In ricordo di Massimo Petrone


In questi ultimi anni tante volte ho parlato di lui, a colleghi, ad amici... in occasioni pubbliche. Quante volte ho pensato “cosa farebbe, cosa direbbe Massimo se fosse in questa situazione?”.
Mi sono accorto negli anni di quanto fosse profonda la sua impronta sul mio modo di pensare e di agire. Alcune parole possono aiutarmi a comprendere la natura della sua influenza su di me.

“Il metodo”. Chi ha avuto la fortuna di lavorare con Petrone è stato abituato a misurarsi, anni prima della formulazione dell’Evidence Based Medicine, con la necessità di documentare le proprie scelte cliniche. Non sopportava l’autoreferenzialità, le discussioni sterili tra chi fa affermazioni senza misurarsi con le conoscenze esistenti. Le nostre riunioni erano costantemente interrotte dal suo alzarsi (o dal farci alzare!) per prendere uno o più libri, per consultarli e basare le proprie decisioni… sulla base delle prove di efficacia. Quanto lontano da un recente modo d’essere di chi (nell’ambito medico o in quello politico e sociale) ci fa assistere ogni giorno all’arroganza dell’ignoranza.

“L’attenzione al contesto”. Molti anni prima della diffusione del termine “implementazione” Massimo mi ha insegnato che a nulla vale la formulazione di protocolli o linee guida se non ci si misura con le difficoltà nell’attuazione di quanto previsto. Per lui era importante che tutti i professionisti coinvolti fossero coscienti delle scelte fatte (penso al tempo impiegato a diffondere tra il personale i motivi per cui avevamo deciso di mettere i neonati in posizione supina o alla meticolosità delle norme relative alla protezione dall’HIV). Era davvero distante da un mondo scientifico (si fa per dire!!) attento prevalentemente all’immagine (l’esistenza di documenti al fine di ottenere la certificazione).

“L’esplicitazione delle scelte”. Che si trattasse di una scelta clinica o di una decisione organizzativa non è mai accaduto che Massimo non esplicitasse il motivo delle proprie scelte anche quando questo creava tensione con una parte o tutti noi (penso alla durezza degli schemi dei turni, alle decisioni su ferie “coatte” in novembre...). Ci costringeva a misurarci con la definizione degli obiettivi, non potevamo anteporre le nostre esigenze agli stessi, potevamo, se capaci, proporre soluzioni alternative. Anche in questo caso il suo modo di agire risulta assai distante da una prassi diffusa. Il pretendere di definire prioritariamente gli obiettivi, discutendone con estrema franchezza, per poter valutare successivamente strategie e tattiche per raggiungerli è un metodo che raramente ho trovato in altri dirigenti (o in uomini politici), più propensi a definire gli interventi sulla base di una presunta, e spesso inesistente, urgenza.

“Autonomia e responsabilità”. Il profondo rispetto che Massimo ha avuto da tutti quelli che hanno avuto modo di lavorare al suo fianco credo derivasse in buona parte dal fatto che egli riconosceva, in modo non formale, il contributo che ciascuno di noi (medici e infermiere) dava per raggiungere gli obiettivi. Egli sapeva riconoscere a ciascuno di noi (senza alcuna gelosia) l’autonomia professionale e nel contempo pretendeva l’assunzione di responsabilità. Mi disse una volta che per poter dirigere un reparto bisognava aver superato il “bisogno di essere amati dai propri collaboratori”. Io credo che Massimo abbia fatto profondamente suo questo concetto, ottenendo la stima… e l’affetto della quasi totalità dei professionisti da lui diretti. Questo stretto rapporto tra autonomia e responsabilità è la traduzione, sul piano professionale, di quello tra diritti e doveri. Il suo rigore era quello di battersi per i diritti senza cedere alla tentazione, tutta populistica (oggi così diffusa), di sottacere la necessità dei doveri.

“Comunicazione e supporto alla famiglia”. Il suo sistema valoriale, la sua storia professionale, i suoi maestri e amici, l’hanno portato ad avere una particolare attenzione alla famiglia dei bambini. La meticolosa correzione delle nostre lettere di dimissione (continui spostamenti di frasi, con la matita appuntita) si accompagnava alla scelta di aprire costantemente il reparto ai genitori, di non dedicare loro comunicazioni frettolose, di garantire costantemente una continuità delle cure dopo l’ospedalizzazione. Quando sono andato a lavorare in Emilia Romagna ho scoperto quanto fossimo avanti. Lui non partecipava a tanti convegni, non gli interessava “vendere” l’immagine; la sua attenzione era tutta rivolta a garantire la reale efficacia di quanto altri si limitavano a enunciare.

“Conflitti di interesse”. Quanta attenzione a questo aspetto, senza alcun estremismo. Da un lato un rapporto trasparente tra lui e le ditte produttrici di latte (quelle che garantivano una biblioteca di reparto più ricca di centri universitari!), dall’altro il divieto assoluto a rapporti personali tra i singoli professionisti e l’industria. Quando organizzavamo le “Giornate di Epidemiologia Pediatrica di Varenna” i partecipanti pagavano l’intero ammontare dell’organizzazione e a una ditta di latti era richiesto di stampare gli atti (chiedendole con fermezza di evitare la propria presenza nel corso delle Giornate). No, con lui non siamo mai stati sponsorizzati e l’onere della trattativa, per garantire la nostra autonomia, se l’assumeva completamente lui.

Tutto questo ho imparato da Massimo, anche attraverso momenti di scontri aspri (se qualcuno ha definito lui “spigoloso”, lui, come scrisse in una lettera alla Direzione Sanitaria, definì me “petulante”).

Un uomo così: rigoroso, coerente, trasparente. Potremmo definirlo anacronistico: anacronistico nel senso che appare al di fuori di un tempo (quello attuale) caratterizzato da populismo, semplicismo, arroganza, ignoranza, volgarità. Io preferisco pensare ad ana-cronistico nel senso di “senza tempo” perché i valori che hanno caratterizzato la vita di Massimo persistono, perché, come dice Altan, Massimo era uno di quelli che non faceva confusione tra ideologia, idee e ideali, pronto a confrontarsi con il nuovo ma tenendo fede a valori che mi ha aiutato a definire meglio.


Dante Baronciani

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