Recensioni

La presa di Macallè


autore: Andrea Camilleri
Editore: Sellerio editore Palermo, 2003, €10, 274 pagine

uesta, più che la recensione di un libro, è un commosso ricordo ad Andrea Camilleri (1925-2019), che negli ultimi trent’anni ha allietato milioni di lettori di tutto il mondo con un centinaio di libri, alcuni della saga del Commissario Montalbano, altri cosiddetti storici, dalla “Concessione del telefono” al “Birraio di Preston” a “La presa di Macallè” e a “Il nipote del Negus”; altri ancora sono saggi, opere teatrali come “Troppu trafficu ppi nenti” o la recente “Conversazione su Tiresia”, e tanto altro, come il dialogo-testamento con la nipotina in “Ora dimmi di te. Lettera a Matilda”; infine va ricordata la sua carriera televisiva di sceneggiatore, dal Tenente Sheridan di Ubaldo Lay al commissario Montalbano, magistralmente interpretato da Zingaretti.

Un grande della Letteratura italiana contemporanea, se non altro per numero di copie di libri venduti e di lingue in cui è stato tradotto (si calcola almeno 120).

Grazie ai suoi libri anche noi abbiamo imparato un po’ alla volta e non senza qualche difficoltà iniziale il siciliano, dialetto nel quale amava scrivere buona parte dei suoi libri.

Perché segnalo “La presa di Macallè” fra i tanti che ha scritto Camilleri? Perché si parla di bambini, come del resto in altri suoi libri (ricordate ad esempio “il ladro di merendine”?). Siamo a Vigata (la Macondo di Camilleri) nel 1935, ai tempi della guerra in Abissinia e della retorica fascista: i sabati dei giovani balilla, i figli della lupa, “ libro e moschetto, fascista perfetto”…e c’è Michilino, il figlio del camerata Giugiù, insolitamente pubere per la sua giovane età, oggetto dei desideri del Professor Gorgerino, pedofilo e capo dell’opera nazionale balilla, ma anche la sordida cugina Marietta, fidanzata di guerra e la concupiscente vedova Sucato. Quella di Michelino è un’infanzia sabotata, la sua innocenza è stata adescata, profanata, manomessa e seviziata.

Ma il vero motivo per cui cito questo romanzo è perché è ancora vivido in me il ricordo del divertimento che ha accompagnato la lettura di alcune parti del libro, come quella in cui viene organizzata con i balilla e le piccole italiane una mascherata pubblica per festeggiare la presa di Macallè. I ragazzi vengono divisi in due gruppi, gli italiani e gli abissini, con il viso scurito dai tappi di sughero fatti bruciare. Nessuno vuole naturalmente interpretare gli abissini perdenti e comunque tanta è la rabbia dei bambini costretti ad interpretare comunque a malincuore gli abissini, che alla fine nel parapiglia generale le danno di santa ragione agli italiani, sovvertendo la storia e la celebrazione della vittoria. Veramente godibile.

Camilleri è stato molto prolifico come scrittore, più di lui forse solo Simenon, e sembra che nel cassetto vi siano ancora almeno altri due libri, uno dei quali racconterebbe la conclusione (speriamo non cruenta) della vicenda del Commissario Montalbano.

Nessuno dei suoi libri è stato banale, nemmeno i gialli, che erano l’occasione per descrivere il contorno sociale in cui si svolgono le storie raccontate, la Sicilia di oggi o dei secoli scorsi, la corruzione politica imperante, l’infiltrazione mafiosa, la povertà e il dramma dei migranti, i problemi irrisolti dell’Italia di ieri e di oggi.

Grazie Camilleri, ci mancherai.

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