Rivista di formazione e aggiornamento di pediatri e medici operanti sul territorio e in ospedale. Fondata nel 1982, in collaborazione con l'Associazione Culturale Pediatri.

Marzo 2010 - Volume XIII - numero 3

M&B Pagine Elettroniche

Casi indimenticabili

Quello che davvero conta
Martina Fornaro1, Michele Gangemi2, Carlotta Danchielli1, Enrico Valletta1
1Clinica Pediatrica, Università di Verona
2Pediatra di famiglia, ULSS 20 del Veneto

Tutto inizia come una consulenza “virtuale”, nel senso che il bambino non c’è ancora, dovrebbe arrivare da lontano, dalla Siberia. L’amico pediatra ci parla di una coppia di genitori che ha avviato la pratica di adozione di un bambino di due anni e che, di fronte alla documentazione clinica fornita dall’orfanotrofio ha avuto un momento di sconcerto, quasi una battuta d’arresto. Il bambino sembra avere un idrocefalo, rilevanti problemi neurologici e di sviluppo psicomotorio, ma soprattutto è stato sottoposto dopo pochi mesi di vita a più di un intervento di chirurgia addominale per una cisti pancreatica che si è complicata in pancreatite e peritonite con, in più, un’infezione peritoneale da toxoplasma. Hanno asportato anche la colecisti, c’è stata “infezione” al fegato e ai reni. Cosa sia stato demolito e come, eventualmente, ricostruito, non è dato di sapere. Le carte parlano di maldigestione, malnutrizione, dieta controllatissima e ristretta, prospettano problemi seri e di dubbia soluzione. I potenziali genitori cercano un po’ di chiarezza e di rassicurazione. Si sentono incerti se continuare il loro viaggio verso la Siberia.

Al primo incontro conosciamo una coppia “tecnica”, composta dal marito e dalla cognata che, lavorando in ambito medico, si è assunta il difficile compito di accompagnare razionalmente i genitori in questo momento di grande coinvolgimento emotivo. La mamma non è presente, la conosceremo dopo qualche giorno, ma è la sua assenza a parlare per lei. La storia ha già dall’inizio tutti gli elementi che determineranno poi il finale. Marito e moglie sono già genitori felici di un bambino russo di 10 anni adottato alcuni anni prima, e hanno già sperimentato l’ansia che precede l’adozione, l’ambiguità dei “documenti ufficiali” e conoscono già il percorso di difficoltà quotidiane e quotidiana costruzione necessari per accogliere il nuovo componente della loro famiglia e diventarne davvero i genitori. Hanno già conosciuto il “nuovo” bambino e lui loro, gli hanno regalato piccole cose che lui ha accolto con l’entusiasmo di chi non ha mai avuto nulla. Si sono rivisti e riconosciuti. Ormai è il loro bambino. Un po’ ingenuamente chiediamo quale sia il sentimento della “mamma” in questo momento, il marito ci risponde semplicemente “non ha dubbi”, ed è tutto.

Ci chiedono di aiutarli a disperdere quell’ombra che le cartelle cliniche hanno fatto scendere, inaspettatamente anche per loro, su una motivazione che avvertono ancora fortissima e senza ritorno. Hanno portato un breve filmino dalla Siberia che il collega Neuropsichiatra ha giudicato rassicurante. Resta, pesante e indefinita, la storia chirurgica e concordiamo di richiedere all’orfanotrofio ulteriori dettagli clinici e accertamenti che puntualmente ci vengono forniti. Troppo puntualmente. La sensazione è che i dati che otteniamo siano incongruenti e quasi certamente non veritieri. A domanda seguirebbe invariabilmente una risposta, ma quale risposta? Siamo costretti ad ammettere che questa non è la strada giusta e che non riusciamo a essere di alcun aiuto, anzi. La decisione deve essere presa attraverso altri percorsi dei quali non possiamo che essere spettatori, tutt’al più prudenti accompagnatori. Lo diciamo ai genitori e abbiamo la sensazione che l’avessero saputo da sempre. Ivan, questo è già il suo nome, verrà in Italia perché così, dentro di loro, avevano deciso fino dal primo momento. E poi ci faremo carico dei suoi problemi.

Il ricovero in Clinica è rapido, ci sono molte domande angosciose a cui dare risposta. Ad alcune Ivan risponde da solo. È un bellissimo bambino, sveglio, molto curioso e con una buffa propensione per le figure maschili. Sembra correre incontro alla mamma che lo aspetta a braccia aperte, ma in realtà l’aggira invariabilmente con una rapida finta per gettarsi sul papà. Accetta di buon grado il pediatra, maschio, ma della mamma non se ne parla. Come fosse trasparente. Sorridendo, la signora ci spiega che ha impiegato anni prima di riuscire a farsi accettare dal primo figlio adottivo: misteri della vita in orfanotrofio… Intanto gli accertamenti proseguono e non privi di sorprese. Ivan ha uno sviluppo neuromotorio del tutto adeguato, non vi è traccia di idrocefalo né di encefalopatia, è nella media per peso, altezza e circonferenza cranica. È vero che ha l’addome solcato da numerose cicatrici, ma il pancreas appare indenne al suo posto come se nulla fosse successo e pure funzionante, così come le vie biliari e i reni; gli è addirittura ricresciuta la colecisti e non vi è alcuna traccia di infezione da toxoplasma. Ha un appetito che definiremmo “riparatore” e tutto in lui sembra essere in ottima forma. Accettiamo l’ernia inguinale e l’infezione da Helicobacter con un sorriso di sufficienza. A distanza di mesi, Ivan ci conferma le grandi risorse di cui sembrava dotato. E tutti noi ci sentiamo forse un po’ in imbarazzo perché, per un breve momento, avevamo dubitato di lui…

Non è la prima volta che incrociamo le vite di genitori adottivi o affidatari e dei loro bambini, ma è la prima volta che, in qualche misura, siamo stati chiamati a partecipare al momento decisionale più critico. E, soprattutto, nel ruolo quanto mai insidioso di esaminatori della “sostenibilità organica” di un bambino adottivo che neppure conoscevamo. Siamo riusciti a fermarci in tempo e i genitori sono stati in grado di riappropriarsi della motivazione autentica del loro agire. Che è poi quello che realmente conta.

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M. Fornaro, M. Gangemi, C. Danchielli, E. Valletta. Quello che davvero conta. Medico e Bambino pagine elettroniche 2010;13(3) https://www.medicoebambino.com/?id=IND1003_50.html