Rivista di formazione e aggiornamento di pediatri e medici operanti sul territorio e in ospedale. Fondata nel 1982, in collaborazione con l'Associazione Culturale Pediatri.
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Clinica
Pediatrica, IRCCS Materno-Infantile “Burlo Garofolo”, Trieste
Indirizzo
per corrispondenza: valentina_aba@yahoo.it
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![]() Potenziamento delle unità di terapia intensiva neonatale. Anche quando sono sufficienti come numero programmato in rapporto ai tassi di natalità regionali, non sempre le UTIN lo sono in termini di posti letto effettivamente disponibili. Ciò dipende da carenze di personale medico e/o infermieristico o da insufficienza di spazi o di attrezzature dedicate e aggiornate sul piano tecnologico. Il gap si avverte soprattutto nelle aree metropolitane in cui si concentrano gravidanze ad alto rischio provenienti da altre province o da territori sprovvisti di terapia intensiva neonatale. È inoltre necessario procedere ad una verifica periodica dei livelli assistenziali reali e degli standard organizzativi in tutti i centri nascita. Attivazione dello STEN (servizio di trasporto per l’emergenza neonatale) in tutte le regioni. Malgrado l’esistenza di decreti regionali e nazionali che definiscono la necessità e i criteri di realizzazione del servizio per l’emergenza neonatale (STEN), aree vaste anche metropolitane come quella di Catania ne sono ancora oggi sprovviste. “Ne consegue – spiega il Presidente della SIP Giovanni Corsello – che ogni neonato con una patologia respiratoria nato in un centro senza terapia intensiva neonatale può non ricevere una assistenza adeguata in tempo utile per evitare il rischio di morire o di avere danni neurologici con esiti invalidanti. In Sicilia si discute da più di venti anni dello STEN su base regionale, ma pur in presenza di due decreti (l’ultimo del 2012), lo STEN ancora oggi è attivo solo nelle province di Palermo e Messina”. “I modelli che hanno mostrato buona prova di funzionamento sono quelli (come ad esempio Lazio e Toscana) in cui esiste una centrale di riferimento dedicata alla gestione delle emergenze neonatali”, spiega il Presidente della SIN Costantino Romagnoli. “Grazie a questo sistema i medici dell’emergenza sono in grado di sapere in tempo reale quanti posti sono disponibili in terapia intensiva e subintensiva. Se in Sicilia ci fosse un centro di coordinamento dedicato al trasporto neonatale la piccola Nicole probabilmente sarebbe stata mandata a Messina e non a Ragusa”. Non meno importante il modo in cui si trasportano i neonati ad alto rischio. Servono ambulanze tecnologicamente attrezzate ed equipe mediche in grado gestire le emergenze con una formazione specifica nella stabilizzazione e nel trasporto del neonato gravemente patologico. In Italia il trasporto dei neonati ad alto rischio è “a macchia di leopardo”: in alcune regioni è centralizzato, in altre lasciato in capo al singolo ospedale. ![]()
Nel periodo 2005-2014 sono state segnalate 76 infezioni di rosolia congenita (probabili e confermate), con un picco nel 2008 e uno nel 2012, e 161 infezioni rubeoliche in gravidanza (possibili, probabili e confermate). Nello stesso periodo, tra le donne infette, sono state registrate 31 interruzioni volontarie di gravidanza, 1 nato morto e 1 aborto spontaneo. Questi i dati principali che emergono dal secondo numero di “Rosolia congenita & in gravidanza News”, bollettino semestrale della sorveglianza nazionale della rosolia congenita e della rosolia in gravidanza. Il documento, a cura del reparto di Epidemiologia delle malattie infettive (Cnesps-Iss) e disponibile da marzo 2015 anche nella versione inglese, sottolinea l’importanza di rafforzare la sorveglianza delle donne con sospetta rosolia in gravidanza e di monitorare l’esito della gravidanza. È necessario, inoltre, migliorare la raccolta delle informazioni sui casi in termini di tempestività e completezza. Per maggiori informazioni consulta il documento completo in italiano (pdf 1,1 Mb) e in inglese (pdf 983 kb) e visita la pagina dedicata a “Rosolia congenita e in gravidanza News”.
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Istituto Superiore di Sanità, 3/3/2015
di Walter Ricciardi La Corte d’Appello di Bologna ha stabilito che non è stata la vaccinazione a causare la malattia autistica di cui un bambino si è ammalato. C’è voluta una sentenza dello Stato italiano per ribadire un dato acquisito da tempo nella comunità scientifica e cioè che non c’è correlazione tra vaccinazione e autismo. L’Istituto Superiore di Sanità si era espresso già nel merito sottolineando come non ci fosse nessuna evidenza in grado di stabilire un nesso di causalità tra la vaccinazione e la malattia autistica. L’ultima e più recente ricerca pubblicata sul Journal of Pediatrics nel marzo del 2013 andava in questa direzione, così come i dati forniti dai CDC di Atlanta e da tutti le ricerche finora effettuate. Eppure c’è stato bisogno di un processo, con più di un grado di giudizio. Ciò che preoccupa non è tanto la vicenda in sé, ma sue le ricadute in termini di salute pubblica. Nella storia della medicina poche cose hanno mutato le condizioni socio-sanitarie e la qualità della vita delle persone come è accaduto con gli antibiotici e le vaccinazioni. Queste ultime, in particolare, segnano ancora la differenza di equità nell’accesso alla salute tra il Sud e il Nord del mondo e la copertura vaccinale rimane un indicatore importante per identificare un Paese dove la sanità pubblica è degna di questo nome. Ritrovarsi oggi a ribadire questi concetti e a difendere una cultura della vaccinazione e della prevenzione implica responsabilità complesse da parte di tutti. L’effetto mediatico di queste vicende ha fatto registrare nel nostro Paese una tendenza alla riduzione della copertura vaccinale che ha già danneggiato centinaia di persone, soprattutto bambini e anziani, cioè i soggetti più vulnerabili. Ci auguriamo che questa sentenza sia un volano per una buona informazione che contribuisca a supportare le evidenze scientifiche e, soprattutto, che non vengano più usate vicende dolorose per mettere a rischio risultati consolidati in tanti decenni di campagne di prevenzione per tutelare la salute di tutti. Dalle noci ai semi possono essere aspirati e finire nei bronchi
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Noci semi, ma anche fagioli e piselli, sono alimenti che spesso non vengono percepiti dai piccoli come pericolosi ma causano un gran numero di incidenti nei bambini: circa l'86% per cento dei casi di incidenti di bambini sono causati dall'inalazione di un alimento come corpo estraneo e spesso in presenza di un adulto circa. Un dato significativo, censito dal registro Susy Safe a cura di Dario Gregori, docente all'Università di Padova del Dipartimento di Scienze Cardiologiche, Toraciche e Vascolari e medico coinvolto nella formazione a distanza di Trenta Ore per la Vita sulle manovre di disostruzione pediatriche. Il registro rivela come la supervisione degli adulti sui bambini non sia sempre attiva, ovvero la maggior parte di loro (genitori, educatori, babysitter) non conosce i rischi presentati da determinati alimenti. L'Associazione Trenta Ore per la Vita Onlus, grazie al registro Susy Safe mette in guardia i genitori e tutti coloro che lavorano con i bambini con un vasto database contenente oltre 20.000 casi dati relativi agli incidenti da corpo estraneo provenienti da tutto il mondo. "Spesso si pensa che la maggior parte degli incidenti sia causata dai giocattoli, in realtà i corpi estranei più frequenti sono proprio gli alimenti o parti di essi. Ad esempio, i frammenti di noci possono essere aspirati e finire nei bronchi con estrema facilità, causando patologie come la polmonite da aspirazione. I fagioli e i piselli spesso vengono utilizzati per attività ludiche". Per questo l'Associazione Trenta Ore per la Vita Onlus ha realizzato un corso online sulle manovre di disostruzione in età pediatrica pensato per i genitori, i nonni e tutti gli operatori dell'infanzia. Inoltre, l'Associazione Trenta Ore per la Vita Onlus ha dedicato questa iniziativa ai bambini malati di tumore. Infatti, il 45 per cento del ricavato dalla vendita del corso online andrà a sostenere il "Progetto Home" che assicura una casa lontano da casa ai genitori non abbienti costretti ad emigrare per seguire le lunghe cure a cui sono sottoposti i loro figli.
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Ecco quella che si può definire una bella notizia: anche l’Italia ha stanziato, grazie al Ministero della Salute, un fondo che permetterà a quindicimila persone di ricevere gratuitamente i farmaci contro l’Epatite C. Già ad ottobre era giunta notizia della commercializzazione del Sofosbuvir, un farmaco capace di guarire quasi tutti i malati di questa patologia. A breve si aggiungerà il Simeprevir in attesa poi che vengano approvati altri sostituiti con la stessa efficacia. Il farmaco, presto disponibile per tutti, non contiene interferone e sarà assunto oralmente. Nel 90% del casi trattati è riuscito, dopo una somministrazione abbastanza lunga, a debellare dall’organismo il virus responsabile dell’epatite C. Così ha giustamente commentato Beatrice Lorenzin, Ministro della Salute: “Siamo a una svolta epocale. È come passare dalla radio a internet“; Ha aggiunto Francesco Mennini dell’Università Tor Vregata di Roma: “l’introduzione di nuovi farmaci che permettono la guarigione dalla patologia può diventare un elemento importante anche dal punto di vista economico”; l’epatite C, una malattia che al momento in Italia colpisce più di 300 mila soggetti, comporta una serie di patologie legate ad altri organi il che si traduce in un costo per il Sistema Sanitario nazionale che era diventato davvero pesante. L’introduzione gratuita dei nuovi farmaci permetterà una migliore distribuzione delle risorse comuni.L’epatite C è una delle malattie più trasmissibili al mondo; sono circa 180 milioni le persone colpite. Il virus dell’epatite C si diffonde attraverso il sangue infetto, molto comune la trasmissione da parte di madre al feto, raro il contagio attraverso il contatto sessuale. Il virus colpisce il fegato nella sua parte più profonda causando cirrosi, tumori del fegato e, in molti casi, morte. La maggior parte della popolazione tuttavia sviluppa una infezione cronica.Uno studio, condotto dall’Università di Oxford, ha preso in esame volontari a cui è stato somministrato un vaccino, ancora in fase sperimentale, che dovrebbe forzare il sistema immunitario a rispondere al virus. Gli scienziati hanno inizialmente testato il vaccino su scimpanzè a cui era stato inoculato il virus dell’epatite C. Così si è espresso il Professore Ellie Barnes del Dipartimento Nuffield di Medicina all’Università di Oxford: “Le dimensioni e l’ampiezza delle risposte immunitarie viste nei volontari sani sono senza precedenti per un vaccino contro l’epatite C“. Le cellule idonee ad eradicare il virus sono le T che, adoperando questo vaccino, hanno migliorato la risposta. Al momento, il vaccino viene testato negli Stati Uniti tra i tossicodipendenti per via endovenosa. Un passo successivo sarebbe quello di valutare la risposta delle cellule T specifiche necessarie per evitare l’infezione da virus dell’epatite C. La ricerca prosegue ma l’impressione è che forse si è, per la prima volta, sulla strada giusta.
In chirurgia pediatrica e come farmaco innovativo anti suicidi
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La Ketamina è un farmaco "difficile da utilizzare ma essenziale": ad affermarlo e' il direttore dell'Aifa, Luca Pani, che commenta la richiesta della Cina di inserire il farmaco anestetico nella Tabella I della Convenzione Onu di Vienna del 1971, ovvero tra le sostanze che, considerato il loro potenziale, comportano un grave rischio per la salute pubblica. In questo modo il farmaco verrebbe però escluso da quelli che si possono usare per uso medico.
L'Italia ha deciso di allinearsi con la Cina nel richiedere che la ketamina venga inclusa nella prima tabella. Solo ieri però la senatrice Nerina Dirindin, capogruppo in commissione Sanità, ha rivolto un'interrogazione ai ministri per gli Affari esteri e Cooperazione internazionale e della Salute, sottoscritta dai colleghi di commissione Maturani, Bianco e Mattesini e presentata anche alla Camera da Pia Locatelli, della Commissione Affari Esteri e Comunitari, per dire no a questa ipotesi. Se venisse accolta la richiesta potrebbe comprometterne l'uso per l'attività chirurgica molto diffuso nei Paesi occidentali e nei Paesi in guerra. La proposta cinese dovrà adesso esser affrontata dalla plenaria della 58esima sessione della Commissione Droghe delle Nazioni unite che si terrà a Vienna dal 9 al 17 marzo prossimi. "La ketamina è una molecola essenziale come anestetico ad esempio in pediatria - spiega Pani - ed è in corso uno studio per trasformarla in farmaco innovativo contro i suicidi. La Ketamina agisce anche come un anestetico dissociativo che permette di restare svegli". L'Organizzazione Mondiale della Sanità per altro la ritiene una medicina essenziale e negli anni vari paesi hanno chiesto una valutazione della pericolosità della ketamina e l'OMS ha sempre confermato che i rischi di un uso diverso da quello medico non superano i benefici che la ketamina produce per miliardi di persone che vivono nei paesi poveri.
Sono il doppio più frequenti se a casa c'è lavastoviglie
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Se a casa mamma e papà lavano i piatti a mano invece che affidarsi alla comoda e più efficace lavastoviglie che 'sterilizza' tutto, a guadagnarci potrebbe essere la salute dei più piccoli: infatti lavare a mano le stoviglie potrebbe dimezzare il rischio di sviluppare un'allergia tra i bambini, probabilmente proprio perché questa tipologia di lavaggio è meno precisa e lascia tracce di 'sporco' fortificando le difese immunitarie dei più piccini. Lo rivela uno studio svedese appena pubblicato sulla rivista Pediatrics. La ricerca è stata coordinata da Bill Hesselmar dell'Università di Göteborg. Hesselmar ha coinvolto circa 1000 bambini ed ha indagato la presenza di malattie allergiche (asma, febbre da fieno, eczema etc) in relazione a una serie di comportamenti dei genitori, per verificare la cosiddetta ''teoria dell'igiene'', e cioè che esporre i bambini a eccessive misure igieniche può aumentarne il rischio di malattie tra cui allergie appunto. Gli esperti hanno quindi raccolto molte informazioni sulle abitudini dei genitori del loro campione (tipo di cibi proposti ai figli, per esempio cibi fermentati come lo yogurt), luoghi preferenziali di acquisto degli alimenti (prodotti di filiera o prodotti di fattora, piccola distribuzione locale), abitudini domestiche quali l'uso della lavastoviglie o invece l'abitudine a lavare i piatti a mano, un sistema di certo meno efficiente sul fronte igienico.Ebbene è emerso che la frequenza di allergie pediatriche è dimezzata tra i bambini i cui genitori non adoperano la lavastoviglie e lavano sempre i piatti a mano. Questo studio non indica una relazione causa-effetto tra lavastoviglie e rischio di allergie, ma suggerisce una possibile relazione - da indagare con ulteriori studi - tra la perfezione della pulizia offerta dall'elettrodomestico (e quindi l'eliminazione totale dei germi) e comparsa di malattie allergiche. Vademecum Ministero Salute, sbagliato essere iperprotettivi
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No a 'bambini blindati' e 'atteggiamenti iperprotettivi', ma bastano poche semplici regole per aumentare la sicurezza dei bambini in casa. A stilarle, e a produrre un vademecum dedicato ai genitori, è stato il ministero della Salute, che l'ha pubblicato in forma di opuscolo sul proprio sito. Il documento affronta i rischi per ogni singola età del bambino, da tre mesi a 5-6 anni, dando allo stesso tempo i suggerimenti per invitare incidenti. Per i più piccoli ad esempio il consiglio è ''Prima di iniziare qualsiasi operazione complessa, come il cambio del pannolino, è necessario avere tutto a disposizione; non rispondere ai campanelli (di casa, del telefono, del cellulare ecc.) fino ad impresa ultimata''. Tra i 9 e 12 mesi, invece, il vademecum ricorda che il bimbo ''tocca tutto, esplora con la bocca tutto quello che gli passa a tiro, inizia a camminare'', e quindi i genitori dovranno evitare di regalare macchinine, bambole di plastica o perline. ''Probabilmente sono molto buone - si legge - considerato che facilmente i pezzi (bottoni, piccole parti in plastica e stoffa) finiscono in trachea. Lasciamo queste cosucce in negozio''
Non dipende solo dalle misure dei genitori
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Non è sufficiente che mamma e papà siano alti per crescere molto più della media: per raggiungere un'altezza degna di nota è cruciale il primo anno di vita del bambino. Ovvero, secondo uno studio pubblicato sul Journal of Pediatrics da esperti dell'università di Tel Aviv, la statura di ciascuno dipende molto dall'ambiente in cui si vive durante lo sviluppo uterino e nel primo anno di vita, dallo stato nutrizionale di mamma e bebè, dall'intorno sociale e familiare, da eventi economici ed emozionali che investono la famiglia in quel periodo. Gli esperti hanno studiato l'altezza di coppie di gemelli identici (che hanno identico Dna) e di gemelli 'diversi' (eterozigoti che condividono solo metà del Dna) per valutare il peso dei geni e dell'ambiente sulla statura. Hanno poi indagato le condizioni di vita del bambino nel primo anno di vita e durante lo sviluppo uterino, raccogliendo informazioni sullo stato nutrizionale materno in gravidanza e su quello del bambino nel primo anno di vita, ma anche altre informazioni relativamente alla famiglia del piccolo. Ebbene, è emerso che per diventare alti non conta solamente avere genitori alti, e cioè non è importante solo la genetica e la 'fortuna' di ereditare i ''geni dell'altezza''. Ma conta tanto (almeno per il 50%) l'ambiente in cui il bambino cresce nel primo anno di vita e il suo stato nutrizionale in questo periodo. Ad esempio se il piccolo è cresciuto in un ambiente sano e con uno stato nutrizionale di buona qualità diventerà più alto di uno cresciuto in un ambiente meno sano nel primo anno di vita, indipendentemente da quanto sono alti i genitori (ANSA). ![]()
Che la vita sedentaria facesse male alla salute dei bambini non ci stupisce più di tanto. Ma quantificare con precisione il tempo sottratto all'attività fisica o ad altri interessi, indicando le conseguenze negative cui essi vanno incontro, è la novità di un recente studio brasiliano, condotto presso l'Università di San Paolo. La ricerca offre una cifra esatta, di cui le mamme farebbero bene a tener conto: i bambini che trascorrono più di due ore davanti al televisore, o allo schermo di un computer, rischiano di soffrire di pressione alta. Ma i numeri presentati da questo studio non finiscono qui: il range di età preso in considerazione va dai 2 ai 10 anni e la percentuale di rischio si attesta intorno al 30 per cento. La mancanza totale di attività fisica porta il dato fino al 50 per cento. I risultati, pubblicati sull'International Journal of Cardiology, sono il frutto di due anni di ricerche su 5220 bambini di otto diversi paesi europei. A guidare i ricercatori, il dottor Augusto Cesar De Moraes, che commenta: «Lo studio mostra il numero di nuovi casi di alta pressione arteriosa e il legame tra attività fisica e vari tipi di comportamenti sedentari con il rischio di ipertensione tra i bambini europei». Nel periodo preso in esame, si è visto che in 110 bambini su 1000 si registrava una elevata pressione sanguigna. Ma l'ipertensione nei minori non è misurabile con la stessa esattezza che si riscontra negli adulti. La pressione arteriosa di un bambino è considerata alta se supera il 95 per cento di quella registrata in altri soggetti di uguali età, peso e sesso. I ricercatori concludono preoccupati: "Queste cifre sono allarmanti, considerando che comportamenti sedentari sono molto comuni tra i bambini di oggi e rischiano di consolidarsi con l'avanzare dell'età". |
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