,
sappiamo che ha ripreso a camminare, ma ha ancora bisogno di
fisioterapia...
Cosa
abbiamo imparato
Le
cisti intraspinali rappresentano una causa non comune di
compressione midollare. Sono state classificate in intra- ed
extradurali (con e senza fibre nervose). Le cisti intradurali
extramidollari istologicamente possono essere aracnoidali,
epiteliali, ependimali. La sede di localizzazione può essere
toracica, ma anche cervicale e lombare. Spesso asintomatiche,
quando si manifestano danno come presentazione clinica più
comune una mielopatia lentamente progressiva (dolore che cambia
di intensità alle variazioni posturali, ipostenia, difficoltà
alla deambulazione, ipo-parestesie, disfunzione sfinteriale)
oppure una sindrome da dolore radicolare. Le cisti
neuroepiteliali sono solitamente lesioni congenite
disembriogenetiche, in maggioranza confinate al SNC, di solito a
livello della sostanza bianca paraventricolare dei lobi frontali
e parietali, mentre la localizzazione spinale è rara e pochi
casi sono segnalati in letteratura. Si ritiene che originino
dall'estrusione di cellule ependimali localizzate in prossimità
della sostanza midollare anteriore al momento della chiusura del
tubo neurale, che perdono continuità e rimangono isolate dal
pavimento del tubo neurale stesso; un'ipotesi alternativa
suggerisce una invaginazione del pavimento del tubo neurale nella
sua faccia ventrale, con formazione di una cisti che si isola dal
pavimento stesso. Sono caratterizzate da un rivestimento
epiteliale cuboidale/colonnare, non stratificato, ciliato; sono
solitamente localizzate anteriormente al midollo spinale
cervicale e sono prevalenti nei bambini. Non risultano evidenze
di trasformazione neoplastica della parete. L'espansione della
cisti sembra essere dovuta a secrezione attiva, intermittente, di
liquido all'interno della cavità cistica (nel nostro caso
forse in seguito a uno squilibrio idro-elettrolitico durante la
pregressa gastroenterite?). L'esame diagnostico di scelta è la
RM, che evidenzia la cisti come area ipodensa a margini ben
definiti, che non assume contrasto. Difficile differenziare
queste cisti pre-operativamente da altre tipologie o dal glioma
cistico. Il trattamento di scelta nei casi sintomatici è
chirurgico (resezione completa/fenestrazione), prima che si
instauri un danno spinale irreversibile. L'outcome dopo
l'intervento è in maggioranza favorevole, anche se esiste la
possibilità di recidiva.
Cosa
non dimenticheremo
La
paura che M. potesse non camminare di nuovo, il timore di non
riuscire a fare diagnosi in tempi rapidi, i rischi del non vedere
le “bandierine rosse” e di ritenere improbabili diagnosi rare
ma con esiti potenzialmente gravi.
Riferimenti
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