Rivista di formazione e aggiornamento di pediatri e medici operanti sul territorio e in ospedale. Fondata nel 1982, in collaborazione con l'Associazione Culturale Pediatri.
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UOC di Pediatria, Ospedale “Treviglio-Caravaggio”, Treviglio, ASST Bergamo Ovest
Indirizzo per corrispondenza: valentina_aba@yahoo.it

Sommario
Sfiorata quota un milione, sospette cause ambientali
Ma 3 bambini su 10 non sono ancora protetti contro la malattia
Solo 1 su 10 fa attività fisica, appena il 30% fa colazione, preoccupa il binge drinking e in troppi abusano dei social media
Uno studio conferma una base ereditaria per il disturbo
AME: “Ecco perché è importante tenere sotto controllo il peso”
Esperienze positive associate a migliore salute mentale da grandi
Allarme degli ingegneri clinici: spesso superati i 10 anni di vita
Vuoi citare questo contributo?Celiachia in forte aumento, in 20 anni raddoppiati casi
Secondo gli esperti riuniti all’ottavo Convegno Annuale The Future of Celiac Disease dell’Associazione Italiana Celiachia (AIC), alla base dell’incremento della prevalenza ci sarebbero probabilmente cause ambientali, non ancora individuate, ma l’aumento dei casi richiama alla necessità di migliorare le diagnosi che tuttora arrivano in media oltre 6 anni dopo i primi sintomi.
Così, anche e soprattutto per scovare i ‘pazienti camaleonte’ con sintomi insoliti come afte ricorrenti in bocca, un’orticaria fastidiosa, l’anemia o le irregolarità mestruali, gli esperti propongono test del sangue mirati almeno su pazienti ricoverati in reparti come Ginecologia, Pediatria, Medicina Interna per individuare prima possibile i casi che resterebbero sotto silenzio perché si presentano con sintomi sfuggenti.
OMS: grandi progressi nella riduzione della rosolia
OMS all’attacco della rosolia. Per la prima volta, oltre la metà di tutti i bambini del mondo sono protetti contro il virus della rosolia debilitante, secondo un nuovo studio dell’Organizzazione mondiale della sanità e dei Centri statunitensi per il controllo e la prevenzione delle malattie (CDC). In tutto il mondo, oltre 80 Paesi hanno eliminato la malattia.
La rosolia contratta all’inizio della gravidanza può causare morte fetale o sindrome da rosolia congenita, che può portare a difetti del cervello, del cuore, degli occhi e delle orecchie. Disturbi della vista e dell’udito e difetti cardiaci. La sordità si verifica in circa i due terzi di tutti i nati con CRS. Il vaccino contro la rosolia è stato introdotto a livello nazionale in 168 Paesi entro la fine del 2018 e la copertura globale è stata stimata al 69%.
Questi progressi sono stati raggiunti attraverso l’ampliamento dell’accesso al vaccino contro la rosolia sicuro ed altamente efficace, soprattutto nei Paesi a basso reddito. Questo vaccino ha dimostrato di prevenire oltre il 95% delle infezioni da rosolia.
Per la maggior parte dei bambini e degli adulti, la rosolia - nota anche come morbillo tedesco - è un’infezione lieve, che causa poco più di una lieve febbre e un’eruzione cutanea. Tuttavia, comporta enormi rischi per la salute se una donna lo contrae durante la gravidanza. Il 90% delle donne che soffrono di rosolia all’inizio della gravidanza la trasmetterà ai loro bambini non ancora nati.
In molti Paesi, grazie alla vaccinazione, la rosolia e la CRS sono diventate malattie del passato. Come l’esempio del morbillo ci ricorda, tuttavia, le malattie prevenibili con il vaccino possono riaffiorare rapidamente ovunque nelle persone non vaccinate.
La rosolia può essere devastante. Prima dell’introduzione del vaccino, nel 1964 gli Stati Uniti hanno avuto un grave focolaio con 12,5 milioni di infezioni, causando più di 20.000 casi di CRS e oltre 11000 aborti spontanei e morti nati. Da allora la rosolia è stata eliminata dagli Stati Uniti, ma gravi focolai si ripresentano altrove, incluso, di recente, il Giappone nel 2018-19.
A livello globale, si stima che circa 100.000 bambini nascano con CRS ogni anno.
Per eliminare la rosolia, il vaccino contro la rosolia deve essere incluso nei programmi nazionali di immunizzazione. Spesso questo vaccino viene somministrato in combinazione con vaccini contro il morbillo e talvolta la parotite, il che significa che può essere facilmente e convenientemente introdotto nei programmi esistenti.
Nonostante i progressi significativi, 26 Paesi devono ancora introdurre il vaccino contro la rosolia, lasciando 3 bambini su 10 a livello globale senza accesso. Le maggiori lacune persistono in Africa, dove circa 6 Paesi su 10 devono ancora rendere il vaccino di routine disponibile per i bambini.
E anche nei Paesi in cui il vaccino è programmato, possono persistere significative lacune nell’accesso e nella diffusione, che potenzialmente lasciano un gran numero di persone ancora vulnerabili alle infezioni da virus della rosolia.
“Fermare la rosolia per sempre significa non solo introdurre il vaccino, ma anche costruire i forti sistemi di immunizzazione e di assistenza sanitaria che garantiranno che nessun bambino perda le vaccinazioni essenziali”, afferma il capo del programma di immunizzazione dell’OMS, Kate O’Brien. “Ci vorrà la leadership e l’impegno politico e della comunità per garantire che gli obiettivi di eliminazione siano stabiliti, raggiunti e sostenuti, in modo che la rosolia possa diventare una malattia del passato, in ogni parte del mondo”.
Nell’ultimo studio sull’eliminazione della rosolia dell’OMS/CDC, pubblicato nel Registro epidemiologico settimanale dell’OMS con dati per il 2016, è stato stimato che il 47% dei bambini era protetto contro la rosolia. Nel 2018, questa cifra era del 69%.
Dal 2000, con il sostegno di partenariati tra cui la Measles & Rubella Initiative (composta da OMS, UNICEF, CDC, Croce Rossa americana e Fondazione delle Nazioni Unite) e Gavi, la Vaccine Alliance, altri 69 Paesi hanno reso disponibile il vaccino contro la rosolia per i bambini in i loro programmi nazionali di immunizzazione - portando il totale a 168 dei 194 stati membri dell’OMS.
Per quanto riguarda l’Italia, il numero di casi non è paragonabile a quello dei casi di morbillo. Tuttavia l’ECDC evidenzia nell’ultimi suo dato che il nostro Paese in Europa, con 50 casi è al terzo posto per numero di casi dopo la Polonia e la Germania.
Adolescenti: la fotografia dell’Istituto Superiore di Sanità
Gli adolescenti italiani hanno un’alta percezione della loro qualità di vita, anche se le loro abitudini non sono poi così corrette. Dal 20 al 30% degli studenti tra 11 e 15 anni, infatti, non fa la prima colazione nei giorni di scuola, solo un terzo dei ragazzi consuma frutta e verdura almeno una volta al giorno e meno del 10% svolge almeno un’ora quotidiana di attività motoria, come raccomandato dall’OMS, mentre un quarto di loro supera le due ore al giorno (il massimo raccomandato) davanti a uno schermo. La fotografia a tutto tondo dei comportamenti degli adolescenti è stata scattata dalla rilevazione 2018 del Sistema di Sorveglianza HBSC Italia (Health Behaviour in School-aged Children - Comportamenti collegati alla salute dei ragazzi in età scolare), promosso dal Ministero della Salute/CCM (Centro per il Controllo e la prevenzione delle Malattie), coordinato dall’Istituto Superiore di Sanità insieme alle Università di Torino, Padova e Siena e svolto in collaborazione con il Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca, le Regioni e le Aziende Sanitarie Locali.
L’indagine, i cui risultati sono stati illustrati oggi nell’Aula Pocchiari dell’ISS, mostra oltretutto che aumentano i fenomeni estremi quali il binge drinking e la preferenza, soprattutto tra le ragazze, di trascorrere tempo online con gli amici piuttosto che incontrarsi. Di contro, l’Italia risulta essere tra i Paesi meno interessati dal fenomeno del bullismo. Gli studenti, oltretutto, si sentono supportati da amici e compagni di classe e hanno un buon rapporto con gli insegnanti.
Alimentazione e stato ponderale
Sulla base di quanto auto-dichiarato da 58.976 ragazzi i dati 2018 evidenziano che il 16,6% dei ragazzi 11-15 anni è in sovrappeso e il 3,2% obeso; l’eccesso ponderale diminuisce lievemente con l’età, è maggiore nei maschi e nelle Regioni del Sud. Rispetto alla precedente rilevazione effettuata nel 2014 tali valori sono tendenzialmente stabili.
Tra i comportamenti alimentari scorretti, l’HBSC ha evidenziato nel 2018 l’abitudine frequente a non consumare la colazione nei giorni di scuola, con prevalenze che vanno dal 20,7% a 11 anni, al 26,4% a 13 anni e al 30,6% a 15 anni; tale percentuale è maggiore nelle ragazze in tutte le fasce d’età considerate. Questa abitudine, rispetto al 2014, ha subìto un lieve peggioramento.
Solo un terzo dei ragazzi consuma frutta e verdura almeno una volta al giorno (lontano dalle raccomandazioni) con valori migliori nelle ragazze. Rispetto al 2014 aumenta il consumo, almeno una volta al giorno, di verdura ma diminuisce quello di frutta in tutte le fasce d’età e per entrambi i generi. Pane, pasta e riso sono gli alimenti più consumati in assoluto (1 ragazzo su 2).
Le bibite zuccherate/gassate sono consumate maggiormente dagli undicenni e dai maschi (le consumano almeno una volta al giorno: il 14,3% degli undicenni; il 13,7% dei tredicenni; il 12,6% dei quindicenni). Il trend è però in discesa, già dal 2014, per tutte le fasce d’età e senza differenza di genere.
Attività fisica e sedentarietà
L’OMS raccomanda almeno 60 minuti di attività motoria moderata-intensa tutti i giorni per i giovani (5-17 anni) includendo il gioco, lo sport, i trasporti, la ricreazione e l’educazione fisica praticate nel contesto delle attività familiari, di scuola e comunità. Nel 2018, la frequenza raccomandata di attività motoria moderata-intensa quotidiana è rispettata dal solo 9,5% dei ragazzi 11-15 anni, diminuisce con l’età (11 anni: 11,9%; 13 anni: 6,5%; 15 anni: 6,8%) ed è maggiore nei maschi; tale comportamento risulta in diminuzione rispetto al 2014.
Le linee guida internazionali raccomandano di non superare due ore al giorno in attività dedicate a guardare uno schermo (videogiochi/computer/internet). Dai dati 2018 si evince che circa un quarto dei ragazzi supera questo limite, con un andamento simile per entrambi i generi e valori in aumento dopo gli 11 anni. Rispetto al 2014 non si riscontra un cambiamento sostanziale.
Fumo, alcol, cannabis e gioco d’azzardo
La quota totale (11-15anni) dei non fumatori negli ultimi 30 giorni si mantiene stabile: 89% nel 2018 rispetto al 88% del 2014. Le 15enni italiane fumano di più rispetto ai coetanei maschi; infatti il 32% delle ragazze rispetto al 25% dei ragazzi ha fumato almeno un giorno nell’ultimo mese.
Il 16% dei 15enni italiani (e il 12% delle 15enni) ha fatto uso di cannabis nel corso degli ultimi 30 giorni.
Aumentano i fenomeni estremi legati al consumo di alcolici tra i giovani. Nel 2018, il 43% dei 15enni (38% nel 2014) e il 37% delle 15enni (30% nel 2014) ha fatto ricorso al binge drinking (assunzione di 5 o più bicchieri di bevande alcoliche, in un’unica occasione) negli ultimi 12 mesi.
Più di 4 studenti su 10 hanno avuto qualche esperienza di gioco d’azzardo nella vita, con i ragazzi 15enni che risultano esserne coinvolti maggiormente (62%) rispetto alle coetanee (23%). La quota di studenti a rischio di sviluppare una condotta problematica o che possono già essere definiti problematici (presentano almeno due sintomi del disturbo da gioco d’azzardo come per esempio aver rubato soldi per scommettere) è pari al 16%, con un +10% rispetto al 2014.
Il rapporto tra pari, il contesto scolastico, il bullismo e il cyberbullismo
L’HBSC indaga anche alcuni aspetti del contesto di vita familiare e scolastico, come ad esempio il rapporto con i genitori, con i compagni di classe, gli insegnanti, i pari, il bullismo e il cyberbullismo. Nel 2018 più del 70% dei ragazzi (11-15 anni) parla molto facilmente con i genitori; più dell’80% dichiara di avere amici con cui condividere gioie e dispiaceri e più del 70% di poter parlare con loro dei propri problemi. Infine, oltre il 60% dei ragazzi ritiene i propri compagni di classe gentili e disponibili. Un ragazzo su 2 dichiara che gli insegnanti sono interessati a loro come persone e il 62,4% dei ragazzi dichiara di avere fiducia negli insegnanti.
Il bullismo continua a vedere l’Italia tra i Paesi meno interessati dal fenomeno rispetto al complesso di quelli coinvolti nella rilevazione. Gli atti di bullismo subìti a scuola nel corso degli ultimi due mesi decrescono con l’età: coloro che dichiarano di essere stati vittima di bullismo almeno una volta negli ultimi 2 mesi sono il 16,9% degli undicenni (erano il 23% nel 2014), il 13,7% dei tredicenni e l’8,9% dei quindicenni. Rispetto al 2014 tale fenomeno è quindi complessivamente in riduzione. La percentuale di coloro che dichiarano di aver subìto azioni di cyberbullismo negli ultimi due mesi diminuisce con l’età (11 anni: 10,1%; 13 anni: 8,5% e 15 anni: 7%).
L’uso problematico dei social media
La diffusione e l’uso dei social media, soprattutto tra i più giovani, richiede un’attenzione particolare; per tale motivo nei questionari HBSC 2018 è stata introdotta un’intera sezione su questo fenomeno. I risultati mostrano che i giovani che fanno uso problematico dei social media sono l’11,8% delle ragazze e il 7,8% dei ragazzi. La preferenza per le interazioni sociali online rispetto agli incontri faccia a faccia è frequentemente considerato un comportamento che contribuisce al rischio di sviluppare un uso problematico dei social media. Infatti, soprattutto le ragazze di 13 anni (19%) dichiarano di essere d’accordo o molto d’accordo nel preferire le interazioni online per parlare dei propri sentimenti. La maggioranza delle ragazze (86,9%) e dei ragazzi (77%) ha dichiarato di avere contatti giornalmente o più volte al giorno con la cerchia di amici stretti che frequentano anche faccia a faccia.
Le abitudini sessuali
Il 21,8% dei 15enni (26,2% maschi vs 17,6% femmine) dichiara di aver avuto rapporti sessuali completi. Il tipo di contraccettivo prevalentemente utilizzato è il preservativo (70,9% dei maschi e il 66,3% delle femmine), seguito dal coito interrotto (37% maschi vs 54,5% femmine), dalla pillola (11,1% maschi vs 11,5% femmine) e poco meno del 6,5% riferisce l’uso di metodi naturali.
L’indagine
Il sistema di Sorveglianza HBSC raccoglie importanti informazioni sulla salute e gli stili di vita degli adolescenti di 11, 13 e 15 anni (studenti delle scuole primarie di II grado e scuole secondarie). L’età pre-adolescenziale e adolescenziale rappresenta una fase cruciale per lo sviluppo dell’individuo e la comprensione dei determinanti dei comportamenti a rischio, frequenti in questa fascia d’età, può contribuire alla definizione di politiche e interventi in grado di promuovere l’elaborazione di valori positivi e che facilitino l’adozione di stili di vita salutari.
Nella rilevazione 2018, i ragazzi di 11, 13 e 15 anni che hanno risposto al questionario sono stati 58.976 distribuiti in tutte le Regioni italiane (con un tasso di rispondenza complessivo pari al 97,1%); le classi campionate sono state 4.183, distribuite anch’esse in tutte le Regioni d’Italia (con un’adesione pari all’86,3%). L’elevata partecipazione, sia dei ragazzi che delle classi, è indicativa di un buon livello di sinergia tra il settore scolastico e il settore sanitario, nonché di una sensibilità particolare delle famiglie dei ragazzi verso i temi affrontati.
ADHD: ecco le nuove linee guida
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L’American Academy of Pediatrics (AAP) ha aggiornato le linee guida per la pratica clinica sulla valutazione, diagnosi e trattamento del disturbo da deficit di attenzione/iperattività (ADHD) nei bambini dai 4 ai 18 anni. Il precedente aggiornamento risaliva al 2011.
I dati del sondaggio nazionale del 2016 indicano che il 9,4% dei bambini negli Stati Uniti dai 2 ai 17 anni ha ricevuto diagnosi di ADHD; quasi due terzi all’epoca stavano assumendo farmaci per l’ADHD e circa la metà aveva ricevuto un trattamento comportamentale. Eppure, quasi un quarto non aveva ricevuto alcun trattamento.
“Dal 2011 sono state condotte molte ricerche ed è stata rilasciata la quinta edizione del Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM-5). La nuova ricerca e il DSM-5 non supportano, tuttavia, i drastici cambiamenti delle precedenti raccomandazioni”, riportano le linee guida dell’AAP.
Pertanto, le linee guida riviste riportano solo aggiornamenti “incrementali” a quelle precedenti. Uno di questi è l’importanza di diagnosticare e trattare le condizioni di comorbidità in bambini e adolescenti con ADHD. Queste includono condizioni emotive o comportamentali (ansia, depressione, disturbo oppositivo provocatorio, disturbi della condotta, uso di sostanze), condizioni di sviluppo (disturbi dell’apprendimento e del linguaggio, disturbi dello spettro autistico) e condizioni fisiche (come tic e apnea notturna).
“Le prove sono chiare per quanto riguarda la legittimità della diagnosi di ADHD, i criteri diagnostici appropriati e le procedure necessarie per stabilire una diagnosi, identificare le condizioni di comorbilità e trattare efficacemente con interventi sia psicosociali che farmacologici. I passaggi necessari per sostenere trattamenti adeguati e raggiungere i risultati positivi a lungo termine restano comunque difficili”.
Le procedure raccomandate richiedono ai medici di “trascorrere più tempo con i pazienti e le loro famiglie, sviluppare un sistema di gestione delle cure dei contatti con la scuola e altre parti interessate della comunità e fornire assistenza continua e coordinata al paziente e alla sua famiglia”.
L’AAP, insieme alle linee guida aggiornate, ha pubblicato altri due documenti. Uno riguarda un processo di algoritmo di cura per la diagnosi e il trattamento di bambini e adolescenti con ADHD e l’altro è un articolo sugli ostacoli sistemici alla cura di bambini e adolescenti con questo disturbo.
“Questi documenti supplementari sono progettati per aiutare i medici di assistenza primaria nell’attuazione delle raccomandazioni formali per la valutazione, la diagnosi e il trattamento di bambini e adolescenti con ADHD”.
Iperattività, scoperti 9 geni legati a un maggior rischio
Precedenti studi hanno suggerito che il disturbo è ereditabile, ed è anche associato alla probabilità di fare propri comportamenti rischiosi.
Diretti da Guy Rouleau, gli esperti hanno coinvolto 19.099 individui col disturbo e 34.194 soggetti di controllo sani.
Confrontando il genoma, nonché anche l’attività dei geni (in termini di sequenze genetiche ‘trascritte’ nelle cellule per produrre le proteine corrispondenti), gli esperti hanno isolato nove geni associati a maggior rischio di avere il disturbo.
I ricercatori hanno anche evidenziato che avere l’ADHD si associa per esempio a minore successo nello studio, nonché con l’avere avuto la mamma fumatrice alla nascita e l’essere sovrappeso. Nel complesso lo studio fornisce ulteriori conoscenze sul ruolo della genetica nell’ADHD e su potenziali bersagli di nuove terapie.
Sindrome dell’ovaio policistico: bambine a rischio
In Italia ne soffre una fetta di popolazione femminile in età fertile che oscilla, a seconda delle etnie, da un 5 a un 20% della popolazione generale. Nel caso di pazienti che presentano sovrappeso o franca obesità si può superare anche il 50%. Parliamo della sindrome dell’ovaio policistico (PCOS), considerata l’alterazione endocrina più comune in età fertile, e settembre è stato il mese a essa dedicato. Si tratta di una complessa alterazione funzionale del sistema riproduttivo causata dall’aumento degli ormoni maschili e può causare alopecia androgenetica, irsutismo e disturbi mestruali.
La PCOS causa dunque importanti effetti sulla salute della donna di tipo estetico, metabolico e riproduttivo. È caratterizzata dall’ingrossamento delle ovaie, dalla presenza di cisti ovariche multiple e da alterazioni endocrinologiche e metaboliche (iperandrogenismo, resistenza all’insulina e conseguente iperinsulinemia).
“Data l’eterogeneità delle manifestazioni cliniche e le molteplici comorbilità spesso già presenti al momento della diagnosi di PCOS, è fondamentale sensibilizzare i medici che potrebbero più facilmente venire a contatto con tali pazienti. I pediatri per primi possono individuare le bambine a maggior rischio di sviluppo di PCOS (per esempio per basso peso alla nascita, pubarca anticipato o prematuro, ipertricosi pre-puberale, obesità infantile) e possono promuovere un adeguato stile di vita, con particolare attenzione alla dieta, all’attività fisica aerobica e al mantenimento di un normale peso corporeo. Altrettanto importanti sono medici di base, ginecologi, dermatologi e gli stessi endocrinologi, che devono essere in grado di diagnosticare correttamente la sindrome, escludendo altre patologie interferenti, più rare ma a volte anche più gravi, e intervenire adeguatamente, tenendo conto sia delle richieste della paziente sia del trattamento degli altri aspetti che potrebbero influire sul rischio globale a medio e lungo termine”.
Avere ascolto e supporto da piccoli è un antidoto alla depressione da adulti
Complessivamente, gli adulti che hanno riportato da sei a sette di queste esperienze positive durante l’infanzia hanno avuto il 72% in meno di probabilità di soffrire di depressione rispetto agli adulti che ne hanno riportate una o due.
Le esperienze positive, sottolineano i ricercatori guidati da Christina Bethell, generano la produzione di ormoni positivi, influenzando lo sviluppo del cervello e condizionando anche la capacità di diventare aperti verso gli altri. Insomma, se è vero che non sempre i genitori possono essere in grado di prevenire esperienze infantili sfavorevoli, possono comunque aiutare i figli a diventare ‘resistenti’, semplicemente parlando dei loro sentimenti, aiutandoli nei momenti difficili e mostrando interesse per la loro vita quotidiana.
Negli ospedali italiani le tecnologie sono obsolete, serve un miliardo l’anno
“Diversi report ormai segnalano un’obsolescenza preoccupante dei dispositivi negli ospedali - spiega Bergamasco -. C’è esigenza di investire ma non a ‘pioggia’, ci possono essere dispositivi vecchi ma che ancora funzionano, o ospedali con troppi macchinari magari moderni che andrebbero forse redistribuiti. Volendo dare una cifra si può dire che l’intero parco tecnologico in Italia vale circa dieci miliardi di euro, e considerando che la vita di un dispositivo è di circa dieci anni serve un miliardo l’anno per evitare che invecchino”.
“La figura dell’ingegnere clinico ha fatto passi da gigante dal punto di vista dell’accreditamento istituzionale e della consapevolezza - ha aggiunto - tuttavia c’è tanta strada da fare, manca un riconoscimento formale che preveda l’obbligatorietà di questa figura negli ospedali. Stiamo lavorando molto anche per creare delle organizzazioni credibili, perché i compiti legati alla gestione delle tecnologie stanno diventando veramente tanti, servono organizzazioni complesse per garantire la sicurezza del paziente”.