Rivista di formazione e aggiornamento di pediatri e medici operanti sul territorio e in ospedale. Fondata nel 1982, in collaborazione con l'Associazione Culturale Pediatri.
Marzo 2008 - Volume XI - numero 3
M&B Pagine Elettroniche
Contributi Originali - Casi contributivi
Un'ipertransaminasemia
urso-dipendente
1Dipartimento
di Pediatria Università degli studi di Napoli Federico II;
2Dipartimento di Pediatria, Università degli studi di Padova
Indirizzo
per corrispondenza: riorio@unina.it
A
boy with urso-dependent hypertransaminasemia
Key
words
hypertransaminasemia;
Bile Acid CoA:amino acid N-acyltransferase (BAAT);
ursodeoxycholic acid (UDCA); liver biopsy
Summary
We
present a case of a 6 year-old boy with chronic
hypertransaminasemia referred to our observation at the age of 17
months, with ALT levels of 2,147 IU/L without signs of
cholestasis. Main causes of hypertransaminasemia were excluded
and liver biopsy showed chronic hepatitis with minimal activity
and moderate portal fibrosis. Therapy with ursodeoxycholic acid
(UDCA) was started with a rapid normalization of transaminases.
UDCA was suspended in 3 circumstances and in all cases a rapid
increase in transaminases was observed. The prompt reinstitution
of UDCA was always followed by a rapid normalization of liver
enzymes. A defect of bile acid synthesis or conjugation was
suspected. Evaluation of urinary biliary acid pattern showed a
normal profile on UDCA therapy. Although conjugated biliary acids
serum levels were in the normal range, the levels were very low
in absence of UDCA therapy and increased in UDCA when
transaminases were normal. Therefore, a familial hypercholanemia,
with associated defect of the Bile Acid CoA: amino acid
N-acyltransferase (BAAT) was suspected. At present this
hypothesis is under investigation. Even if the diagnosis is not
still confirmed, this case suggests the disorder as possible
cause of hypertransaminasemia not associated with signs of
cholestasis. |
Il 12%
dei bambini con ipertransaminasemia cronica isolata, osservati presso
un centro di terzo livello, è affetto da disordini
genetico-metabolici, alcuni dei quali possono beneficiare di
specifiche terapie con impatto favorevole sulla loro evoluzione
clinica1. L'ipertransaminasemia, talvolta severa, è
spesso l'unica manifestazione di tali disordini, la cui gamma è
ampia e include entità particolarmente impegnative dal punto
di vista diagnostico. In molti casi la biopsia epatica è poco
contributoria1. Qui è descritto il caso di un
bambino con ipertransaminasemia cronica, strettamente dipendente
dalla terapia con UDCA.
Antonio
veniva inviato alla nostra osservazione all'età di 17 mesi
per ipertransaminasemia severa (valore massimo di ALT
2147 UI/L), riscontrata nel contesto di una gastroenterite acuta
occorsa un mese prima (AST 386 U/l; ALT 944 U/l), in assenza di segni
clinici di epatopatia.
All'anamnesi
si evidenziava: nascita a termine di gravidanza bigemellare
complicata da minacce di aborto, parto eutocico; peso alla nascita
3,150 kg; ittero fisiologico; alvo irregolare tendenzialmente
diarroico; crescita staturo-ponderale e sviluppo psico-motorio sempre
nella norma. L'ipertransaminasemia non era associata a
visceromegalia né ad alterazione degli indici di funzionalità
epatica e di colestasi. Erano escluse le seguenti cause:
- infezioni (HAV, HBV, HCV, CMV, EBV, Rotavirus, Brucellosi, Salmonellosi);
- malattie genetico-metaboliche quali intolleranza ereditaria al fruttosio, galattosemia, glicogenosi, deficit di α1 antitripsina, tirosinemia, organicoacidemie, m. di Wilson;
- celiachia e disordini nutrizionali;
- epatotossicità da farmaci;
- epatite autoimmune (immunoglobuline sieriche normali, ANA, SMA ed LKM1 negativi);
- cause extraepatiche di ipertransaminasemia quali miopatie e cardiomiopate.
All'ecografia
epatica non si evidenziavano alterazioni a carico delle vie
biliari nè del parenchima epatico. A 4 mesi dal riscontro
dell'ipertransaminasemia, consideratane la severità e nel
sospetto di una epatite autoimmune sieronegativa, era effettuata
biopsia epatica con il seguente risultato: epatite cronica ad
attività minima; fibrosi moderata a carico degli spazi
portali, con formazione di qualche setto; presenza di lievi
infiltrati mononucleati portali; vasi e dotti biliari normali;
presenti alcune cellule del Kupffer contenenti pigmenti di
“turn-over”; assenti segni di colestasi.
Pur in
assenza di una diagnosi definita, vista la persistenza
dell'ipertransaminasemia severa e nonostante non ci fossero
evidenze di colestasi, si decideva di iniziare terapia con acido
ursodesossicolico (20 mg/kg/die) sulla base delle sue proprietà
citoprotettive, anti-apoptotiche, immunomodolatrici, stabilizzanti le
membrane e antiossidanti2. Dopo 20 giorni di trattamento
si osservava normalizzazione delle transaminasi (ALT 23 U/l). Durante
i successivi 36 mesi di terapia le transaminasi si mantenevano nella
norma e l'alvo si regolarizzava. Al compimento del primo anno di
terapia e in due occasioni nei mesi successivi, si decideva di
sospendere la terapia con UDCA allo scopo di valutare il suo reale
impatto sugli enzimi epatici3. In tutte e tre le occasioni
si registravano significativi e bruschi rialzi delle transaminasi a
pochi giorni di distanza da ogni sospensione, con rapida
normalizzazione a distanza di pochi giorni dalla reintroduzione del
farmaco.
Sulla
base dell'UDCA dipendenza, si sospettava un difetto di sintesi o di
coniugazione degli acidi biliari. Sembrava invece meno probabile,
visto lo stretto rapporto cronologico tra reintroduzione della
terapia e normalizzazione delle transaminasi e tra sospensione e
ripresa dell'ipertransaminasemia, l'ipotesi di un'epatite
autoimmune che in alcuni casi può beneficiare dell'UDCA.
Si
decideva, pertanto, nonostante non ci fosse alcun segno di colestasi,
di studiare il pattern degli acidi biliari urinari e sierici del
paziente. La valutazione fatta su un campione di urine prelevato nel
paziente in corso di terapia con UDCA evidenziava un profilo normale
degli acidi biliari.
La
comparazione dei livelli di acidi biliari coniugati sierici (acido
glicocolico, taurocolico, glicochenodesossicolico e
taurochenodesossicolico), in assenza di terapia (0.8 Umol/l) e in
corso di terapia (2 Umol/l) evidenziava in entrambi i casi valori nel
range di normalità (0-6 Umol/l). La presenza di livelli ai
limiti bassi della norma degli acidi biliari coniugati (0.8 Umol/l)
in assenza di terapia con UDCA e in concomitanza con
l'ipertransaminasemia (ALT 292 UI/l) e il loro incremento sotto
UDCA in concomitanza della normalizzazione delle transaminasi ci
inducevano a sospettare una ipercolanemia familiare da deficit di
BAAT4, enzima di coniugazione degli acidi biliari. E' in
corso la valutazione del profilo urinario degli acidi biliari su un
campione urinario prelevato in occasione dell'ultima sospensione
dell'UDCA concomitante all'ultimo rialzo delle transaminasi.
Gli
aspetti biochimici e clinici del nostro caso hanno fatto
sospettare la presenza di un disordine del metabolismo congenito
degli acidi biliari coniugati, riportato in letteratura come
“ipercolanemia familiare”, in cui c'è un deficit
dell'enzima coinvolto nello step finale di coniugazione della
catena carbossi-terminale degli acidi biliari con glicina o taurina4.
In questa patologia, l'acido colico non coniugato viene escreto
nella bile per esser riassorbito a livello intestinale e diventare
l'acido biliare predominante nel siero e nelle urine; gli altri
acidi biliari sono esterificati con il glucuronato e secreti nella
bile, ma sono poco riassorbiti a livello enteroepatico5.
L'ipercolanemia
familiare si può associare ad una diarrea secretoria, dovuta
dall'aumentata concentrazione degli acidi biliari nel colon5,
e questo dato ha fatto ipotizzare che l'alvo tendenzialmente
diarroico che il paziente ha presentato dall'età di 15 mesi
possa esser inquadrato nel fenotipo di questo disordine.
Inoltre,
le caratteristiche istologiche peculiari della malattia
epatica nel deficit di amidazione non sono state ben descritte, ma le
evidenze documentano che si tratta di alterazioni “mild”6
e “transient”7, compatibilmente con quanto ritrovato
alla biopsia epatica del nostro paziente.
La
stretta dipendenza della normalizzazione delle transaminasi dalla
terapia con UDCA nel paziente descritto fortemente supporta l'ipotesi
di questo disordine metabolico alla base di tale comportamento
clinico4.
Sebbene
la diagnosi di deficit di BAAT non sia ancora confermata in modo
definitivo, questo caso richiama l'attenzione sul possibile ruolo
di tale disordine nei casi di ipertransaminasemia rimasti
criptogenici dopo l'ordinario screening diagnostico. Appare
rilevante che tale entità va sospettata anche quando c'è
assenza di ittero, completa normalità degli indici di
colestasi e quando l'ipertransaminasemia si associa ad alvo
diarroico5.
1. Iorio
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5.Hofmann
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