Giugno 2008 - Volume XI - numero 6
M&B Pagine Elettroniche
Casi indimenticabili
Rapporti
familiari difficili, diagnosi clinica (a volte) difficile
Pediatri
di famiglia, Gela
Erano
le 14:00 di un lunedì di ottobre. Eravamo appena usciti
dallo studio quando dico ad Anna: “Mi ha chiamato la mamma di
Alice ed è preoccupata perché da qualche giorno la
vede strana, sonnolenta ma irrequieta, mangia poco, e appena
mangia vomita tutto. Secondo lei è dimagrita. A suo parere
tutto è cominciato qualche settimana fa, quando il
fratellino più piccolo ha vomitato per un giorno intero.
Lui si è ripreso, mentre Alice fa fatica a ritornare alla
normalità, o almeno sembra non averne voglia… Infatti,
lei ha la sensazione che sia più un vomito su base emotiva
che altro. Le ho detto di portarla domani, per visitarla.”
“Senti
- mi dice Anna - se non acceleriamo il passo non troviamo neanche
il pane. Finisce che non mangiamo neanche noi. Domani quando
l'avrai visitata ne riparliamo”.
L'indomani
pomeriggio, martedì, Alice viene accompagnata dalla mamma
per essere visitata ed entra da Anna. Alice è una bella
bambina di quasi 10 anni. Primogenita, nata a termine da parto
eutocico. Regolare lo sviluppo psico-fisico. Tre anni fa:
varicella. Ha due fratellini, di 7 e 5 anni, in buona salute. Il
peso di Alice sembra pochino (27,8 kg, è al 25°
percentile), ma è da più di otto mesi che non è
controllato, per cui, non risultando inferiore all'ultimo dato,
non sembra influente.
La
mamma di Alice si sofferma sul fatto che da circa due settimane
la piccola è svogliata, ha cefalea, astenia, non riesce a
finire i compiti di scuola (che siano aumentati?), lei che è
stata sempre vivace non gioca con i suoi fratellini, non l'aiuta
più in qualche faccenda di casa.
Anche
al dopo-scuola la maestra ha notato che è disattenta e non
mostra alcuna voglia di fare i compiti, come se pensasse sempre
ad altro. Non ha alcun appetito, ma soprattutto appena mangia e
talvolta anche quando beve, vomita. Anna le chiede se lontano dai
pasti vomiti e la risposta è negativa. L'esame obiettivo
della bambina, che si presenta con uno sguardo triste, mette in
evidenza condizioni generali discrete, cute e mucose visibili
lievemente pallide. Addome trattabile alla palpazione
superficiale e profonda; organi ipocondriaci nei limiti. Nulla al
cuore e al torace. L'esame obbiettivo neurologico mette in
evidenza una lieve dolenzia al capo, ma complessivamente è
negativo.
Dopo
la visita Anna chiede di restare da sola con la mamma. Chiede
notizie sulla vita scolastica, sui rapporti con i compagni e gli
insegnanti, ma tutto sembra nella norma.
Invece,
viene fuori che i rapporti in famiglia sono tesi, c'è
qualche discussione di troppo, e, anche se il tutto avviene in
termini civili, Alice, che è la più grande dei
figli ed è una bambina particolarmente sensibile, sembra
risentirne molto. Si apparta, piange, è apatica, triste e
presenta crisi di cefalea moderata. Il colloquio successivo con
Alice da sola non è dirimente per decidere se si tratta
solo di una questione emotiva, psicologica o ci sia dell'altro,
per cui Anna decide di effettuare un prelievo per degli esami
emato-chimici e prospetta alla mamma l'opportunità di
una consulenza neuropsichiatrica infantile.
Nessuna
terapia per il vomito, per il momento.
Al
momento di congedarsi, Alice chiede alla mamma di darle da bere.
A
quel punto la mamma di Alice le porge la bottiglietta e Anna
scorge che nella borsa ci sono altre tre bottigliette vuote. Come
mai? Che se ne farà? E se invece…!
All'uscita
dallo studio io e Anna ci scambiamo le opinioni sui casi più
interessanti del pomeriggio e a proposito di Alice mi dice che
dopo il particolare delle bottigliette ha richiesto un altro
esame in aggiunta a quelli già prescritti. E non vede
l'ora di conoscere il risultato.
Mercoledì
mattina.
Verso
le 10 entra nuovamente la mamma di Alice e riferisce che ha
effettuato il prelievo e poiché la bambina era più
giù, più strana, voleva farla visitare subito dal
neuro-psichiatra infantile.
Però
Anna prende tempo e dice di voler attendere ugualmente gli esami.
A
questo punto interviene la nonna di Alice, una collega che vive
al nord, lontano da Gela.
La
nostra collaboratrice passa la telefonata a me. “Scusa se mi
permetto, ma siccome io la bambina la conosco molto bene, ed è
stata sempre molto vivace e vispa, e adesso mi dicono che è
molto abbattuta, non mi sembra il caso di non fare niente! Vero
che c'è una situazione particolare, ma ti chiedo di
intervenire magari con qualche fiala di Plasil e di
fosforilasi!”. “Ci possiamo mettere contro i parenti, medici,
pediatri, e per di più molto più grandi ed esperti
di noi?” penso tra me e me.
Faccio
presente che abbiamo un quadro in cui la diagnosi non è
stata ancora fatta, per cui non ci sembra opportuno effettuare
una terapia sintomatica senza un fine specifico, che stiamo
aspettando gli esami e… che sì, in fondo una fosforilasi
si potrebbe fare!
Riferisco
il colloquio ad Anna e lei mi dice che non vuole fare niente,
perché ha un tarlo nella mente e vuole aspettare di
conoscere l'esito degli esami, prima di fare qualsiasi cosa.
Alle 13 chiama il collega dal laboratorio analisi: la glicemia di
Alice era 345 mg/dl!!! Riferisco il tutto ad Anna, che esclama:
“Quelle tre bottigliette di acqua nella borsa!”. Decidiamo
senza alcun indugio di ricoverare Alice in ospedale. Allertiamo i
colleghi in ospedale, dove Alice arriva con 515 mg/dl di glicemia
e, poco dopo, la conferma della diagnosi: diabete mellito di
tipo 1.
Abbiamo
imparato che per effettuare un percorso diagnostico corretto è
necessaria anche l'osservazione di piccoli particolari e che
bisogna andare in fondo, anche quando tutto sembra così
chiaro e manifesto! |
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