LE SFIDE DELLA PEDIATRIA ITALIANA

Le sfide della pediatria italiana per il 2009
venerdì, 27 Febbraio 2009, ore 20:50
Per il difficile 2009 che ci attende, le sfide di una pediatria moderna e al passo con i bisogni di salute della popolazione pediatrica restano le stesse di cui abbiamo parlato diverse volte su Medico e Bambino in questi ultimi anni, a volte in modo organico e propositivo, in altre occasioni riportando pareri, diversificati e frammentati.
Come premessa è di rilievo constatare che ci troviamo di fronte a una situazione culturalmente critica, ma anche con importanti possibilità di cambiamento. Da una parte una pediatria di famiglia (PdF), oppressa da problemi banali o da problemi che non ci sono, e invece ci sono, che affollano gli ambulatori e i pronto soccorsi e gli ospedali di rete. Dall’altra c’è la medicina difficile, difficilissima, nemmeno paragonabile a quella di soli 10 anni fa: la pediatria che cerca l’eccellenza, la pediatria ipertecnologica e costosa dei bambini di peso molto basso alla nascita, dei tumori, dei difetti congeniti, dell’autoimmunità, la pediatria genetica e molecolare.
La sfida più difficile è quella dell’integrazione, della visione di un progetto “unitario” di salute, di collaborazione, secondo obiettivi che devono essere necessariamente nazionali (e internazionali), passando per le indispensabili reti organizzative territoriali, ma anche attraverso prese di posizione ufficiali di organismi istituzionali, associazioni, società scientifiche. Per favorire questa prospettiva occorre che ci sia una modernizzazione organizzativa e culturale, che superi barriere e spazi di potere, di categoria o logiche di interessi e che guardi ai modelli che vedono in fermento anche la medicina generale (MMG) e, più in generale, il sistema Sanità in Europa. Le sfide organizzative e culturali sono diverse e diversificate. Vediamone alcune.

La pediatria di famiglia e la prospettiva della medicina territoriale
A Cernobbio il Ministro Brunetta ha annunciato un piano sulla Sanità elettronica: l’Italia diventerà entro il 2010 un’unica medicina in rete dove MMG e PdF condivideranno le schede degli assistiti, e questi ultimi potranno spostarsi da una parte all’altra del Paese certi di ricevere cure specifiche al bisogno e magari la ricetta spedita on-line. Detta così, la prospettiva tecnologica (di cui in ogni caso l’Italia è in ritardo rispetto a diversi Paesi europei) sembra essere un indispensabile passo in avanti ma senza contenuti. Essere in “rete” (in un senso non esclusivamente di soli dati computerizzati) significa condividere un progetto socio-sanitario che distingue due aree principali di problemi: quelli delle acuzie e quelli delle cure a lungo termine. Da tempo si dice che il sistema delle cure primarie dovrebbe dedicare la maggior parte delle energie al secondo dei problemi. Il progetto di cambiamento non può che essere tuttavia unitario, sperimentando l’integrazione parziale e graduale dell’attività dei PdF con quella della rete ospedaliera. È arrivato il momento che i termini un po’ vaghi di pediatria di gruppo, di unità territoriali, si riempiano di contenuti, attraverso un disegno organizzativo che sia qualificato in due direzioni
principali.
Per il problema della cura del bambino sano e della semi-urgenza percepita (e quasi mai reale), la continuità e la copertura assistenziale dovrebbero essere una regola da verificare con numeri, in termini di bisogni e risultati. Il modello assistenziale dovrebbe prevedere nuove frontiere di comunicazione e di educazione, l’adozione di protocolli di gestione diagnostica e terapeutica comuni, la formalizzazione di nuove figure professionali, come quella infermieristica, adeguatamente formate e integrate per rispondere a semplici bisogni (allattamento, cura del neonato, educazione sanitaria, self-help, screening ecc.). La ricerca di gruppo (dimenticata, mai sufficientemente valorizzata) potrebbe essere un volano per rendere la rete (anche informatica) uno strumento utile e qualificato per ri-definire e dare nuove risposte ai bisogni delle cure primarie. La sfida rilevante riguarda le fasce di popolazione con bisogni speciali quali i bambini con patologie croniche, ma anche l’assistenza ai bambini immigrati o con il sempre più emergente disagio sociale. Di fatto il progetto di salute risulta essere ancora molto frammentato tra i centri di cura e quella che è la continuità della cura domiciliare. Anche in questo caso i punti critici sono a diversi livelli e per alcuni di essi non si intravvede ancora la possibilità innanzitutto di un dialogo coordinato ed efficiente, che non può prescindere da servizi distrettuali dedicati alla cura e assistenza di questa tipologia di problemi. Esistono a riguardo modelli virtuosi, ma altri totalmente deficitari. Un punto strategico fondamentale è quello di immaginare i servizi distrettuali per i minori di composizione multiprofessionale, con valorizzazione delle prestazioni sanitarie dei diversi operatori: pediatri e infermieri, psicologi, assistenti sociali, mediatori culturali, neuropsichiatri, ognuno per le proprie competenze. Queste strutture dovrebbero essere facilmente “riconoscibili” in nomi e prestazioni (la rete telematica può aiutare), garantendo una maggiore facilità integrata delle cure e una presa in carico che consenta anche l’eliminazione delle molteplicità di erogazione della medesima prestazione o, peggio ancora, i fastidiosi conflitti di competenza (a chi spetta quella determinata prestazione o la fornitura di materiale o farmaci per la cura domiciliare). I ritardi in alcune realtà territoriali di questa visione integrata e multidisciplinare della cura sono un problema e la vera sfida da affrontare, che ha a che fare con la politica, ma anche con una progettualità organizzativa, formativa e culturale, di cui di fatto si parla ancora troppo poco (nei vari congressi e nelle stesse riviste pediatriche italiane).

La pediatria ospedaliera e la pediatria (super) specialistica
In realtà, nella visione unitaria espressa in precedenza, la pediatria ospedaliera di secondo livello dovrebbe far parte di un sistema integrato di cura. Ma di fatto continua a esistere un modello organizzativo di lavoro e di garanzia di prestazioni (a volte massacrante per gli operatori, per carichi di lavoro e turistica e con scarsa retribuzione), che dovrebbe avere altre strade e soluzioni. Si pensi all’esistenza ancora di tanti punti nascita rischiosi nella loro sopravvivenza, a fronte di una pediatria neonatale che vive da un lato l’essenzialità delle prestazioni e dall’altro i progressi (inimmaginabili) della tecnologia assistenziale per la gestione di rischio perinatale. Si pensi alle prestazioni erogate ancora in regime di ricovero che già hanno, in alcune rare realtà, una doverosa assistenza in un regime di osservazione breve. I cosiddetti centri diurni integrati di cura sono di fatto più l’eccezione che la regola.
Come ultima sfida vi è quella dei centri di cura di eccellenza, molti di questi universitari. Una visione, sicuramente parziale rispetto alla complessità delle cose che li riguarda, vede la pediatria specialistica distante anni luce da quella territoriale; mentre così non dovrebbe essere, perché il territorio deve sapere a chi riferirsi, con chi collaborare, e deve sapere come e verso dove si cammina, e deve essere illuminata da questa nuova, rampante e necessaria pediatria multidisciplinare e dalle vie che apre. Il compito universitario e dei centri di eccellenza dovrebbe essere sì rivolto verso la centralizzazione specialistica delle prestazioni (senza gelosie e duplicazioni,
ove non necessarie), ma anche verso la divulgazione del sapere e l’organizzazione strategica complessiva delle reti di assistenza.
La PdF che non vive al passo con un minimo di conoscenza e un sapere complesso rischia di rivolgersi su se stessa,
di vivere una dimensione professionale rischiosamente concentrata su falsi bisogni. E questa è una sfida ancora una volta culturale e di utile comunicazione, prima ancora che di grandi sistemi tecnologici o organizzativi. Ma è anche vero che la PdF deve essere profondamente aiutata nel suo sapere nei casi di complessità e questo è un compito che, pur nelle difficoltà, spetta al sapere (universitario, ma non solo), “al servizio” di compiti informativi che dovrebbero andare oltre le mura domestiche. Immaginando anche che l’Università e gli Istituti di Ricerca non dovrebbero perdere il loro ruolo pedagogico rivolto a una funzione di alfabetizzazione, basata sull’evidenza e applicabilità, delle cure primarie essenziali.
Medico e Bambino in questo 2009 accetta la sfida e cercherà di aiutare (con i limiti di una rivista di divulgazione scientifica) la messa in opera di alcune di queste prospettive, riportate in modo sicuramente superficiale e come tali da discutere e condividere.
Partendo da un call for paper dedicato a ognuna di queste problematiche: pareri, ricerche ed esperienze sul campo, documenti ufficiali, divulgazione di problemi specialistici sono benvenuti.
Auguri per un utile e felice 2009.


Federico Marchetti
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