Gennaio 2002 - Volume V - numero 1

M&B Pagine Elettroniche

Editoriali sui contributi originali

EDITORIALE
di Irene Berti
Clinica Pediatrica, IRCCS Burlo Garofolo, Trieste


Il contributo di Ferrara e collaboratori ripropone il ruolo prioritario del pediatra di libera scelta nell'identificazione dei soggetti affetti da malattia celiachia.
Come già rilevato negli studi dei colleghi di Vicenza e Milano precedentementi apparsi su Medico e Bambino e su Pagine Elettroniche, la strategia del "testing", cioè dell'indagine sierologica mirata in soggetti a elevato rischio di celiachia, permette al pediatra di libera scelta di migliorare la propria capacità di identificare nuovi casi di celiachia, demandando all'ospedale solo le ultime fasi diagnostiche.
Iltesting si sovrappone in parte alla normale attività clinica del pediatra (i soggetti con difetto di accrescimento rientrano infatti nelle indicazioni classiche per il sospetto di celiachia). In più considera alcune condizioni, che non necessariamente sono malattie o disturbi, ma che di fatto sono possibili espressioni atipiche dell'intolleranza al glutine. Inoltre porta con sé una maggiore attenzione per il problema e favorisce la condivisione di strategie con i colleghi che operano sullo stesso territorio.

La percentuale di bambini che rientrano nel gruppo a rischio varia nei tre studi dall'1,2% di Vicenza, all'1,9% di Palermo, fino al 2,6% di Milano. Questa variabilità può essere in parte spiegata dall'utilizzo di diversi criteri di inclusione (sovrapponibili negli studi di Vicenza e Palermo, un po' più ampi in quello Milanese).
Ancora di più, varia la percentuale di celiaci identificati (2,56% a Palermo, 2,7% a Milano, addirittura 7,5% nella casistica di Vicenza). Questa discrepanza non è di chiara lettura, ma può trovare spiegazione, almeno in parte, nei criteri di selezione più restrittivi adottati nello studio vicentino rispetto ad esempio alla casistica Milanese (e quindi nella selezione di una popolazione a rischio più elevato) e nella minor prevalenza di celiachia diagnosticata sul territorio prima dello studio (1:2020 a Vicenza, 1:1122 a Milano, 1:487 a Palermo).
Probabilmente meno influente su questi numeri è la diversa metodica utilizzata: EMA, IgA e AGA negli studi di Vicenza e Milano, EMA IgA e tTG nello studio Palermitano.
L'anemia sideropenica sembra essere il criterio di inclusione più uniforme nelle tre popolazioni con l'identificazione di 4 casi su 17 soggetti testati per anemia a Vicenza, 3/14 a Milano, 2 a Palermo. Diversamente, il difetto di crescita riveste maggior importanza nella casistica Palermitana (4 casi su 8 celiaci identificati) e Vicentina (8 casi su 18 celiaci identificati) rispetto a quella Milanese (solo 1 caso su 15). Purtroppo nello studio di Palermo non viene indicato quanto ha pesato ciascun criterio nella selezione dei 310 casi testati (veditabella aggiunta in risposta al presente commento).

Proviamo ora a mettere a confronto le due principali strategie diagnostiche, ovvero i programmi di screening e la selezione in base ai fattori di rischio. Se si escludono le elevate percentuali di conferma di celiachia (7,5%) dello studio vicentino, si potrebbe obiettare che la probabilità di essere celiaci per i soggetti selezionati con il testing (intorno a 2,5% a Milano e Palermo) è solo 2-3 volte maggiore rispetto a quella attesa in base agli screening (attorno all'1%), o in altre parole che il raggruppamento di rischio non aumenta abbastanza la specificità rispetto allo screening (che è peraltro in grado di identificare anche i soggetti asintomatici).
C'è da dire però che la strategia del testing si associa ad una compliance dietetica verosimilmente migliore. I vantaggi della dieta senza glutine sono infatti evidenti nella maggior parte dei casi identificati perché sintomatici, lo stesso non può essere detto per quanto riguarda gli screening (sappiamo infatti che nei soggetti asintomatici la compliace è generalmente minore).

D'altra parte, non tutti i casi di celiachia identificati per mezzo ditesting avranno un chiaro vantaggio dalla dieta senza glutine. Ad esempio, nei soggetti diabetici (criterio di inclusione: malattia autoimmune) la dieta può avere un effetto più o meno rilevabile sul controllo glicemico, ma non avrà alcuna chance di far recedere il diabete insulino dipendente conclamato. Diversamente, alcuni dati suggeriscono che la diagnosi precoce attraverso gli screening, riducendo il rischio di presentare altre manifestazioni autoimmuni correlate alla malattia, potrebbe persino impedire l'insorgenza del diabete.
Un compromesso ragionevole tra le due strategie che ci aiuterebbe anche a migliorare le nostre conoscenze sulla malattia (buone per la malattia classica, sintomatica, ma ancora insufficienti per la malattia silente identificabile con gli screening) potrebbe consistere nell'ampliare l'elenco dei gruppi considerati a rischio, includendo ad esempio i parenti di soggetti con diabete di tipo 1. Questo gruppo non solo presenta un rischio aumentato di intolleranza al glutine (secondo un nostro recente studio -Not et al. Diabetologia 2001- l' 1,9% dei parenti di diabetici non celiaci ha la celiachia), ma comprende anche i celiaci a maggior rischio di IDDM, in cui potremmo sperare che la dieta senza glutine possa prevenire l'insorgenza dello stesso diabete.

Vuoi citare questo contributo?

I. Berti. EDITORIALE. Medico e Bambino pagine elettroniche 2002;5(1) https://www.medicoebambino.com/?id=ED0201_10.html