Rivista di formazione e aggiornamento di pediatri e medici operanti sul territorio e in ospedale. Fondata nel 1982, in collaborazione con l'Associazione Culturale Pediatri.

Febbraio 1999 - Volume II - numero 2

M&B Pagine Elettroniche

Contributi Originali - Casi contributivi

Distrofia muscolare: l'imbarazzo della prognosi
Manuela Del Santo
Clinica Pediatrica, RCCS "Burlo Garofolo", Trieste

Muscular dystrophy due to a sarcoglycan disorder: a difficult prognosis

The Case 
Male athlete, 15 years old, with a single episode of latent jaundice, recurrent abdominal pain, fatigue and effort-related cramps, high transaminase, no sign of cholestasis, followed up for two years in search of hepatosis. After excluding Wilson's disease, a CPK dosage was performed. It turned out to be very high and related to muscles. He received an electromyographic and bioptic diagnosis of muscular dystrophy. Then it was mentioned that a 16 years old cousin died because of muscular dystrophy.
The Problem 
It involves diagnosis and prognosis rather than non-hepatic transaminase: What kind of muscular dystrophy is the one that can allow a 15 years old person to play sports? What is the diagnosis to be put?
The Solution 
An immunoblot survey of bioptic material showed an alpha-sarcoglycan with normal molecular weight, but a very low amount (5%) as compared to normality: therefore, this is a case of sarcoglycan disorder. Fortunately, prognosis is not pre-defined and within the same family it can vary enormously.
The Message
Transaminase is not always related to liver, very high CPKs are not always related to Duchenne or dystrophy.

Articolo
Il caso
Cristian giunge alla nostra osservazione all'età di 13 anni. 
La sua storia è muta fino al Natale del '96, quando i genitori riferiscono per un mese circa colorito "giallino", regredito spontaneamente.
Nel marzo '97 dopo un episodio similinfluenzale con dolori addominali e diarrea mucosa, il suo medico curante riscontra per la prima volta transaminasi elevate (AST 240, ALT 169 U/l) senza segni di colestasi. Esegue quindi dei primi accertamenti che negano la presenza di markers epatitici maggiori, celiachia, segni di autoimmunità.
Nell'agosto '97 in condizioni di asintomaticità, Cristian viene visto presso il nostro ospedale ed effettua ulteriori indagini in senso chiaramente epatico, come sembra suggerire l'anamnesi.
Gli esami dimostrano una transaminite isolata (AST 139, ALT 124), assenza di colestasi (gammaGT 11, sali biliari 8,3 moli/l), di anticorpi per autoimmunità con Ig sieriche normali, negatività degli Ac anti-virus epatotropi, EMA, test di permeabilità intestinale L/M ed ecografia addominale; nella norma a1-antitripsina, cupremia bassa con ceruloplasmina normale.
Il ragazzo viene quindi rivisto a distanza di 6 mesi: rispetto al precedente controllo vengono riferiti occasionali dolori addominali prevalentemente mattutini di tipo crampiforme e stancabilità durante le attività sportive che comunque porta a termine. Anzi, il ragazzo è uno sportivo: il suo scopo esistenziale è proprio quello di mirare ad una attività agonistica; si allena con entusiasmo e ottiene degli ottimi risultati.

Seguito della storia
Le ipotesi diagnostiche a questo punto, pur indirizzate nuovamente al versante epatico: transaminite  1) da pregressa epatite, 2) da malattia di Wilson (tardivo), 3) da IBD in fieri, 4) autoimmune,  
comprendono anche la possibilità' di una miopatia. 
Le indagini evidenziano: 
-transaminasi elevate ma in calo: AST 96, ALT 86; 
-CPK 2071 U/l; 
-ceruloplasmina inferiore alla norma con cupremia e cupruria/24 ore normali;  
-assenza di anello di Kaiser-Fleischer. 
Viene quindi ricoverato, nel febbraio '98, da una parte per negare definitivamente una malattia di Wilson, dall'altra per indagare il versante muscolare. In questa occasione gli esami indicano: AST 135, ALT 115, CPK 3435 U/l, tutte di derivazione muscolare. Questi dati vengono ripetutamente confermati. 
Il valore normale della cupruria dopo carico di penicillamina ed il fatto che le CPK non siano di origine cerebrale escludono il Wilson. 
Il normale innalzamento della lattacidemia dopo lavoro muscolare in anossia nega una miopatia metabolica (malattia di Mc Ardle) mentre l'EMG documenta la presenza di segni di sofferenza muscolare intrinseca, con caratteri che suggeriscono una miodistrofia. 
E' a questo punto che i genitori ricordano di un parente deceduto per distrofia muscolare progressiva tipo Duchenne l'anno prima, all'età di 16 anni: è il figlio di un cugino (maschio!) di primo grado della mamma di Cristian.  
Nel mese di settembre, il ragazzo esegue infine una biopsia muscolare (CPK 5257) che conclude per una distrofia muscolare discretamente evolutiva. 

I problemi
Il reperto bioptico non è certamente sorprendente. La costante iper-creatinfosfochinasi-emia mal si adatta a qualunque altra diagnosi che non sia quella di distrofia muscolare. Tuttavia vi è un enorme contrasto tra questa diagnosi e le condizioni del ragazzo che sono apparentemente molto buone; troppo buone anche per una distrofinopatia ad esordio tardivo come la malattia di Becker; e c'è un abisso tra la diagnosi e le motivazioni esistenziali del ragazzo.
La morte del cugino, se, come tutto fa pensare, è correlata alla patologia di Cristian, fa d'altronde pensare ad una malattia fortemente evolutiva. 
Il capitolo della distrofia muscolare si è arricchito in complessità in questi ultimi anni. Sebbene si sia ritrovata una consistente correlazione tra i fenotipi classici da una parte (malattia di Duchenne, malattia di Becker, distrofia dei cingoli), e genotipo dall'altra, nei casi atipici, e anche in alcuni casi tipici, questa correlazione può venire a mancare. E' il caso dei difetti qualitativi della distrofina, in cui la clinica può essere minima, anche solo crampi muscolari, in presenza di valori anche elevati delle CPK; ed è il caso dei complessi difetti di alcune glicoproteine di sostegno al citoscheletro: i cosiddetti sarcoglicani.
Le ipotesi diagnostiche in questo caso restano dunque: a) la malattia di Becker; b) patologia da deficit quali-quantitativo dei sarcoglicani c) altre miodistrofie da alterazioni qualitative della distrofina.
Le indagini condotte sul campione bioptico hanno evidenziato, mediante immunoblot, un'?-sarcoglicano di peso molecolare normale ma di ridotta quantità (inferiore al 5% dei controlli). Tali dati, anche se non ancora conclusivi, depongono per la diagnosi di distrofia muscolare da sarcoglicanopatia.
Tale forma di distrofia, ad ereditarietà autosomica recessiva, è stata descritta recentemente: presenta un'ampia variabilità clinica (da forme Duchenne-like a forme lievi, con sola alterazione delle CPK) e dunque una prognosi differente da caso a caso. All'indagine elettromiografica si presenta in maniera del tutto sovrapponibile alle altre distrofie muscolari. A livello molecolare e' dovuta a piu' alterazioni a carico dei sarcoglicani, glicoproteine che insieme alla distrofina fanno parte della membrana della fibrocellula muscolare: nell'ambito delle sarcoglicanopatie sono compresi il deficit primario di a-sarcoglicano ed il deficit secondario di b-,c-, d-sarcoglicano. Nella quasi totalità dei casi lo screening con l'a-sarcoglicano permette l'identificazione anche dei deficit secondari.
Tale diagnosi può infine mettere in relazione il caso di Cristian con quello del cugino, per il quale l'analisi della distrofina non è stata sinora completata e che ha quasi sicuramente malattia diversa di quella di Duchenne.
Questo apre un secondo problema, bicipite: "qual è la prognosi?" E  "che fare?"
Bene, la prognosi, a differenza che nelle forme classiche, qui non è definibile a priori. Anche nella stessa famiglia (quindi verosimilmente con lo stesso errore genetico) l'identità e la progressione del danno possono essere sensibilmente diverse. Quanto al "che fare?", il buon senso raccomanderebbe di non forzare i muscoli e di "conservarli più a lungo possibile". Ma non c'è nessuna ricerca controllata, e nemmeno delle solide osservazioni aneddotiche che possano confermare che è proprio così. Nel caso di Cristian, un'interruzione dell'attività pratica comporterebbe un disastro emotivo. Dunque "che fare?". Davvero non lo sappiamo.

Conclusioni
E' un contributo casistico modesto, forse indifferente. I problemi (irrisolti) che porta con sé costituiscono però un arricchimento della problematica e un imbarazzante grado di libertà aggiuntivo alla esplicitazione dignostico-prognostica. L'imbarazzo della prognosi può essere legittimo anche in una distrofia muscolare.

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M. Santo. Distrofia muscolare: l'imbarazzo della prognosi. Medico e Bambino pagine elettroniche 1999;2(2) https://www.medicoebambino.com/?id=CL9902_10.html