Rivista di formazione e aggiornamento di pediatri e medici operanti sul territorio e in ospedale. Fondata nel 1982, in collaborazione con l'Associazione Culturale Pediatri.
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UOC di Pediatria, Ospedale di Treviglio (Bergamo)
Indirizzo per corrispondenza: valentina_aba@yahoo.it

Sommario
Covid nei bambini. ISS: l’1,8% dei casi italiani è in età pediatrica
Patologie preesistenti raddoppiano il rischio di una maggiore gravità della malattia
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La fotografia è stata scattata da uno studio appena pubblicato sulla rivista scientifica "Pediatrics" intitolato “Covid-19 disease severity risk factors for pediatric patients in Italy” a cura del Reparto di Epidemiologia, Biostatistica e Modelli matematici, del Dipartimento Malattie Infettive dell’Istituto Superiore di Sanità, da cui emerge che un rischio maggiore (più del doppio) risulta associato a patologie preesistenti.
I casi pediatrici di Covid-19 in Italia sono l’1,8% del totale, con un’età media di 11 anni, e nel 13,3% dei casi sono stati ricoverati in ospedale. La fotografia è stata scattata da uno studio appena pubblicato sulla rivista scientifica Pediatrics intitolato “Covid-19 disease severity risk factors for pediatric patients in Italy” a cura del reparto di Epidemiologia, Biostatistica e Modelli matematici, del Dipartimento Malattie Infettive dell’Istituto Superiore di Sanità, da cui emerge che un rischio maggiore (più del doppio) risulta associato a patologie preesistenti.
“Sono stati analizzati – si legge in una nota - i dati del Sistema di Sorveglianza Nazionale basato sui casi di diagnosi confermate di Covid-19 dal 20 febbraio all’8 maggio 2020. Le caratteristiche demografiche e cliniche, insieme ai fattori di rischio per la gravità della malattia, sono state valutate in neonati, bambini e adolescenti e poi confrontate con la popolazione adulta e anziana. I casi pediatrici rappresentano l’1,8% delle diagnosi totali (3836/216.305), l’età mediana è di 11 anni, il 51,4% sono maschi, il 13,3% sono stati ricoverati in ospedale e il 5,4% presentava patologie pregresse.
La malattia da Covid-19 è stata lieve nel 32,4% dei casi e grave nel 4,3%, in particolare nei bambini di età ≤ 6 anni (10,8%); tra i 511 pazienti ospedalizzati, il 3,5% è stato ricoverato in Terapia Intensiva e si sono verificati quattro decessi (due < 1 anno e due tra 5 e 6 anni). Tutti e quattro i bambini sono deceduti per un deterioramento di condizioni di base già molto compromesse, per cui l’impatto dell’infezione da SARS-CoV-2 potrebbe aver aggravato la situazione, ma non sembra possa essere considerata la causa principale della morte. Un minor rischio di gravità della malattia è associato all’aumentare dell’età, mentre un rischio maggiore (più del doppio) risulta associato a patologie preesistenti. Il tasso di ospedalizzazione, il ricovero in Terapia Intensiva, la gravità della malattia e i giorni dall’esordio dei sintomi alla guarigione aumentano significativamente con l’età tra i bambini, gli adulti e gli anziani.”
I dati suggeriscono che i casi pediatrici di Covid-19 “siano meno gravi rispetto alle altre classi di età, tuttavia l’età ≤ 1 anno e la presenza di condizioni patologiche preesistenti rappresentano fattori di rischio di gravità della malattia, pertanto le misure di controllo andrebbero mantenute ed eventualmente implementate per proteggere i bambini più vulnerabili. Anche se a oggi l’epidemia di Covid-19 ha colpito in maniera piuttosto limitata i neonati, i bambini e gli adolescenti, non sì è ancora potuto valutare un reale impatto della malattia a causa del distanziamento sociale e della chiusura delle scuole. Inoltre la popolazione pediatrica nella trasmissione del virus potrebbe giocare un ruolo attivo”.
Allarme per bambini e ragazzi con sindrome hikikomori
Dopo il Covid non vogliono più uscire, ritorno a scuola con ‘rete’
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Dopo i mesi del lockdown causato dal Covid è allarme per la sindrome hikikomori nei bambini, il rifiuto di uscire da casa e continuare a stare nel ‘guscio’ spesso ‘attaccati’ alla prolunga virtuale della vita che è il cellulare. A lanciarlo è la psicologa, psicoterapeuta e psicopedagogista Maria Rita Parsi, audita dalla Commissione parlamentare per l’infanzia e l’adolescenza in merito al seguito dell’indagine conoscitiva sulle forme di violenza fra i minori e ai danni di altri minori.
“Mai come adesso occorre fare rete, a partire dalle 45mila scuole che ci sono sul territorio e che devono riaprire perché i bambini devono tornare a scuola, mettere a disposizione tutte le competenze che ci sono per salvaguardare la salute mentale dei minori, seguire le famiglie, combattere la disgregazione del tessuto sociale. Così si può fare prevenzione, ricordando che ogni volta che approcciamo un ‘bullo’, un bambino violento, ebbene dietro di lui troviamo un bambino negato, frustrato, che replica la violenza che subisce spesso in famiglia”, ha sottolineato Parsi nel suo intervento.
“Il peso del virtuale sui bambini non va sottovalutato, ormai è pervasivo, dopo la famiglia e la scuola è la terza agenzia educativa dei minori e occorre intervenire: in televisione, ad esempio su quelle a pagamento, nelle ore in fascia protetta si vedono film di una violenza inaudita e i bambini mettono in scena la violenza che vedono o che subiscono”, ha aggiunto Parsi. Occorre ripartire dai territori, dalle circoscrizioni e Parsi ha ricordato “il lavoro che sta facendo l’ottavo Municipio di Roma con il presidente Ciaccheri che ha aperto la Circoscrizione con progetti di decentramento culturale per organizzare gli spazi e intercettare i problemi”, abbiamo tantissime “competenze” per fare questo tipo di azioni per salvaguardare la salute mentale dei più piccoli ha aggiunto Parsi citando anche il rapporto Musa del CNR sul disagio di minori e adolescenti.
Baby gang ‘in rosa’: ormai la violenza non ha genere
Gennaro Demetrio Paipais, presidente dell’Unione Giovani Penalisti di Napoli: “è allarme, inorridirsi non basta”
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“La violenza tra i minori non conosce genere, i dati sono allarmanti e inorridirsi non basta”. Così, in una nota, l’avvocato Gennaro Demetrio Paipais, presidente dell’Unione Giovani Penalisti di Napoli ed esperto di Diritto Penale minorile, commenta il video di pochi secondi diffuso sui social network in cui si vede un branco di ragazzine accanirsi contro una coetanea, nel rione Salicelle di Afragola, in provincia di Napoli.
Per Paipais “Nessuno nasce delinquente: il degrado dell’ambiente e il background sociale e familiare possono incidere come cause oggettive del disagio e, quindi, della conseguente devianza”.
Pertanto, secondo il penalista, “bisogna intervenire affinché il disagio non diventi devianza. Lo Stato non deve mai dimenticare che ha l’obbligo, secondo la Carta Costituzionale, di proteggere l’infanzia e la gioventù favorendo tutti gli Istituti necessari, intervenendo anche e soprattutto nei territori a rischio. Vanno individuate e sostenute con risorse idonee la lotta alla dispersione scolastica, va riveduto il modello scuola in tempi di Covid, favorire il protagonismo dei ragazzi e delle ragazze, offrire sostegno economico-finanziario alle famiglie, promuovere l’occupazione giovanile”.
“Sono pertanto indispensabili - secondo il presidente dell’Unione Giovani Penalisti di Napoli - politiche sociali proiettate al potenziamento delle strutture educative, soprattutto in fase di Covid, che favoriscano l’integrazione sociale, come i Centri diurni, i Centri sportivi, Centri di aggregazione, l’avvio di programmi sperimentali, nei quartieri più disagiati, in cui il ruolo e la funzione dell’educazione di strada siano prioritari”. Paipais invita le istituzioni “a prendere coscienza dell’attuale virulente connotazione del complesso fenomeno della devianza minorile che - sottolinea - impone con urgenza di rivedere il ruolo dello Stato nella capacità educativa del minore. Il coinvolgimento sempre più frequente di minori in gravi episodi delittuosi deve sollecitare costanti riflessioni in ordine al ruolo dello Stato nella prevenzione e nella formazione ed educazione minorile”.
“L’Italia - conclude Paipais - deve poter dimostrare che la società, con la sua libertà di scelta, le ampie opportunità e garanzie a tutela degli infanti e degli adolescenti e un efficiente ed efficace modello educativo, sia in grado di contrastare un percorso deviante”.
I disturbi del neurosviluppo entrano nei controlli periodici dei pediatri
Arrivano le nuove schede ISS - Ministero della Salute
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Il nuovo strumento sarà infatti a disposizione dei pediatri di famiglia per la sorveglianza neuroevolutiva dei bambini ed è stato redatto con i Sindacati e le Società scientifiche della Pediatria e finanziato dal Ministero della Salute.
I disturbi del neurosviluppo entrano nei controlli periodici dei pediatri. È quanto prevedono le schede condivise dall’Istituto Superiore di Sanità, dalla Federazione Italiana Medici Pediatri (FIMP), dall’Associazione Culturale Pediatri (ACP), dal Sindacato Medici Pediatri di Famiglia (SIMPEF), dalla Società Italiana di Pediatria (SIP), dalla Società Italiana di NeuroPsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza (SINPIA) e dalla Società Italiana di Neonatologia (SIN).
Le schede di osservazione e promozione del neurosviluppo sono nate dal Progetto Salute-Infanzia nell’ambito dei bilanci di salute, cioè dei controlli di routine previsti dal SSN realizzati dal pediatra di famiglia a determinate tappe di età definite con singole Regioni. Privilegiano l’osservazione longitudinale del bambino e includono i comportamenti essenziali da valutare a ogni bilancio di salute per una efficace sorveglianza neuroevolutiva. Inoltre, per ciascun dominio vengono anche indicate le strategie più appropriate per valorizzare opportunità ed esperienze della vita quotidiana del bambino, per lui utili e interessanti in quella specifica la fase di sviluppo.
“Le schede sono state sviluppate per essere applicabili nell’ambito dei bilanci di salute realizzati dai pediatri di famiglia in tutto il territorio nazionale - dice Maria Luisa Scattoni, coordinatrice dell’Osservatorio Nazionale Autismo e responsabile scientifico del progetto – tenendo conto delle differenze organizzative. L’obiettivo del progetto, promosso e finanziato dalla direzione generale della Prevenzione Sanitaria del Ministero della Salute, è stato quello di produrre uno strumento che facilitasse l’attività del pediatra di famiglia selezionando i comportamenti essenziali da sorvegliare nel tempo per monitorare la traiettoria di sviluppo del bambino e inviarlo tempestivamente a visita specialistica se necessario”.
La sorveglianza attiva dello sviluppo da parte dei pediatri di famiglia e il loro coordinamento con le unità specialistiche di neuropsichiatria infantile è elemento essenziale per favorire un riconoscimento precoce dei disturbi del neurosviluppo.
Per l’utilizzo delle schede è raccomandata una formazione specifica che l’ISS ha predisposto gratuitamente in accordo agli standard metodologici del Servizio di Formazione dell’ISS. I professionisti accederanno a tutorial specifici per un utilizzo appropriato delle schede, che faciliteranno l’individuazione dei comportamenti tipici e atipici e delle specifiche strategie di promozione dello sviluppo per ciascun dominio e comportamento indagato. I materiali sono stati predisposti per adattarsi ai tempi e alle esigenze del contesto della visita del pediatra e includono link a materiale multimediale utile per acquisire in modo semplificato modalità di osservazioni coerenti a standard di elevata qualità.
Anemia falciforme. Ok dell’EMA all’uso di crizanlizumab
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Via libera dal Comitato per i Medicinali per Uso Umano dell’EMA a crizanlizumab per la prevenzione delle crisi vaso-occlusive (VOC) ricorrenti e delle conseguenti crisi dolorose nei pazienti con anemia falciforme a partire dai 16 anni di età. Se approvato dalla Commissione Europea, crizanlizumab sarà il primo farmaco mirato disponibile per la prevenzione delle VOC nei pazienti con anemia falciforme in Europa.
Il Comitato per i medicinali per uso umano (CHMP) dell’Agenzia Europea per i medicinali (EMA) ha adottato un parere positivo, raccomandando l’autorizzazione all’immissione in commercio condizionata di crizanlizumab (Adakveo, Novartis) per la prevenzione delle crisi vaso-occlusive (VOC) ricorrenti e delle conseguenti crisi dolorose nei pazienti con anemia falciforme a partire dai 16 anni di età.
Crizanlizumab può essere somministrato come terapia aggiuntiva a idrossiurea/idrossicarbamide (HU/HC) o come monoterapia nei pazienti per i quali HU/HC è inappropriata o inadeguata.
“L’anemia falciforme è una patologia complessa con manifestazioni molto gravi che hanno un forte impatto sull’attesa e qualità di vita dei pazienti – dice Gian Luca Forni, presidente della Società Italiana Talassemie ed Emoglobinopatie (SITE) – L’opinione positiva del CHMP è un importante passo in avanti verso la disponibilità di un farmaco innovativo che rappresenta un’arma che mira a prevenire e affrontare il fenomeno della vaso-occlusione, le crisi dolorose e altre conseguenze devastanti tipiche di questa malattia”.
Se approvato dalla Commissione Europea, crizanlizumab sarà il primo farmaco mirato disponibile per la prevenzione delle VOC nei pazienti con anemia falciforme in Europa. Crizanlizumab si lega alla P-selectina, una proteina di adesione cellulare che svolge un ruolo centrale nelle interazioni multicellulari che possono provocare vaso-occlusione. Sebbene sia considerata una patologia rara, sono decine di migliaia di persone in Europa che soffrono di anemia falciforme.
“L’opinione positiva del CHMP per crizanlizumab sottolinea il potenziale di questo nuovo farmaco nel prevenire la vaso-occlusione e le crisi dolorose acute ricorrenti nell’anemia falciforme, che possono impattare tutti gli aspetti della vita dei pazienti”, osserva Susanne Schaffert, presidente di Novartis Oncology. “Novartis si dedica all’innovazione ovunque vi sia un significativo bisogno medico insoddisfatto, e siamo grati per il supporto che abbiamo ricevuto dalla comunità dei pazienti con anemia falciforme, dai loro rappresentanti e dagli esperti europei in tutto il mondo, i quali continuano ad aiutarci a re-immaginare la Medicina per questa malattia devastante”.
L’opinione del CHMP si basa sui risultati di SUSTAIN, uno studio clinico di 52 settimane, randomizzato e controllato con placebo, il quale ha dimostrato che crizanlizumab ha ridotto in modo significativo il tasso mediano annuale di VOC a 1,63 rispetto al 2,98 del placebo (p = 0,010), una riduzione equivalente al 45%. Tra i pazienti sono state osservate riduzioni della frequenza delle VOC, a prescindere dal genotipo della malattia falciforme e/o dall’uso di idrossiurea.
Ulteriori risultati dello studio SUSTAIN includono:
- Una riduzione del tasso mediano annuale di giorni di ospedalizzazione (4 vs 6,87 rispetto al placebo – riduzione del 42%.
- Il tempo mediano alla prima VOC di 4,1 mesi per crizanlizumab, rispetto agli 1,4 mesi per il placebo.
Il Committee for Orphan Medicinal Products (Comitato per i medicinali orfani) sta attualmente esaminando l’opportunità di mantenere per crizanlizumab la designazione di “farmaco orfano”. Crizanlizumab è attualmente approvato negli Stati Uniti e in altri sette Paesi per ridurre la frequenza delle crisi vaso-occlusive nei pazienti con anemia falciforme a partire dai 16 anni di età.
Psoriasi a placche. Ok dell'EMA all'uso di ixekizumab in Pediatria
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“A causa del numero limitato di opzioni terapeutiche per la psoriasi pediatrica, il trattamento di bambini e adolescenti con una psoriasi a placche da moderata a grave può essere difficile”, afferma Anna Belloni Fortina, presidente della Società Italiana Dermatologia Pediatrica. “Avere nuove opzioni di trattamento della psoriasi pediatrica approvate dall’EMA (European Medicines Agency) è un passo in avanti positivo nel contribuire ad alleviare il peso della psoriasi in questa popolazione di pazienti, per le loro famiglie e per gli operatori sanitari”.
L’EMA ha rilasciato l’autorizzazione all’immissione in commercio di ixekizumab, 80 mg/ml, per il trattamento della psoriasi a placche da moderata a severa nei bambini a partire dall’età di 6 anni e con un peso corporeo di almeno 25 kg e negli adolescenti candidati alla terapia sistemica.
“La psoriasi è particolarmente gravosa per i bambini e gli adolescenti, a causa delle manifestazioni cliniche, che possono essere anche imbarazzanti durante questo periodo cruciale di sviluppo delle loro giovani vite, e a causa dei sintomi soggettivi quali prurito e dolore che si associano alle manifestazioni cliniche”, afferma Anna Belloni Fortina, presidente SIDerP (Società Italiana Dermatologia Pediatrica) e responsabile del Centro di riferimento regionale di Dermatologia Pediatrica dell’Università di Padova, “Nello studio pediatrico di fase 3, la metà dei pazienti trattati con ixekizumab ha raggiunto la completa clearance cutanea dopo solo 12 settimane di trattamento. Questi risultati e la successiva approvazione dell’EMA rappresentano un valido esempio di come ixekizumab sia un’opzione terapeutica efficace nei pazienti pediatrici con psoriasi a placche da moderata a grave.”
L’efficacia, la sicurezza e la tollerabilità di ixekizumab in pazienti di età compresa tra 6 e 18 anni sono state dimostrate in uno studio di fase 3 randomizzato, in doppio cieco, controllato con placebo, su 171 pazienti con psoriasi a placche da moderata a severa. Gli endpoint co-primari dello studio erano la percentuale di pazienti che raggiungeva un miglioramento del 75 percento rispetto al baseline dell’indice di gravità della psoriasi (PASI 75) e la clearance completa o quasi completa della psoriasi valutata con la scala di valutazione globale della malattia (sPGA 0,1) alla settimana 12.
A 12 settimane, la percentuale di pazienti che hanno raggiunto gli endpoint co-primari era superiore al placebo con differenza statisticamente significativa (p < 0,001):
- L’89% dei pazienti trattati con ixekizumab ha raggiunto PASI 75 rispetto al 25% dei pazienti trattati con placebo.
- L’81% dei pazienti trattati con ixekizumab ha raggiunto lo sPGA 0,1 rispetto all’11% dei pazienti trattati con placebo.
Ixekizumab ha anche raggiunto tutti i principali endpoint secondari nello studio (P < 0,001), che includevano la proporzione di pazienti che raggiungevano PASI 90, sPGA (0) e PASI 100 alla settimana 12 e un miglioramento di almeno quattro punti del prurito valutato con la scala VAS (ItchNRS ≥ 4) (alla settimana 12, nonché PASI 75 e sPGA 0,1 alla settimana 4).
Complessivamente, il profilo di sicurezza osservato nei pazienti pediatrici con psoriasi a placche trattati con ixekizumab ogni quattro settimane è coerente con il profilo di sicurezza nei pazienti adulti con psoriasi a placche, a eccezione delle frequenze di congiuntivite (3%), influenza (2%) e orticaria (2%).
Circoncisione, sia fatta nel pubblico per evitare rischi
E con un ticket accessibile
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È una pratica rituale e medica molto diffusa. In Italia si calcolano dodicimila interventi all’anno, molti tornano nei Paesi d’origine per effettuarla. O la fanno clandestinamente, con enormi rischi per la salute. La richiesta dei medici di origine straniera.
Nel nostro Paese si stimano circa 12 mila circoncisioni l’anno, un terzo delle quali, stando ai dati dell’AMSI, l’Associazione Medici di origine Straniera in Italia, sarebbero praticate in condizioni di clandestinità. In strutture non adatte e da personale non medico, “Per questo bisogna inserire la circoncisione preventiva nei livelli essenziali di assistenza (LEA) del Sistema Sanitario Nazionale, in modo tale da mettere fine alla pratica clandestina”, chiede FOAD AODI, presidente AMSI, a pochi giorni dell’inserimento da parte della Regione Marche della circoncisione preventiva tra le pratiche garantite dal sistema sanitario nazionale. Un passo avanti, certo, ma secondo AODI, l’obiettivo è “autorizzare la pratica in ambulatori pubblici, eseguiti da personale sanitario competente e previo il pagamento di un ticket economicamente accessibile”.
Che cos’è
La circoncisione è una procedura chirurgica, ma anche un atto rituale e culturale. Un uomo su tre a livello globale è circonciso. Le ragioni terapeutiche sono la fimosi, un’anomala ristrettezza del prepuzio che ostacola lo scorrimento del glande, o malformazioni. “La circoncisione terapeutica è un intervento di routine, dura pochi minuti, e si pratica non prima dei 2 anni (quella rituale viene eseguita anche prima, ndr). È eseguito da un chirurgo in condizioni di sterilità”, spiega Simona La Placa, pediatra al Policlinico di Palermo e segretario del Gruppo di studio per il Bambino Migrante della SIP, la Società Italiana di Pediatria. “In Italia, per ragioni mediche, viene garantita presso le strutture sanitarie pubbliche. Ma in assenza di indicazioni terapeutiche, ed è il caso della circoncisione rituale (molto più diffusa nel mondo secondo l’OMS, ndr), la situazione è molto eterogenea”. Stando ai dati raccolti dalla SIP lo scorso anno, a esclusione della Toscana, dove la procedura è inserita nei livelli essenziali di assistenza e a totale carico della Regione, in Italia vi si accede o con impegnativa e comunque compartecipando alla spesa (che varia dai 150 a 400 euro) oppure in regime di libera professione, con un costo che può arrivare fino a 1000 euro.
Farla al proprio Paese
“L’anno scorso – ha detto AODI - abbiamo calcolato che nella metà dei casi le persone sono dovute tornare nei loro Paesi di origine per permettersi questa operazione, visti i costi molto alti presso le strutture private, anche fino a 5000 euro”. Di quelli che invece hanno deciso di eseguirle qui in Italia, ha aggiunto, “circa il 35% si è rivolto a persone che non hanno nessuna competenza e autorizzazione, in clandestinità”. Con il rischio di danni permanenti, infezioni, dissanguamento. Molto spesso si tratta di neonati di pochi mesi. “Prima di praticare una circoncisione – ha spiegato il medico - è necessario fare degli esami, sapere se il bimbo è affetto da diabete o se ha problemi di coagulazione nel sangue, per evitare effetti indesiderati e potenziali epiloghi tragici”. Ora anche il Lazio è una di quelle Regioni dove è possibile praticare la circoncisione preventiva in sicurezza, anche se solo per gli adulti, dato che l’anestesia, che sarebbe necessaria, non viene applicata ai minori di quattro anni”, spiega.
“La circoncisione rituale è un intervento chirurgico su minori voluto dai genitori: per questo è difficile pensare di inserirla nei Lea - continua Simona La Placa - d’altronde nel nostro Paese c’è libertà di culto. E la circoncisione viene eseguita anche in casa e in assenza di sicurezza. In base al principio della priorità della tutela della salute dei minori sul resto, le famiglie che chiedono la circoncisione rituale per i loro bambini, dovrebbero poter accedere alle strutture sanitarie pubbliche in tutte le Regioni compartecipando alla spesa”.
L’educazione sanitaria
“Su questa pratica andrebbe pensato un percorso di educazione sanitaria e assistenziale articolato e condiviso che coinvolga pediatri, strutture pubbliche, comunità straniere per diffondere l’informazione sui rischi che comporta, se non effettuata in sicurezza”, riflette Francesca Ena, membro del direttivo del Gruppo di studio per il bambino migrante della SIP. “In assenza di precise indicazioni religiose, se le famiglie vengono informate precocemente potrebbero per esempio posticipare l’intervento a una età più avanzata del figlio, con meno rischi, e in qualche caso anche evitare la procedura”.
Merendine non solo per bimbi: consumate da 31 milioni di adulti
Rispetto a 10 anni, fa contengono il 30% in meno di zuccheri
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Il 66% dei genitori acquistano merendine e non solamente per lo spuntino dei propri figli. Ben 31 milioni, infatti, le mangiano in media 2 volte a settimana.
È quanto emerge da un’indagine Doxa, che rivela come le merendine siano ormai un alimento trasversale a tutto il nucleo familiare, grazie anche al miglioramento nutrizionale avvenuto negli ultimi anni. Le aziende dolciarie di Unione Italiana Food fanno sapere che rispetto a 10 anni fa contengono il 30% in meno di zuccheri, il 20% in meno dei grassi saturi e il 21% in meno di calorie e ancora etichette più chiare, piccole porzioni ed equilibrate. “Le merendine contengono tra le 110 e le 180 calorie”, afferma la nutrizionista Valeria del Balzo, secondo la quale, “se consumate 1-2 volte a settimana durante lo spuntino, possono a tutti gli effetti far parte di un piano di alimentazione sano all’insegna della varietà”. Secondo lo studio la merendina si colloca nella top five degli alimenti che i genitori danno ai loro figli, preceduta da frutta con il 51%, yogurt (42%), snack salati (28%) e panini (24%).
Un settore virtuoso quello dolciario, conclude l’Unione, che investe in innovazione di prodotto legata alle merendine, circa 20 milioni di euro, pari al 2% del fatturato.
Ogni anno negli scaffali entrano 30-40 nuovi prodotti, calcolando che per lanciarne uno ci vogliono da 1 a 5 anni, ma in alcuni casi si arriva anche a 10 anni.
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