Rivista di formazione e aggiornamento di pediatri e medici operanti sul territorio e in ospedale. Fondata nel 1982, in collaborazione con l'Associazione Culturale Pediatri.

Settembre 2001 - Volume IV - numero 7

M&B Pagine Elettroniche

Editoriali sui contributi originali

commento a:
Dislessia: indagine epidemiologica in una Scuola Elementare di Palermo
Aldo Scabar
U.O. di Neuropsichiatria Infantile Trieste


L'articolo ha il pregio di tentare una sensibilizzazione del pediatra di famiglia nei confronti dei disturbi specifici dell'apprendimento, affrontando il problema della dislessia.
Questa sensibilizzazione è indispensabile in quanto tuttora accade talvolta di poter diagnosticare il problema tardivamente (talvolta addirittura durante la frequenza della scuola media!) quando il bambino è ormai stato esposto abbondantemente allo stress derivante dalla sua particolare condizione. E' un evento classico che, ad esempio, al bambino dislessico sia stata chiesta ripetutamente ed erroneamente la lettura in classe ad alta voce come "stimolo per migliorare" ottenendo soltanto di far diminuire la sua autostima ed il suo desiderio di affrontare lo studio.
Nel testo si dice che la pediatria di famiglia e la Scuola devono porsi oggi come principale "fattore di protezione dell'infanzia", ma questo è davvero possibile attraverso la diagnosi in terzo-quarta elementare? Il primo scopo sarebbe quello di tentare una (ri)abilitazione in grado di far superare al bambino, almeno in parte, le proprie difficoltà. Sfortunatamente, gli sforzi di chi si occupa di riabilitazione non sempre sono coronati dal successo e quando lo sono, il successo è parziale o addirittura trascurabile ai fini della valutazione scolastica standard. La stessa dimostrazione scientifica della validità dei metodi riabilitativi è oggetto di discussione. Alcune recenti revisioni della letteratura affermano che si possono ottenere significativi progressi nella correttezza ed alcuni, incerti, progressi nella velocità di lettura mentre manca la dimostrazione di un effetto significativo sulla capacità di comprensione del testo, l'elemento fondamentale per cui si legge. Per chi non crede alle possibilità della riabilitazione, oppure ritiene che i progressi ottenibili non siano sufficienti alla piena integrazione del bambino nella sua classe e quindi nella società, la diagnosi è importante per promuovere quelle strategie di by-pass che rendono accessibili gli apprendimenti e motivante la partecipazione alla vita scolastica di bambini peraltro normalmente dotati e perfettamente consapevoli delle proprie difficoltà. Non bisogna dimenticare che la dislessia, benchè nota da molto tempo come eventualità, è stata dichiarata "malattia" (con tanto di prevalenza diversa a secondo del contesto linguistico) solo in seguito all'estensione dell'obbligo scolastico, che è avvenuto in tempi diversi nei diversi paesi. Si potrebbe affermare quindi provocatoriamente che la "dislessia" è una condizione secondaria alla scuola dell'obbligo. Nel nostro paese, dove si afferma che si dovrebbe fornire non il minimo ma il massimo dell'istruzione possibile in ragione delle capacità della persona, la palla ritorna alla scuola. Le "strategie di by-pass" proposte dagli esperti (come ad esempio quella di far registrare su nastro i testi informativi, di evitare la lettura ad alta voce allo scopo di migliorare la comprensione del testo, di valutare la produzione orale dell'alunno piuttosto di quella scritta) dovrebbero valere quanto una prescrizione di lenti correttive o di un apparecchio acustico ma non sempre le cose vanno così.
Lo screening proposto dallo studio è dunque un primo passo verso una migliore consapevolezza del problema da parte del pediatra di famiglia, sebbene sia interessante più come dichiarazione d'intenti in quanto, purtroppo, non descrive a sufficienza i test utilizzati e non chiarisce il destino di quei 16 bambini su 25 che, pur incontrando significative difficoltà di lettura (ci si augura che lo screening sia stato fatto con prove standardizzate), non sono stati considerati dislessici.
Ma il ruolo del pediatra di famiglia è davvero quello della diagnosi in terza o quarta elementare?
Personalmente ritengo di no, e ne elenco le ragioni:
1) alla scuola sono stati forniti da anni gli stumenti per una prima ipotesi diagnostica,
2) la verifica di questa ipotesi richiede un approfondimento testologico che si basi su strumenti standardizzati, somministrati individualmente da personale esperto e che comprendono, per definizione, la valutazione del livello intellettivo (alla portata dello psicologo o del neuropsichiatra infantile),
3) la scuola ha la possibilità di consigliare l'accesso alle strutture territoriali di diagnosi e riabilitazione e di rivolgersi a queste stesse strutture per un parere anche senza il consenso della famiglia
4) per l'accesso a queste strutture non è necessaria la prescrizione del pediatra di famiglia.
Queste considerazioni non indicano, a mio avviso, che il ruolo del pediatra di famiglia sia secondario ed infatti è opportuno che egli sia a conoscenza di quali sono le necessità del suo paziente e di quali sono gli interventi più opportuni. Il fatto è che, a livello di terza e quarta elementare la diagnosi è intempestiva.
L'italiano è una lingua piuttosto "trasparente" a livello di codice grafemico (ovvero la corrispondenza tra suoni linguistici, cioè i fonemi, ed i grafemi è quasi costante): per questo motivo la maggior parte dei bambini con dislessia deve le proprie difficoltà a sottili disturbi linguistici ed ha presentato in epoca prescolare alcune difficoltà di linguaggio. E' appunto a questo livello che la funzione del pediatra di famiglia diventa insostituibile. Non è durante il secondo ciclo della scuola elementare ma in età prescolare che il pediatra deve tenere nella dovuta considerazione l'anamnesi familiare positiva per difficoltà di apprendimento, la presenza di un ritardo semplice di linguaggio (anche se apparentemente risolto), persistenti difficoltà a pronunciare correttamente le parole "difficili" dopo i 5 anni e, soprattutto la compresenza di questi tre elementi. Identificare i casi "a rischio" e proporre una valutazione dei prerequisiti per l'apprendimento nelle sedi opportune significa fare un'opera di prevenzione che ha maggiori probabilità di risultare veramente utile.

Risposta dell'autore all'editoriale di A. Scabar.
Il commento di Scabar è giusto. Scabar ha saputo cogliere in maniera veramente egregia il senso di questo lavoro, che ha i suoi pregi e i suoi difetti.
Il Pediatra di famiglia, a mio giudizio, dovrebbe allargare la sue conoscenze e dovrebbe iniziare a lavorare in collaborazione con gli insegnanti, non solo nel campo della dislessia, ma anche nel campo dell'ADHD, nel campo della prevenzione, in tutti quei campi cioè in cui occorre la collaborazione di più professionalità.
Il Pediatra di Famiglia può avere un ruolo importante nel campo della Dislessia, sia nella prevenzione in età prescolare, come afferma Scabar, ma anche in età scolare con lo scopo principale di fare capire agli insegnanti che "se un bambino non apprende" in terza e in quarta elementare " può avere un problema diverso dal non averne voglia" (G.Stella). E questo già rappresenta un primo passo importante, considerato il fatto che le conoscenze su questo argomento, nell'ambito scolastico, sono minime e molto spesso nulle.
Il nostro lavoro non ha avuto nessuna pretesa di fare diagnosi e terapia. Ha avuto solo lo scopo di fare un screening su una popolazione scolastica di terza e quarta elementare, in ragazzi in cui i disturbi di lettoscrittura non sono più dovuti ad un ritardo semplice, ma a deficit specifici nel meccanismo di riconoscimento dei simboli.
Come tutti gli screening, anche questo ha avuto i suoi falsi positivi: i ragazzi segnalati dagli insegnanti e da noi esclusi (questi erano tutti bambini, comunque, che avevano fatto solo qualche errore di ortografia, che avevano capito il testo di lettura e che conducevano, in conclusione, una vita scolastica normale, senza difficoltà e senza frustrazioni .
I test sono standardizzati, tranne i test di lettura e di scrittura che sono stati brani tratti da libri per ragazzi. Questi test sono stati utilizzati da Francesco Ciotti in molti lavori eseguiti a Cesena. Abbiamo avuto modo di discutere con lui due nostri casi durante un corso interattivo che abbiamo tenuto a Palermo nel giugno scorso.
Altro pregio importante di questo lavoro: avere introdotto il concetto di Dislessia nella mente degli insegnanti della Scuola in cui abbiamo lavorato.
Questo lavoro difetti, comunque, ne ha tanti, derivanti tutti dalla scarsa eperienza e dal timore di non avere fatto le cose per bene (Molti falsi negativi? Molti falsi positivi? )....................ma " un viaggio di mille miglia inizia con un passo" ( Mao Tse Tung).
Grazie a tutti. Grazie a Scabar .

Letture consigliate:
D. Brizzolara, G Stella. La dislessia evolutiva, pp. 411- 437. In: Manuale di neuropsicologia dell'età evolutiva (a cura di G. Sabbadini), Zanichelli 1999
C. Cornoldi.I disturbi dell'apprendimento, aspetti psicologici e neuropsicologici. Il Mulino, 1992
Penge R., Diomede L. Dal linguaggio orale al linguaggio scritto. L'acquisizione di lettura e scrittura nei bambini con disturbo specifico di linguaggio. Psichiatria dell'infanzia e dell'adolescenza, Vol 59, pp 545-556, 1992
PE Tressoldi, G. Sartori. Neuropsicologia della scrittura in età evolutiva, pp 443 - 449
In: Manuale di neuropsicologia dell'età evolutiva (a cura di G. Sabbadini), Zanichelli 1999
P.E. Tressoldi, I. Lonciari, C. Vio. Treatment of Specific Developmental Reading Disorders, Derived from Single- and Dual-route Models. Journal of Learning Disabilities, Volume 33, number 3, 200, pp 278-285

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A. Scabar. commento a:
Dislessia: indagine epidemiologica in una Scuola Elementare di Palermo. Medico e Bambino pagine elettroniche 2001;4(7) https://www.medicoebambino.com/?id=ED0107_10.html