POSSONO I PEDIATRI ACCETTARE UN CAMBIAMENTO
NELLA LORO PRATICA?

«Non esistono ricette per abbellire la natura, si tratta solo di vedere»
venerdì, 1 Dicembre 2006, ore 12:00
Nel mese di maggio di quest'anno un pediatra di famiglia associato (Greg Prazar), che vive negli Stati Uniti, ha scritto sulla rivista Arch Pediatr Adolesc Med (vol. 159; pag. 500- 2) un editoriale su quelli che, secondo lui, potevano essere i cambiamenti da adottare nella pratica pediatrica di I° livello (la nostra Pediatria di famiglia) in un prossimo futuro.
L'editoriale ha accompagnato il numero della rivista dedicato a problemi che riguardano le attività del pediatra ambulatoriale su temi inerenti: la gestione dell'asma, le indicazioni per la ricerca dell'Helicobacter pylori, l'uso del test rapido per la faringite da SBEA, i motivi del rifiuto dei genitori nell'eseguire le vaccinazioni per i propri figli, gli interventi per l'informazione degli adolescenti sui rischi di trasmissione dell'HIV, l'adozione di un programma informativo computerizzato per famiglie su alcuni problemi generali di salute dei bambini, l'attività fisica nei pazienti obesi. In pratica, a partire da queste rilevanti tematiche di salute pubblica, quello che Greg Prazar si auspica è un cambiamento nella pratica del pediatra di famiglia (e, aggiungo io, anche ospedaliero). Ho trovato alcuni dei punti che sono indicati, con le dovute differenze rispetto alla realtà statunitense, pertinenti. Vorrei riportarli, adattandoli, in positivo e negativo, alla realtà italiana. In pratica, quello che è già in corso e quello che sarebbe davvero auspicabile che avvenisse per il prossimo futuro.
1. Il primo riguarda la definizione di un'agenda di lavoro per la comunità dei pediatri. Negli Stati Uniti questo avviene tramite il PROS (American Academy of Pediatrics, Pediatric Research in Office Setting Network) che è una rete di circa 2000 pediatri che si occupano di ricerca e di programmi di salute pubblica. In Italia questo Network è presente, ha una sua storia significativa all'interno dell'Associazione Culturale Pediatri (ACP), ma stenta a decollare e a essere un progetto "permanente" (di ricerca e di pronunciamento su problemi di salute pubblica che riguardano i bambini). Inoltre, e questo è l'aspetto più critico, vi è di fatto una frammentazione che non è solo organizzativa, ma a volte ideologica.
Le diverse associazioni che si occupano della salute dei bambini, a livelli diversi e con funzioni diverse (parlo dell'ACP, della Federazione Medici Pediatri, FIMP, e della Società Italiana di Pediatria, SIP), non hanno su problemi rilevanti una visione di insieme, né soprattutto un confronto serio che tuteli i diritti della famiglia e del bambino. Gli aspetti corporativi (mi si passi il termine) rischiano di essere, negli ultimi tempi, più importanti rispetto ai contenuti. Gli obiettivi da raggiungere non vengono spesso affrontati "per tematiche di priorità", con il metodo che deve precedere necessariamente le conclusioni, ma con l'estemporaneità di chi ha la necessità di rendere conto. Mancano inoltre chiari rapporti con le istituzioni pubbliche (l'Istituto Superiore di Sanità, il Ministero della Salute ecc.).
La soluzione non è semplice. Occorre innanzitutto uno spirito partecipativo, che renda la propria pratica a servizio di obiettivi di programmazione sanitaria ben definiti e approvati senza resistenze "di parte". Un'agenda da rispettare, magari differenziata per bisogni regionali o locali, ma pur sempre un'agenda di lavoro. Sul come fare se ne discute da anni. Il primo passo è quello di sintonizzarsi sui bisogni del bambino (frase fatta ma a effetto su questa specifica tematica) piuttosto che su bisogni corporativi o personali.
2. Il secondo aspetto riguarda la presenza di figure che siano leader "entusiasti" all'interno di gruppi, associazioni di pediatri, reparti ospedalieri. Sembra un aspetto banale, forse lo è, forse appartiene a una cultura americana, ma è pur sempre un punto sul quale riflettere. Il leader entusiasta è quello che trascina il gruppo, seguendo obiettivi che siano condivisi in senso formativo e di risultati. Si tratta di definire quali, e qui torniamo al primo punto del cambiamento auspicato.
3. Il terzo è una vera scommessa organizzativa.
Si potrebbe dire che il salto qualitativo sta nel passare dai bilanci di salute ai bisogni di comunità. La proposta è la seguente: che per ambiti territoriali ci siano figure professionali non mediche (tipo assistente sociale, ma che possiamo anche chiamare coordinatore delle cure sociali) che si facciano carico dei bisogni socio-assistenziali delle famiglie e dei bambini che ne hanno necessità. Questo punto risponde a un bisogno di cura coordinato (tra pediatra di famiglia e ospedale, tra ospedale e territorio, tra infermiere domiciliari e le altre figure mediche specialistiche e non) per le persone con bisogni speciali. Questa figura potrebbe essere trasversale anche alla medicina di famiglia dell'adulto, ma in ogni caso una figura competente e professionale.
4. Il quarto punto auspica la possibilità che rappresentanti di famiglie dei bambini con patologie croniche possano partecipare a riunioni periodiche in cui si parli di alcuni aspetti della cura. Un obiettivo ambizioso, che ha lo scopo di verificare quelli che sono i bisogni socio-assistenziali dei malati cronici: scolastici, di integrazione sociale, a volte di assistenza domiciliare, di continuità tra ospedale-centro specialistico e territorio, diritti assistenziali. Una funzione importante è già svolta dalle Associazioni regionali, ma il percorso che si può immaginare prevede un ruolo più pertinente e specifico in ogni singola realtà locale.
Capita ancora spesso di sentire storie diverse a seconda dei luoghi di residenza. Esperienze non messe in comune, comunicazione tra ASL, pediatra di famiglia e ospedaliero carenti, genitori poco informati sui loro diritti.
5. Un ultimo punto dell'agenda ha a che fare con la comunicazione, l'ascolto, l'educazione genitoriale (e dello stesso pediatra). Formazione e ancora una volta voce ai genitori, motivati a programmare incontri che affrontino tematiche rilevanti di salute pubblica. Un'agenda di lavoro che ha forse aspetti di poca praticità (organizzativa in primis), ma che ha l'obiettivo di chiedersi quali sono ora, nel 2005, i ruoli e le funzioni del pediatra nel prossimo futuro. Si tratta di adottare alcuni auspicabili cambiamenti che possono essere di disturbo per la personale pratica consolidata giornaliera.
Ma questo spontaneo cambiamento dovrebbe avvenire prima ancora che le richieste vengano dall'alto, magari imposte secondo disegni e strategie che non rispondono ai bisogni dell'infanzia. Bisogni, si è detto tante volte, indubbiamente diversi rispetto a 10 o 20 anni fa.
Resta da chiedersi perché è necessario discutere di un cambiamento della propria pratica e quali sono i problemi che richiedono questa modifica per ottenere risultati migliori di quelli sinora raggiunti. Medico e Bambino, al pari di Arch Pediatr Adolesc Med, ha da sempre riportato alcune delle problematiche che richiedono un auspicabile cambiamento. Alcuni esempi voglio ricordarli come una possibile agenda di problemi da affrontare. Il problema delle politiche vaccinali differenziate tra regione e regione e tra evidenze e raccomandazioni; i modelli assistenziali per i bambini con bisogni speciali; le differenze tra Nord e Sud su indicatori forti di salute; le differenze territoriali nelle prescrizioni farmacologiche, che sono indicatori di una mancanza di strategie condivise nell'affrontare gli stessi problemi; la mancanza di continuità nelle cure tra ospedale e territorio; i problemi dei bambini con problemi neuro-psichiatrici, in termini riabilitativi e assistenziali; la formazione che vada al di là di una buia logica di accreditamento ma che sia funzionale ai bisogni di conoscenza del pediatra e di assistenza dei bambini. E altro ancora. Qualsiasi suggerimento per un auspicabile cambiamento sarà ben accolto.

Federico Marchetti
Clinica Pediatrica, IRCSS Burlo Garofalo
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