Rivista di formazione e aggiornamento di pediatri e medici operanti sul territorio e in ospedale. Fondata nel 1982, in collaborazione con l'Associazione Culturale Pediatri.

Novembre 2016 - Volume XIX - numero 9

M&B Pagine Elettroniche

I Poster degli specializzandi

Una Kawasaki troppo resistente!
Nicolina Stefania Carucci
Università degli Studi di Messina, Policlinico Universitario
Indirizzo per corrispondenza: nicolina88@gmail.com


La malattia di Kawasaki è una vasculite acuta sistemica che colpisce le arterie di medio calibro; la complicanza più temibile è rappresentata dagli aneurismi delle arterie coronariche il cui rischio scende al di sotto del 5% quando una terapia appropriata è avviata tra il 5° e il 10° giorno di febbre. La terapia di attacco consiste in una singola infusione di IVIg (1-2 g/kg) e nell’avvio di una terapia con aspirina a dosaggio anti-infiammatorio (80-100 mg/kg/die). Una percentuale di pazienti variabile tra il 9,4 e il 23% non risponde a tale terapia: persistenza o ricomparsa della temperatura febbrile entro 36 ore dall’infusione delle IVIg oppure indici di flogosi persistentemente elevati con una PCR che si riduce di meno del 50% rispetto al valore di partenza. Questi pazienti presentano un rischio aumentato di sviluppare anomalie cardiache e necessitano pertanto di strategie terapeutiche addizionali.

In questo articolo viene presentato il caso di Paolo, un bambino di 11 mesi il cui quadro clinico caratteristico permetteva di porre diagnosi di malattia di Kawasaki tipica. Per questo motivo veniva eseguito bolo di IVIg e avviata terapia con aspirina. Il mancato sfebbramento portava però alla necessità di ripetere il bolo di IVIg, ma anche in questo caso la risposta clinica risultava insoddisfacente. Si procedeva pertanto a eseguire boli con metilprednisolone per via endovenosa al dosaggio di 30 mg/kg/die per 3 giorni consecutivi senza beneficio. L’avvio della terapia con prednisone per os a 2 mg/kg permetteva di ottenere lo sfebbramento desiderato con negativizzazione degli indici di flogosi. A distanza di circa 10 giorni ricompariva però una febbricola con nuovo incremento della PCR mentre l’ecocardiogramma documentava una dilatazione delle arterie coronarie (reperto non presente precedentemente). Per questo motivo eseguivamo terapia con un farmaco biologico, nello specifico un anticorpo monoclonale anti-TNF alfa (infliximab) al dosaggio di 6 mg/kg con scomparsa della febbre e immediata negativizzazione degli indici di flogosi. Non si otteneva però un altrettanto beneficio dal punto di vista cardiologico, con un ecocardiogramma di controllo eseguito a distanza di 1 mese che documentava addirittura una dilatazione aneurismatica dell’arteria coronaria di sinistra con aspetto a corona di rosario.

La prima testimonianza bibliografica circa l’utilizzo dell’infliximab nella malattia di Kawasaki refrattaria al trattamento convenzionale ci viene data da Weiss e coll. nel 2004 (Weiss JE, Eberhard BA, Chowdhury D, Gottlieb BS. Infliximab as a novel therapy for refractory Kawasaki disease. J Rheumatol 2004;31(4):808-10). La letteratura si è poi arricchita di diversi articoli che hanno confermato come questo anticorpo monoclonale, legandosi al TNF-alfa, fosse in grado di ridurre la cascata infiammatoria alla base di questa vasculite con conseguente pronta ed efficace risposta clinica e laboratoristica. Numerose sono però le segnalazioni sulla scarso miglioramento dell’outcome cardiaco. Il nostro caso clinico conferma questi risultati.

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N.S. Carucci. Una Kawasaki troppo resistente!. Medico e Bambino pagine elettroniche 2016;19(9) https://www.medicoebambino.com/?id=PSR1609_20.html