Febbraio 2009 - Volume XII - numero 2
M&B Pagine Elettroniche
Casi indimenticabili
Quando troppo è troppo
Pediatra
di Famiglia
C. è
un bambino di 6 anni, mingherlino con due occhietti molto svegli;
è più maturo dei suoi coetanei.
ANTEFATTO.
Lo conosco fin dalla nascita perché è
secondogenito. Qualche problema comincia già nei primi
mesi di vita, con difficoltà ad alimentarsi
artificialmente (la mamma, sottoposta a isterectomia dopo il
parto per grave emorragia, non è in grado di allattare) e
con la comparsa di una manifestazione pustolosa sul viso e sul
collo, di difficile inquadramento diagnostico, per il quale viene
anche ricoverato. Viene trattato con cortisone, poi con
metronidazolo senza grandi risultati. Dopo i 6 mesi di vita, le
pustole si riducono e scompaiono gradualmente nel primo anno di
vita.
Fino
a 3 anni rifiuta di mangiare cibi solidi, poi con l'ingresso
alla scuola materna si sblocca e pian pianino inizia a mangiare
di tutto.
A 5
anni e mezzo improvvisamente manifesta una “paralisi del
facciale” per cui viene somministrato al Pronto Soccorso
betametasone alla dose di 1 mg/kg, da proseguire per os per 1
settimana. Siamo nelle vacanze di Natale: il bambino, nonostante
la “paralisi” è molto vivace e, giocando con il
fratello, cade e riporta una ferita sul sopracciglio, che viene
suturata con 3 punti.
Due
giorni dopo la mamma mi telefona dicendo che ha l'impressione
che C. beva e urini un po' troppo; facciamo uno stick rapido a
studio: abbondante glicosuria. Viene quindi ricoverato; sulla
base della storia, si ipotizza un'iperglicemia scatenata dal
cortisone; si sospende quindi la terapia cortisonica, si
monitorizza la glicemia senza somministrare insulina. Nel giro di
qualche giorno i valori della glicemia, da 400 mg tornano a 90
mg; il bambino viene inviato a casa senza trattamento, con
controlli frequenti della glicemia a domicilio e l'appuntamento
per un successivo controllo in ambulatorio endocrinologico. La
diagnosi di dimissione, basata sulla presenza di anticorpi anti
GAD, è quella di “prediabete”.
FATTO.
Passano 4 mesi in cui va tutto liscio; i valori della glicemia
sono raramente al di sopra dei limiti superiori della norma;
piccole attenzioni dietetiche e tutto fila. A metà maggio,
a 6 anni, il bambino esegue il richiamo dei vaccini, trivalente e
antimorbillo-parotite-rosolia.
La
settimana successiva manifesta febbre elevata senza alcun
sintomo, che attribuisco a una reazione vaccinale. Ma passano i
giorni e la febbre non recede. Rivisito il bambino e noto una
lieve linfoadenomegalia laterocervicale, un aumento di volume
della milza e un colorito particolarmente pallido, febbre elevata
con brivido. Propongo un ricovero, pensando a una brutta
mononucleosi, ma… la situazione familiare è molto
complessa; il papà di C. è ricoverato in un
hospice, allo stadio terminale di una neoplasia laringea, e la
mamma non se la sente di tornare in ospedale con il figlio.
Inoltre è il 1° giugno, quindi si prospettano 3 giorni
di “festa”, non me la sento di rinviarlo a un DH il lunedì
successivo, per cui comincio un giro di telefonate a tutti quelli
che conosco e che non sono in vacanza e combiniamo un prelievo
urgente in PS per la mattina dopo; in base alle risposte prenderò
la decisione.
Purtroppo
il giorno dopo lo stato generale del bambino è peggiorato,
la febbre è sempre molto elevata, i linfonodi del collo
sono grandi come noci, la milza è aumentata e molto dura;
sono sopraggiunti dolori addominali. Le analisi mostrano sì
una linfomonocitosi, ma anche un LDH molto alto (3000 U),
un'anemia (Hb 9 g/dl), per cui il ricovero diventa inevitabile.
Un'ecografia, eseguita d'urgenza, mostra presenza di
linfonodi ingranditi in tutto l'addome, nello spazio
retroperitoneale, intorno alla vena cava, insomma un quadro molto
compatibile con un linfoma. L'idea di dare questa notizia alla
mamma mi fa venire la pelle d'oca. Tutto l'ospedale viene a
conoscenza della situazione familiare e nessuno parla. Tre giorni
dopo, durante il ricovero, il papà muore.
Le
condizioni di C. sono stazionarie; febbroni a 40 °C per 4-5
ore ogni giorno, poi qualche ora di lieve benessere e così
per giorni e giorni. Un puntato midollare non evidenzia
alterazioni; la virologia è positiva per infezione da EBV,
con una PCR di 75.000 copie. Ci sentiamo tutti sollevati e
prendiamo con più filosofia i febbroni squassanti che
continuano imperterriti ogni giorno (siamo al 20 di giugno). Ma
l'LDH continua a aumentare fino a 5000 U, e riaccende il dubbio
tumorale. Dopo 25 gg di ricovero, il bambino è molto
provato, dice frasi del tipo “meglio morire, che stare qui!”
per cui la mamma decide di farlo tornare a casa; sa che le febbri
continueranno, ma almeno ci saranno i nonni e il fratellino a
divagarlo; le analisi saranno ripetute a scadenza prefissata.
A
casa il bambino si sente un po' meglio, riprende a mangiare e a
giocare, ma le febbri non scompaiono affatto; ci sono sì 1
o 2 giorni alla settimana liberi da febbre, ma poi torna sempre
molto alta con i dolori addominali, il vomito e la prostrazione.
Unico
dato positivo, l'LDH inizia a diminuire fino ad arrivare a 800
U ai primi di luglio. I linfonodi restano ancora notevolmente
aumentati, soprattutto quelli addominali, e la milza è
dura e palpabile a 7-8 cm dall'arcata costale. Il controllo in
ospedale è fissato per metà luglio. Nel DH vengono
effettuati i soliti controlli; le IgM anti-EBV sono scomparse,
non sono ancora comparsi gli Ab EBNA e purtroppo l'LDH sale
nuovamente, tanto che la mamma riceve una telefonata in ufficio
in cui la si invita ricoverare urgentemente il bambino per
sottoporlo a biopsia ossea e linfonodale. Ricevo immediatamente
una telefonata della mamma, che è ripiombata nel terrore
della malignità. Cerco di tranquillizzarla, ma ho ben
poche armi dalla mia parte; le dico chiaramente che una volta
messa la pulce nell'orecchio, e questo era avvenuto già
nel primo ricovero, lei comunque non sarebbe mai stata tranquilla
fino a che non avesse avuto la dimostrazione che la malattia di
suo figlio non era un linfoma. Se poi disgraziatamente ci fosse
stato, era bene cominciare ad affrontarlo con le terapie più
adatte.
La
sua prima reazione è stata terribile; mi ha detto che non
avrebbe mai sottoposto C. alla chemioterapia, che temeva
l'esplosione del diabete, scatenato da una terapia cortisonica
e che, in ogni caso, lei non se la sentiva di riaffrontare il
calvario vissuto a fianco del marito per 7 anni. Non sapevo come
darle torto, ma alla fine sono riuscita a convincerla che valeva
sempre la pena di conoscere la verità, qualunque essa
fosse. Ha acconsentito al ricovero. C. ha ripetuto le analisi ed
è stato sottoposto a biopsia di 2 linfonodi del collo e
della cresta iliaca, mentre le crisi febbrili erano sempre
presenti anche se di più breve durata. Dopo la biopsia, in
attesa della risposta, la mamma ha riportato a casa C.,
nonostante avesse ancora la febbre elevata. La risposta
istologica è arrivata finalmente dopo 3 giorni di
angosciosa attesa ed è stata: “linfonodi e midollo
reattivi; non presenza di cellule alterate o indifferenziate”.
Le
crisi febbrili ci sono state ancora per un mese, ma non
quotidiane, ogni 4-5 giorni, della durata di 36-48 ore. La mamma
spesso non somministrava nulla, sapendo che prima o poi il virus
se ne sarebbe andato.
Anche
le ultime indagini immunologiche alla ricerca di una eventuale
immunodeficienza lieve, che potrebbe spiegare la particolare
virulenza della malattia di C. e forse anche un disturbo
dell'autoimmunità (prediabete, dermatite neonatale di
ndd), sembrano negative; l'alterazione del rapporto linfociti
CD8/CD4 viene attribuito alla grave forma di mononucleosi; l'LDH,
dopo 4 mesi, sta lentamente tornando nei valori normali. Persiste
un'anemia, con una Hb di 9g/dl, un MCV di 55, una sideremia di
15 mg/dl e una ferritina risalita a 120 U dopo 2 mesi di terapia
marziale, ma non utilizzata perché captata dal SRE, come
avviene nella malattie infiammatorie croniche.
Impossibile
dimenticare questo caso:
Mi
auguro che il vento cambi e porti un po' di gioia e di serenità
a questa famiglia così provata.
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