Rivista di formazione e aggiornamento di pediatri e medici operanti sul territorio e in ospedale. Fondata nel 1982, in collaborazione con l'Associazione Culturale Pediatri.

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a cura di Maria Valentina Abate

UOC di Pediatria, Ospedale di Treviglio (Bergamo)

Indirizzo per corrispondenza: valentina_aba@yahoo.it

Sommario

Congedo di paternità, da dieci a novanta giorni

Pediatra di famiglia: quando è davvero necessario chiamarlo e farlo arrivare a casa (evitando il fai da te)

Quali sono i vaccini obbligatori in Italia (per bambini e adolescenti)

HPV, nel 2020 coperture vaccinali in calo per entrambi i sessi

La nocività dello smog si trasmette dai genitori ai figli

Ansia e autolesionismo nell'83% bimbi nel mondo a causa della pandemia

Asma grave nei bimbi, 3 anticorpi spengono l'infiammazione

Covid: bimbi meno agili, aumentano le fratture difficili

Diabete, spray nasale salvavita diventa rimborsabile in Italia: come funziona il glucagone

Sindrome dell’ovaio policistico

Bambini in ospedale, ancora troppi in reparti "da grandi"


Congedo di paternità, da dieci a novanta giorni

Così l’Italia taglierebbe il gap, ma ci sono Paesi che fanno ancora meglio

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Per il momento il passaggio a dieci giorni è assicurato, ma il Family Act punta ad arrivare a tre mesi. Il confronto con l’estero.

È cresciuto negli ultimi anni, prima da due a quattro giorni, poi a cinque, sette per arrivare infine a dieci giorni. Ma il vero salto si aspetta per il futuro - con le modifiche apportate alla legge delega nota come Family Act - con l’idea di portarlo fino a tre mesi. Parliamo del congedo di paternità, il congedo obbligatorio per i padri lavoratori dipendenti in occasione di nascite e adozioni o affidamenti.
La scorsa settimana la ministra per la Famiglia e le Pari opportunità, Elena Bonetti, firmando il patto Zero gender gap ha tracciato la rotta: “Il Governo si è già impegnato e continuerà a impegnarsi per garantire il congedo di paternità obbligatorio oltre i 10 giorni previsti: nel Family Act si prevede fino a tre mesi di congedo di paternità con un aumento graduale, ma l’importante è parificare la responsabilità maschile a quella femminile”, ha detto. La ragione di allargare così tanto il congedo dei padri è di abbattere le differenze tra genitori. Non solo cercando di suddividere con maggiore equità il lavoro di cura, ma anche equilibrando - agli occhi dei datori di lavoro - quelli che vengono ancora considerati come “costi” delle nuove nascite in termini di perdita temporanea dei propri lavoratori.
Lo studio legale Daverio & Florio, che in Italia rappresenta Innangard, il network internazionale specializzato in diritto del lavoro, ha analizzato in ottica comparata come vengono trattati i congedi parentali in dieci Paesi per concludere che con l’estensione a 90 giorni l’Italia ridurrebbe il gap dai più virtuosi, ma resterebbe ancora alle spalle dei migliori. Caso esemplificativo è quello della Spagna, dove proprio con il 2021 si è inaugurata la nuova politica che prevede un congedo fissato per entrambi i genitori fino a 16 settimane (112 giorni), retribuite al 100%.


Non stupisce che nella truppa dei Paesi di avanguardia ci sia il fronte del Nord. Caso-tipo è quello della Svezia con il diritto a spartirsi 480 giorni, cui 60 obbligatori per uno dei due e i restanti 420 divisi liberamente nella coppia, remunerati all’80% del salario. Anche la Germania (fino a 1095 giorni per tutti e due) spicca tra le nazioni che fissano per madri e padri gli stessi diritti sul periodo di congedo. In particolare, entrambi i genitori - quando hanno un figlio - possono lasciare il lavoro per un massimo di 3 anni (1095 giorni), durante i quali ricevono un’indennità parentale dallo Stato, per un massimo di 14 mesi combinati tra i due, equivalente a circa il 67% del proprio stipendio netto con un minimo di 300 e un massimo di 1800 euro al mese.
“L’Italia sta facendo passi da gigante nel processo di equiparazione dei diritti dei lavoratori - commenta Bernardina Calafiori, socio fondatore dello Studio Legale Daverio & Florio e vicepresidente di Innangard. Prima con l’allungamento della paternità a 10 giorni obbligatori e adesso con questa nuova misura del Family Act, anche se aspettiamo di capire se sarà approvata integralmente. Non dobbiamo sottovalutare il costo dell’intera operazione che difatti, come ha specificato la Ministra Bonetti, sarà graduale, ma è pur vero che questo è il momento di fare scelte coraggiose in linea con gli standard europei, in quanto possiamo contare sul sostanzioso aiuto del PNRR.”
Se ci sono dunque esempi che già seguono le linee guida europee, secondo cui alla nascita di un figlio entrambi i genitori hanno diritto ad almeno 4 mesi di congedo ciascuno, altri casi ancora non prevedono una piena parità. Oltre all’Italia, gli esperti del diritto del lavoro citano il Belgio dove i giorni di congedo per i neo papà sono 15, o ancora Irlanda e Regno Unito (dove i giorni sono 10) e la Svizzera (14). In Francia i giorni sono recentemente aumentati a 25, ma ancora non raggiungono il livello delle madri.


Pediatra di famiglia: quando è davvero necessario chiamarlo e farlo arrivare a casa (evitando il fai da te)

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L’arrivo dello specialista rassicura i genitori, tuttavia non sempre è la scelta più conveniente per il piccolo paziente. Meglio seguire le indicazioni telefoniche del dottore.

Febbre alta, mal di gola, difficoltà a respirare: quando bisogna preoccuparsi dei sintomi del bambino e chiamare il pediatra? In quali casi possono bastare le indicazioni date al telefono dal medico? Quando, invece, è indispensabile un controllo nel suo ambulatorio o una visita a domicilio? Sono tanti i dubbi dei genitori, soprattutto al primo figlio e non è raro che, un po’ disorientati e spaventati, corrano inutilmente al pronto soccorso o contattino lo specialista privato a pagamento. Renato Turra, pediatra di libera scelta nella provincia di Torino e vicepresidente nazionale della Società Italiana di Pediatria (SIP), chiarisce le modalità di intervento e raccomanda innanzitutto «di fidarsi del parere del proprio medico».

Che cosa prevede l’Accordo collettivo nazionale?
«Mamme e papà ci possono chiamare ogni volta che hanno un dubbio ma devono collaborare con noi, seguendo il più possibile i nostri consigli» dice. «È chiaro che noi visitiamo il bambino a casa solo se lo riteniamo necessario». In linea di massima, come stabilito nell’Accordo collettivo nazionale dei pediatri, nei casi in cui «le condizioni cliniche non consentono la trasferibilità dell’ammalato». Quindi quando il bambino è allettato, magari con una frattura importante, su una sedia a rotelle, o immunodepresso (l’esposizione ad ambienti esterni infatti metterebbe a rischio la sua salute).

Quando è reperibile il medico?
Il pediatra di libera scelta è reperibile a distanza di regola dalle ore 8 alle 20 dal lunedì al venerdì e il sabato dalle ore 8 alle 10. E dovrebbe soddisfare la richiesta di codici bianchi e verdi, evitando accessi impropri in età pediatrica al Pronto Soccorso. «Se le condizioni generali del bambino non cambiano, se gioca e mangia normalmente, è reattivo, interagisce con gli altri come al solito, non serve visitarlo e per via telefonica spieghiamo al genitore cosa fare» dichiara Antonio D’Avino, che lavora in uno studio di gruppo a Napoli e riveste il ruolo di vicepresidente nazionale della Federazione italiana medici pediatri (FIMP).

E se il bimbo ha la febbre oppure è caduto?
Qualche esempio. «In presenza di febbre consigliamo di controllare la temperatura ogni quattro ore e di somministrare un antifebbrile, paracetamolo o ibuprofene, in caso di dolori articolari e mal di testa. Se il bambino ha vomito e diarrea chiediamo di farci sapere se dopo la reidratazione orale riesce a trattenere i liquidi. Se i sintomi persistono, è sonnolento e poco vigile, valutiamo in ambulatorio lo stato clinico: secchezza delle mucose della lingua, risposta inadeguata agli stimoli tattili e uditivi, eventuale invio in Pronto Soccorso per reintegrare i sali minerali persi attraverso flebo». In seguito a caduta, distorsione articolare, trauma (senza ampie ferite e perdita di coscienza): «Bisogna tenere il bambino sotto osservazione. Se ha nausea, vertigini, ha difficoltà nei movimenti allora eseguiamo un controllo in presenza». In ogni caso mai dare antibiotici al figlio senza aver prima consultato il medico. Somministrarli quando non servono, per il trattamento di infezioni non batteriche, è dannoso per la salute del bambino e dell’intera comunità (perché in questo modo si favorisce lo sviluppo della resistenza microbica agli antibiotici).

Che cosa fare quando gli studi medici sono chiusi?
Negli orari in cui gli studi dei medici sono chiusi e per le situazioni non rinviabili al giorno successivo è possibile rivolgersi al servizio di continuità assistenziale (dalle 20 alle 8 tutti i giorni e dalle 10 del sabato, o prefestivo, fino alle 8 del lunedì). In alcune Regioni (ma non in tutte le aziende sanitarie di competenza) è stata attivata anche la continuità assistenziale specificamente pediatrica nei giorni prefestivi e festivi: in Puglia, Sicilia, Emilia Romagna, Lazio, Lombardia, Campania, Piemonte, Veneto, Toscana e provincia di Bolzano, secondo una ricognizione della FIMP.

Se si va in ambulatorio, bisogna rispettare una lista di attesa?
Non esistono liste di attesa. «Se il pediatra ritiene di vedere subito il bambino fissa l’appuntamento il giorno stesso, o in un altro momento se non è urgente» prosegue D’Avino. La prestazione ambulatoriale in genere è prevista «per diagnosticare con tampone la presenza di un’infezione batterica, come otite e tonsillite e, in caso positivo, prescrivere l’antibiotico» e ogni volta che si verifica «un improvviso cambiamento delle abitudini e del comportamento del bambino, come pianti frequenti, lamentosità, irascibilità, rifiuto di mangiare e bere senza una causa apparente». «Al bambino conviene essere visitato in ambulatorio piuttosto che a domicilio, perché qui il pediatra può disporre di strumenti che lo aiutano nella diagnosi: dal leucocitometro, per la conta dei globuli bianchi nel sangue, al test per la VES, per individuare la presenza di un’infiammazione, e infine quello per la proteina C-reattiva, utile per rilevare un’infezione» osserva D’Avino. Mentre la corsa al Pronto Soccorso per le non emergenze va evitata: «La famiglia rischia lunghe attese, sottraendo assistenza ai casi più complessi. In quell’ambiente, con altri malati, c’è inoltre il pericolo di contrarre infezioni».

Come si comporta il pediatra in caso di Covid?
Le visite domiciliari, qualora ritenute necessarie dal pediatria, di norma vanno eseguite nell’arco della stessa giornata se la richiesta arriva entro le 10 del mattino, dopo quell’ora invece vanno effettuate entro le 12 del giorno successivo. Chi ne ha diritto? In particolare, come già accennato, i bambini non deambulanti e non trasportabili, e quelli molto fragili, con immunodeficienza, che potrebbero subire un danno se esposti ai patogeni dell’ambiente esterno. Sono inoltre previste visite programmate ai malati cronici (con problemi respiratori, neurologici, insufficienza renale) e ogni volta che il pediatra intende verificare le condizioni familiari e di vita del suo assistito, «se abbiamo il sospetto di abusi fisici, trascuratezza, scarse condizioni igieniche» specifica D’Avino. In caso invece di Covid, o sintomi riconducibili all’infezione, ricorda, «anche per i più piccoli viene attivata a domicilio, direttamente dal pediatra, l’USCA» (unità speciale di continuità assistenziale).

Quando chiamare il numero di emergenza 112/118?
Il numero 118 o 112 (numero unico europeo per le emergenze) va chiamato se il bambino ha un grave malore, per esempio va incontro a una perdita improvvisa di coscienza, una crisi respiratoria o è in pericolo di vita. Per tutte le altre urgenze, come intossicazione, ustioni importanti, frattura evidente alle ossa, ferita ampia da saturare al più presto, vomito ripetuto e incapacità di assumere terapia per bocca, febbre più sintomi da infezione urinaria e importanti segni di malessere, deve essere trasportato immediatamente in ospedale. Oggi però, commenta Gian Vincenzo Zuccotti, direttore della Pediatria e del pronto soccorso dell’ospedale Buzzi di Milano e preside di Medicina all’università Statale, «il 90% degli accessi in Pronto Soccorso è rappresentato da codici bianchi e verdi che potrebbero essere gestiti sul territorio. Spesso i genitori non si sono rivolti prima al pediatra di famiglia oppure hanno provato a contattarlo ma era impegnato». Come risolvere il problema? «Se l’attività di pediatria territoriale fosse erogata in forma associativa, con più pediatri che turnano durante la giornata e condividono gli stessi pazienti, ci sarebbe una maggiore disponibilità di assistenza. Mi auguro che il modello della Casa della comunità previsto dal Piano nazionale di ripresa e resilienza post Covid promuova la pediatria di gruppo» suggerisce Zuccotti.


Quali sono i vaccini obbligatori in Italia (per bambini e adolescenti)

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È un requisito necessario per accedere all’asilo nido e alla scuola dell’infanzia (non vale per la scuola dell’obbligo). Per le famiglie inadempienti sono previste sanzioni da 100 a 500 euro.

In Italia si fa sempre più acceso il dibattito politico e bioetico sull’ obbligatorietà del vaccino anti-Covid. Vale la pena ricordare che nel nostro Paese esistono già 10 vaccini obbligatori. Il decreto legge del 7 giugno 2007 (decreto Lorenzin, ministra della Salute che lo ha proposto) ha portato il numero di vaccinazioni obbligatorie nell’infanzia e nell’adolescenza (0-16 anni) da quattro a dieci con l’obiettivo di contrastare il progressivo calo delle vaccinazioni in atto dal 2013.

Oggi quindi le vaccinazioni obbligatorie sono:
anti-poliomielitica
anti-difterica
anti-tetanica
anti-epatite B
anti-pertosse
anti-Haemophilus influenzae tipo B
anti-morbillo
anti-rosolia
anti-parotite
anti-varicella (solo per i bambini nati dal 2017 in avanti)
e vanno somministrati secondo un preciso Piano vaccinale (che trovate qui).

Quali sono le conseguenze per le famiglie inadempienti? I bambini sotto i sei anni che non sono vaccinati non possono frequentare l’asilo nido e le scuole dell’infanzia. Questo non vale per la scuola dell’obbligo (elementari, medie e biennio delle superiori), dove gli alunni vengono ammessi anche se non vaccinati.
Per i genitori inadempienti la legge prevede sanzioni da 100 a 500 euro che decide la ASL di riferimento, non prima però di aver avviato un percorso di recupero con le famiglie restie alle vaccinazioni.
L’obbligo di vaccinazione viene meno se il bambino è immunizzato per aver contratto la malattia naturale, che deve essere provata tramite copia della notifica del medico curante all’ASL o tramite attestazione rilasciata gratuitamente dal medico o pediatra di famiglia. L’obbligo di vaccinazione può inoltre essere annullato o rinviato in caso di pericolo per la salute del minore, ovvero se esistono condizioni che non permettono - in via temporanea o definitiva - la somministrazione di uno o più vaccini tra i dieci indicati. Tali condizioni devono essere attestate gratuitamente dal medico o pediatra di famiglia.
Le famiglie, pur rischiando eventuali sanzioni e all’impossibilità di mandare i figlio all’asilo, mantengono la possibilità di non vaccinare i propri figli. Nessun infermiere andrà casa per casa a imporre con la forza l’iniezione a chi non la vuole. E nessuna piscina, nessuna scuola calcio, nessun ristorante chiede la scheda vaccinale prima di entrare.
Con il vaccino anti-Covid non si andrà incontro a un TSO obbligatorio, è evidente, ma oltre alle sanzioni, il numero di attività per cui sarà richiesto il vaccino saranno così numerose e così importanti (si pensi al lavoro) da rendere impossibile una vita sociale senza la doppia dose.


HPV, nel 2020 coperture vaccinali in calo per entrambi i sessi

Relazione del Ministero: “problemi organizzativi dovuti alla pandemia”

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Nel 2020, i dati delle coperture vaccinali contro il papillomavirus umano (HPV), “sia per le femmine che per i maschi, mostrano un significativo calo rispetto a quelle riferite al 2019. Il decremento delle coperture può essere dovuto principalmente alle difficoltà organizzative dovute alla gestione della pandemia”.
È quanto emerge dai dati di copertura per la vaccinazione contro l’HPV, pubblicati sul portale del Ministero della Salute.
La vaccinazione anti-HPV si è dimostrata molto efficace nel prevenire nelle donne il carcinoma della cervice uterina (collo dell’utero), soprattutto se effettuata prima dell’inizio dell’attività sessuale, perché induce una protezione maggiore prima di un eventuale contagio con il virus HPV. Per questo, è offerta gratuitamente alle bambine e ai bambini nel dodicesimo anno di vita (11 anni compiuti) in Italia.
Tuttavia, “la copertura vaccinale media contro il papilloma virus (HPV) nelle ragazze è al di sotto della soglia ottimale prevista dal Piano Nazionale di Prevenzione Vaccinale (95% nel 12° anno di vita)” e “anche a livello regionale, nessuna Regione raggiunge il 95% in nessuna delle coorti”. La copertura per ciclo completo per le ragazze undicenni (coorte 2008 nel 2020) mostra una diminuzione di circa il 10% rispetto alle coperture per il ciclo completo delle undicenni dell’anno precedente, “dato che conferma quanto rilevato con l’indagine promossa dal Ministero della salute per verificare l’impatto dell’emergenza Covid-19 sulle attività di vaccinazione”.
La copertura per ciclo completo per le ragazze quindicenni è del 63,84% anche questa in diminuzione rispetto all’anno precedente (70,35%). Per i ragazzi la copertura vaccinale media “è lontana dagli obiettivi previsti dal Piano Nazionale di Prevenzione Vaccinale 2017-2019 e anche in questo caso risulta in diminuzione”.


Pediatri: la nocività dello smog si trasmette dai genitori ai figli

Un Documento delle Società scientifiche chiede di agire

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Confermati ormai da numerose evidenze scientifiche, gli effetti negativi dell’inquinamento atmosferico sulla salute dei bambini possono avere un impatto sulla salute in età adulta e avere effetti transgenerazionali, ovvero si trasmettono dai genitori ai figli.
Chiedere azioni per preservare la salute dei più piccoli è l’obiettivo del documento di consenso “Ambiente e primi 1000 giorni” presentato dalle principali società scientifiche in ambito pediatrico, inclusa la Federazione Italiana Medici Pediatri (FIMP), la Società Italiana di Neonatologia (SIN) e la Società Italiana di Pediatria (SIP).

I bambini sono particolarmente vulnerabili durante lo sviluppo fetale e nei loro primi anni, quando gli organi sono ancora in maturazione.
Numerosi studi e revisioni della letteratura hanno indagato gli effetti dell’esposizione agli inquinanti atmosferici outdoor, nel periodo che va dal concepimento alla fine del secondo anno di vita (i primi 1000 giorni): tra questi vi sono aumento della mortalità infantile, disturbi dello sviluppo neurologico, obesità, compromissione della funzione polmonare, asma e otite media. “Il Documento di consenso è focalizzato sull’inquinamento dell’aria dovuto a particolato atmosferico, biossido di azoto e ozono, prodotte da mezzi di trasporto, riscaldamento domestico e emissioni industriali”, spiega Luca Ronfani, dell’IRCCS materno infantile Burlo Garofolo di Trieste e referente scientifico del progetto ‘Ambiente e primi 1000 giorni’.
A seguito delle evidenze accumulate, precisa Francesco Forastiere dell’Environmental Research Group, Imperial College di Londra, “le nuove Linee guida sulla qualità dell’aria dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), pubblicate il 22 settembre, hanno ridotto in modo considerevole i valori limiti per l’esposizione a lungo termine agli inquinanti più dannosi per la salute”. L’appello del documento, che sarà presentato a tutti i pediatri di famiglia italiani, è quello ad agire in modo concreto per migliorare formazione, conoscenze e prevenzione. “Conoscere il rischio - conclude Rino Agostiniani della SIP - può consentire di adottare strategie di prevenzione in grado di salvaguardare la salute futura del singolo individuo e delle successive generazioni”.


Ansia e autolesionismo nell'83% bimbi nel mondo a causa della pandemia

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A causa della pandemia, l’83% dei bambini di tutto il mondo avverte un aumento dei sentimenti negativi e tra i minori sono in crescita i livelli di depressione, ansia, solitudine e autolesionismo.
Nei Paesi dove le scuole sono rimaste chiuse dalle 17 alle 19 settimane, inoltre, il malessere psicologico è aumentato nel 96% dei casi.
Anche in Italia un’indagine condotta tra i genitori di figli minori per verificare l’impatto della prima ondata di Covid-19 mostra come il 72% dei genitori giudicava i propri figli più nervosi, più tristi, più incerti, più insicuri.
È l’allarme lanciato da Save the Children in occasione della Giornata Mondiale della Salute Mentale che si celebra il 10 ottobre.
I dati emergono da un sondaggio condotto dall’Organizzazione a settembre 2020 su oltre 13.000 bambini in 46 Paesi e sottolineano come le chiusure prolungate per il Covid-19 stiano avendo un impatto devastante sulla salute mentale dei bambini a livello globale. Per questo, Save the Children esorta i Governi a riconoscere la salute mentale e il supporto psicosociale per bambini e adolescenti come un loro diritto e a integrarli nel Servizio sanitario nazionale.
Inoltre, secondo una nuova analisi basata sui dati dell’Oxford Covid-19 Government Response Tracker, dall’inizio della pandemia i bambini di tutto il mondo hanno trascorso in media circa sei mesi totali in casa a causa dei lockdown. “Stiamo vivendo una crisi globale di salute mentale e i suoi effetti potrebbero essere catastrofici per alcuni bambini. Coloro che vivono in povertà o in situazioni svantaggiate o di vulnerabilità sono ancora più a rischio a causa delle conseguenze dannose dei lockdown prolungati - ha dichiarato Marie Dahl, responsabile dell’Unità di salute mentale Save the Children -. La mancanza di stimoli sociali può avere un grave impatto sulla loro salute mentale e sul loro sviluppo. Sebbene i lockdown siano importanti per limitare la diffusione del Covid-19, l’isolamento sociale può portare a sconforto, ansia e depressione tra i bambini. Se non affrontiamo questa crisi di salute mentale, il benessere, lo sviluppo e la salute dei bambini potrebbe risentirne ancora per molto tempo anche dopo la revoca delle restrizioni”.


Asma grave nei bimbi, 3 anticorpi spengono l'infiammazione

I pediatri: riducono l'abuso steroidi e i costi per la gestione della malattia

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Il trattamento dell’asma in età pediatrica, soprattutto nelle sue forme più gravi, può contare ora su 3 anticorpi in grado di migliorare le condizioni dei piccoli pazienti, ridurre gli effetti collaterali da abuso di cortisone e ridurre i costi di gestione della patologia.
A fare il punto sulle ultime novità sui farmaci per il trattamento dell’asma grave il 25° Congresso nazionale della Società Italiana per le Malattie Respiratorie Infantili (SIMRI), che si è tenuto a Verona fino al 26 ottobre 2021.
Per bambini e gli adolescenti che non hanno un controllo ottimale della loro asma, in passato c’erano a disposizione o dosi molto elevate di steroidi inalatori da somministrare per lunghi periodi o il cortisone per bocca, per via sistemica, con relativi effetti collaterali. “Oggi - spiega Giorgio Piacentini, professore ordinario di Pediatria presso l’Università di Verona - abbiamo tre farmaci biologici: omalizumab, mepolizumab e dupilumab. Si tratta di anticorpi che agiscono su specifiche fasi della flogosi asmatica” e che “colpiscono quegli interruttori attraverso i quali l’infiammazione scatena la malattia, ovvero l’infiammazione di tipo 2 che coinvolge gli eosinofili e tipica dell’età pediatrica molto più che nell’adulto”. Questi farmaci permettono di ridurre gli effetti collaterali da corticosteroidi dati a dosaggi elevati per lungo tempo e consentono una vita normale, senza rinunce a gioco e sport. Una buona gestione delle forme gravi di asma grazie ai farmaci biologici, inoltre, porta a un risparmio potenziale sulle spese ospedaliere e i costi di mancato controllo della malattia. “Sebbene bambini e adolescenti con forme gravi di asma siano il 5% della popolazione pediatrica affetta dalla patologia, rappresentano anche oltre il 50% dei costi complessivi per la gestione dell’asma in età pediatrica”.


Covid: bimbi meno agili, aumentano le fratture difficili

SITOP: cadono male come gli anziani, basta uno scivolone in casa

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Le restrizioni e chiusure imposte dalla pandemia, che hanno aumentato le ore trascorse davanti a TV, computer e tablet, hanno reso i bambini più lenti di riflessi e soggetti a cadute rovinose, come gli anziani, riportando fratture scomposte molto complesse da gestire.
A evidenziare il problema è Pasquale Guida, presidente del prossimo Congresso della Società Italiana di Ortopedia e Traumatologia Pediatrica (SITOP), in programma il 30 settembre e 1° ottobre a Napoli.
“Da un raffronto dei dati tra il 2021, 2020 e 2008 - spiega - abbiamo visto che il numero di fratture è rimasto pressoché uguale, ma è cambiato è il tipo di frattura. Prima erano più ‘semplici’, nel senso che l’osso si rompeva in due pezzi, magari perché il bambino cadeva dalla scale o giocava a pallone. Adesso invece le fratture sono più complesse, con l’osso spezzato in 2-3 frammenti, e avvengono in casa, perché si scivola o cade rovinosamente magari giocano a nascondino”. La cosiddetta generazione 2.0, rileva Guida, “è molto più abile con il computer, ma meno agile. Quando un bambino scivola ora non mette più in azione quei meccanismi di paracadute, proprio come accade agli anziani, che hanno tempi di reazione più lenti e cadono malissimo. Questo tipo fratture così complesse, prima della pandemia, le vedevamo in chi aveva un incidente stradale, ora invece dopo una caduta a casa”.
Trattandosi di fratture più complesse, si ricorre anche più spesso alla chirurgia. Una tendenza questa già in atto negli ultimi anni. Gli esperti della SITOP hanno rilevato infatti un aumento del 20% del ricorso alla chirurgia per le fratture all’avambraccio (le più frequenti nell’età evolutiva nell’arto superiore) e del 10% alla tibia (la più frequente alle gambe).
“Intervenire chirurgicamente garantisce un periodo di malattia più breve e una ripresa precoce della funzione”, aggiunge Guida, che sottolinea come siano anche i genitori “spesso a richiedere l’intervento chirurgico, per avere un recupero più veloce e far tornare il bambino il più presto possibile alle sue occupazioni”.


Diabete, spray nasale salvavita diventa rimborsabile in Italia: come funziona il glucagone

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L’insulina e il glucagone sono due ormoni prodotti dal pancreas e la cui funzione principale è quella di regolare la glicemia nel sangue. Nelle persone con diabete di tipo 1, soprattutto di lunga durata, il rischio di ipoglicemia riguarda tutti, e fino a oltre il 40% dei pazienti ne sono colpiti almeno una volta all’anno. Inoltre, anche se meno frequenti, episodi di ipoglicemia sono possibili anche in pazienti con il diabete di tipo 2. Efficace e semplice da usare (semplice puff in una narice) il glucagone, farmaco salvavita in caso di grave abbassamento degli zuccheri nel sangue (ipoglicemia) causato dal diabete, da oggi può essere prescritto gratuitamente. Approvata a metà 2020 dall’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA), la novità diventa ora un’opportunità concreta per i pazienti in tutte le Regioni, grazie alla rimborsabilità da parte del Servizio Sanitario Nazionale, prevista dal decreto appena pubblicato in Gazzetta Ufficiale.

Diabete, cosa è lo spray salvavita
Lo spray salvavita, prodotto da Ely Lilly, ha un utilizzo a prova di errore per chiunque, soprattutto nel caso dei bambini, e può essere tenuto sempre a portata di mano perché non richiede particolari precauzioni nella conservazione. «Quando una persona con diabete va incontro a un episodio di ipoglicemia grave, con la perdita di coscienza, non c’è tempo da perdere: non potendo somministrare zuccheri per bocca, è necessario che un’altra persona intervenga subito con il glucagone, l’ormone antagonista dell’insulina che stimola il fegato a rilasciare e produrre glucosio riportando rapidamente la glicemia nella norma», spiega Paolo Di Bartolo, presidente dell’Associazione Italiana Medici Diabetologi. Fino allo scorso anno il glucagone era disponibile solo per iniezione intramuscolare ed era perciò necessaria la presenza di qualcuno in grado di somministrarlo; un anno fa è arrivato anche nel nostro Paese il glucagone in formulazione spray per via nasale, una polvere che può essere utilizzata anche su pazienti incoscienti.
Consentire l’accesso gratuito a questo farmaco, può essere un’ancora di salvezza. «L’improvviso calo della glicemia al di sotto del valore di 54 mg/ml è un’emergenza imprevedibile che ogni anno riguarda molti pazienti, in particolare quelli in terapia con insulina», precisa Emanuele Bosi, direttore del Centro di Diabetologia e professore di Medicina Interna dell’Università Vita Salute dell’Ospedale San Raffaele di Milano. Per tutte queste persone, aggiunge, «l’ipoglicemia è una spada di Damocle: in assenza di soccorsi si può andare incontro alla perdita dello stato di coscienza e alla morte». Approvato per l’uso al di sopra dei 4 anni di età, il glucagone spray è pronto all’uso e richiede solo la somministrazione in una narice, perché la polvere entra in circolo senza bisogno di essere aspirata e non ci sono aggiustamenti di dosaggio da fare. «Avere sempre con sé un farmaco salvavita e maneggevole è ‘assicurazione sulla vita’ nel caso di perdita di coscienza - conclude Claudio Maffeis, presidente Società italiana endocrinologia e diabetologia pediatrica (SIEDP) - perché chiunque può intervenire e spruzzare il farmaco spray nel naso al paziente e quindi offrire un soccorso adeguato e tempestivo».


Sindrome dell’ovaio policistico

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Come definire la sindrome dell’ovaio policistico nelle adolescenti?
La sindrome dell’ovaio policistico (PCOS) è caratterizzata da iperandrogenismo e disfunzione ovarica1-2. Non esiste una definizione condivisa per l’età pediatrica. Secondo la Consensus della European Society of Human Reproduction and Embriology [ESHRE] / American Society of Reproductive Medicine [ASRM])1 la diagnosi nell’adulto viene posta in presenza di almeno 2 tra i seguenti criteri di Rotterdam:
a) oligo-ovulazione e/o anovulazione;
b) segni clinici e/o biochimici di iperandrogenismo;
c) ovaio policistico,
ed escludendo altre eziologie (iperplasia surrenalica congenita, tumori secernenti androgeni, sindrome/malattia di Cushing, sindrome da insulino-resistenza severa).

Si raccomanda che nelle adolescenti non vada formulata una diagnosi definitiva di PCOS, ma vengano individuate e trattate le singole componenti della sindrome3. Alcuni Autori hanno invece proposto che in età pediatrica la PCOS venga diagnosticata quando tutti e tre i criteri di Rotterdam sono soddisfatti4. L’assenza di una definizione di PCOS specifica per l’adolescenza può esporre al rischio di ritardare l’identificazione dei segni e il trattamento degli stessi.

Quali sono i criteri per la definizione delle componenti della sindrome dell’ovaio policistico nelle adolescenti?
Le componenti della sindrome dell’ovaio policistico (PCOS) vanno ricercate in tutte le ragazze obese con almeno due anni di età ginecologica, utilizzando i seguenti criteri:

  • Oligo/anovulazione: ricercare l’oligomenorrea (1-2 mestruazioni negli ultimi 90 giorni) o l’amenorrea (assenza di mestruazioni negli ultimi 90 giorni). In caso di eumenorrea con iperandrogenismo e/o PCO, ricercare anovulazione con dosaggio del progesterone al 20°-24° giorno (ripetuto almeno due volte)2,5;
  • Iperandrogenismo clinico: presenza di irsutismo secondo lo score di Ferriman-Gallwey modificato, con valore di 6 o 8 in adolescenti bianche o nere, rispettivamente2 e/o alopecia (molto rara) e/o acne2,6;
  • Iperandrogenismo biochimico: elevazione del testosterone libero (misurato direttamente o calcolato dal testosterone totale e dalla sex hormon binding globulin) e/o del deidroepiandrosterone solfato1-2;
  • PCO: presenza di 12 o più follicoli di 2-9 mm di diametro in ogni ovaio e/o ovaio > 10 ml (volume ovarico = 0,5 x lunghezza x larghezza x spessore). L’ecografia transaddominale (e ove possibile transvaginale) dovrebbe essere eseguita al 3°-5° giorno del ciclo o random in caso di amenorrea, o al 3°-5° giorno di sanguinamento indotto da sospensione di progestinico1-2.

Quali sono gli esami endocrini complementari nella diagnostica differenziale dell’oligo/amenorrea?
Prolattina, LH, FSH, 17-β-estradiolo e profilo tiroideo sono esami complementari per la diagnosi differenziale di oligo/amenorrea (iperprolattinemia, ipogonadismo ipergonadotropo, disfunzione tiroidea). L’LH è spesso isolatamente elevato (aumentato rapporto LH/FSH) così come una lieve iperprolattinemia può essere presente nel 30% delle pazienti7. Il 17-OH-progesterone basale è utile per la diagnosi differenziale con l’iperplasia surrenalica congenita1,2. Gli esami per escludere altre patologie (sindrome/malattia di Cushing, tumori androgeno-secernenti ecc.) vanno scelti in base alla presentazione clinica1,2.

Quali sono le raccomandazioni sul trattamento dell’oligo/amenorrea?
Obiettivo principale della terapia della sindrome dell’ovaio policistico è la correzione dell’iperandrogenismo e il ripristino della regolarità dei cicli mestruali.
L’oligo-amenorrea va trattata soprattutto per evitare i rischi legati all’iperstimolazione estrogenica cronica dell’endometrio (iperplasia e tumori)8,9. La terapia estro-progestinica è il trattamento di prima istanza8,9 da associare alle modifiche dello stile di vita. Sono da utilizzare combinazioni di etinil-estradiolo (< 35 µg) e progestinico a effetto anti-androgeno (ciproterone acetato > drospirenone > clormadinone acetato), specie in presenza di iperandrogenismo, o a effetto neutro (desogestrel, gestodene, norgestimato)8-10. In particolare nell’adolescente obesa si preferisce il drospirenone, che oltre all’effetto anti-androgeno, ha anche effetto anti-aldosteronico e nessun effetto glucocorticoide e non presenta i tipici effetti indesiderati del ciproterone (idroritenzione, depressione, aumento del peso, epatotossicità)8-10. Un’ alternativa all’estro-progestinico per la regolarizzazione dei cicli mestruali è l’uso ciclico mensile di progestinico (esempio: progesterone 100-200 mg/die o medrossiprogesterone acetato 10 mg/die per 10-14 giorni al mese)9. A differenza dell’estro-progestinico, il progestinico ciclico non ha effetto contraccettivo né effetto anti-androgeno. L’uso della metformina nelle adolescenti obese con PCOS è off-label, mentre è indicato se è presente anche intolleranza al glucosio11. Non ci sono ancora evidenze certe sull’efficacia dell’inositolo e dell’acido alfa-lipoico in età adolescenziale.

Quali sono le raccomandazioni sul trattamento dell’irsutismo e dell’acne?
L’irsutismo e l’acne devono essere trattati per l’importante morbilità psicologica con cui si associano8-12. Le terapie cosmetiche devono essere incoraggiate e possono essere risolutive in casi lievi o costituire una valida terapia temporanea8-12. L’elettro-epilazione è l’unica tecnica efficace nel rimuovere permanentemente i follicoli piliferi, anche se è operatore-dipendente e, se mal utilizzata, può produrre discromie e cicatrici12. Le fototerapie (laser o luce pulsata) non rimuovono il pelo superfluo in maniera definitiva ma comportano una riduzione del 50% circa per sei mesi o anche dell’85% fino a 12 mesi12. Per i peli superflui del viso è consigliabile, come terapia unica o adiuvante, l’eflornitina topica (Vaniqa crema)8,12. L’irsutismo moderato-grave richiede terapia farmacologica con estro-progestinico con progestinico ad azione antiandrogena per almeno 6-9 mesi12 o terapia combinata con estro progestinico + anti-androgeno8,9,12. Per le caratteristiche di efficacia e sicurezza, l’anti-androgeno di prima scelta è lo spironolattone (50-200 mg/die)8,12, anche se il suo uso come anti-androgeno è off-label. Di seconda scelta il ciproterone acetato (25-100 mg/die nei giorni 1-10 o 5-15 del ciclo) e la finasteride (2,5-7,5 mg/die)12. La metformina non aggiunge benefici al trattamento specifico dell’irsutismo8,9,12.

La sindrome dell’ovaio policistico ha solo delle conseguenze sulla fertilità?
La sindrome dell’ovaio policistico (PCOS) può essere una spia di insulino-resistenza e di iperinsulinemia e la maggior parte delle pazienti hanno obesità. Questi fattori espongono il soggetto al rischio di sindrome metabolica e di diabete tipo 2 in età giovane adulta8,13,14. Non a caso la PCOS fa parte dei criteri per lo screening del pre-diabete e diabete in età pediatrica.

- Bibliografia nell’articolo originale. -


Bambini in ospedale, ancora troppi in reparti "da grandi"

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Le cure in ospedali (o settori) pediatrici garantirebbero fino alla maggiore età un minor disagio e una migliore aderenza alle cure. Oggi non sempre è così.

Il ricovero ospedaliero per un bambino è un momento traumatico. Assicurare un ambiente accogliente e adatto ai suoi bisogni affettivi, ludici e cognitivi, e un’assistenza adeguata alle sue caratteristiche biologiche da parte di personale formato in area pediatrica è parte integrante del percorso di cura. Ma in oltre due casi su dieci la salute a misura di bambino non è ancora un diritto tutelato. Secondo un calcolo dell’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (Agenas), relativo al 2019, 175.104 ricoveri di pazienti tra 0 e 17 anni, pari al 25,19 per cento del totale (695.215, da cui sono state escluse le degenze per il parto), sono stati effettuati all’interno di reparti per adulti. Soprattutto quando è stato necessario un intervento chirurgico.
L’ambito ortopedico è sicuramente quello più delegato a equipe e ambienti pediatrici (39.986 ricoveri, cioè il 22,8 per cento), in particolare per le operazioni al piede (7834), seguite da quelle per la rimozione di mezzi di fissazione interna agli arti inferiori (6415), al ginocchio (5035), altri interventi sul sistema muscolo-scheletrico (4710), a tibia e omero (3986), mani e polso (2921), spalla, gomito e avambraccio (2783). Al secondo posto ci sono gli interventi di otorinolaringoiatria (28.504 ricoveri, pari al 16,2 per cento dell’attività): la maggior parte riguarda l’asportazione delle tonsille ed eventualmente delle adenoidi (18.198). Al terzo posto, la chirurgia generale (20.072 degenze, il 11,4 per cento), con numerosi interventi al testicolo (4443, quasi come quelli trattati nei reparti pediatrici: 5262), di appendicectomia (3163), perianali (come emorroidi e fistole) e cisti pilonidali (2930). Un’altra fetta di bambini e adolescenti viene gestita in zone per adulti per problemi oculistici (4993 casi), urologici (4764), cardiologici (4164) e per la chirurgia maxillo-facciale (3339).
«La collocazione dei pazienti pediatrici in reparti pediatrici oltre a rappresentare una battaglia di civiltà da perseguire, affinché ricevano cure appropriate in un luogo adeguato alle loro esigenze, riducendo al minimo la percezione disagevole dell’ospedalizzazione e facilitando l’aderenza alla terapia, è anche una lotta da intraprendere in favore della qualità dell’assistenza e della ricerca scientifica. Concentrare i volumi delle prestazioni in dipartimenti specifici consente infatti di garantire esiti clinici migliori» osserva Alberto Zanobini, presidente dell’Associazione ospedali pediatrici italiani (AOPI), che raggruppa 15 strutture, tra cui l’ospedale Meyer di Firenze di cui è direttore generale. In molte parti d’Italia, specialmente nelle pediatrie di periferia, la presa in carico si ferma a 14 anni, altre volte arriva fino a 15 o 16. Nel documento di indirizzo per il miglioramento degli standard assistenziali in area pediatrico-adolescenziale, sottoscritto dalla Conferenza Stato-Regioni nel 2017, si denunciava che l’85 per cento dei degenti tra 15 e 17 anni fosse gestito in condizioni di promiscuità con pazienti adulti e anziani e con personale medico e infermieristico non specializzato nell’assistenza dell’infanzia e dell’adolescenza.


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Abate MV (a cura di). Congedo di paternità, da dieci a novanta giorni - Pediatra di famiglia: quando è davvero necessario chiamarlo e farlo arrivare a casa (evitando il fai da te) - Quali sono i vaccini obbligatori in Italia (per bambini e adolescenti) - HPV, nel 2020 coperture vaccinali in calo per entrambi sessi - La nocività dello smog si trasmette dai genitori ai figli - Ansia e autolesionismo nell’83% bimbi nel mondo a causa della pandemia - Asma grave nei bimbi, 3 anticorpi spengono l’infiammazione - Covid: bimbi meno agili, aumentano le fratture difficili - Diabete, spray nasale salvavita diventa rimborsabile in Italia: come funziona il glucagone - Sindrome dell’ovaio policistico - Bambini in ospedale, ancora troppi in reparti “da grandi”. Medico e Bambino 2021;24(9) https://www.medicoebambino.com/?id=NEWS2109_10.html