Rivista di formazione e aggiornamento di pediatri e medici operanti sul territorio e in ospedale. Fondata nel 1982, in collaborazione con l'Associazione Culturale Pediatri.
Dicembre 2003 - Volume VI - numero 10
M&B Pagine Elettroniche
Avanzi
La
discussione degli errori medici nella pratica clinica
La
discussione dell'errore umano in medicina ha un suo non
recentissimo filone d'interesse. L'argomenti in favore della
pratica è che il riconoscimento degli errori in diversi campi
di lavoro umano (soprattutto aviazione ed industria) ha portato alla
riduzione di questi ed al miglioramento degli standards. Il carattere
centrale del messaggio dei diversi gruppi di lavoro che si occupano
dell'argomento in medicina è che l'errore debba essere
considerato come un vizio del sistema, non del singolo, cioè
un evenienza statistica in parte non eliminabile se non si agisce
anche sul sistema (formazione, condizioni di lavoro etc). Uno dei
forum più visibili nel sistema americano per la discussione
degli errori medici è rappresentato dalle “morbidity e
mortality conference”, in cui vengono presentati numerosi casi
clinici spesso selezionati in base all'insorgenza di effetti
collaterali delle terapie o dall'evenienza di errori medici.
Questo studio ha verificato quanto venissero effettivamente discussi gli errori medici e gli eventi avversi (iatrogeni ) in 4 ospedali universitari di San Francisco. Rispetto ai casi chirurgici nei casi medici l'errore medico viene discusso meno di frequente (18% vs 42%), spesso con linguaggio implicito, senza il riconoscimento formale dell'errore 48% vs 77%), senza il riconoscimento specifico della causa 38% vs 79%).L'errore viene più spesso attribuito al singolo nei casi chirurgici, al team nei casi medici. La presentazione dei casi clinici medici è in media tre volte più lunga dei quella dei casi chirurgici (34 min vs 11 min), si da più spazio a speakers esterni (43% vs 0%) che alle domande dell'audience (15% vs 36%). Le conclusioni degli autori sono che esiste differenza tra l'atteso e le performance attuali riguardo la capacità di discussione degli errori nella pratica clinica e che le “morbidity e mortality conference” sono un'occasione non realizzata di formare giovani medici sulle competenze centrali della loro professione - il system-based practice, il practice-based learning, la professionalità, e la comunicazione-, che il monitoraggio è un delle attività centrali della professione e deve applicarsi anche ai servizi ed alle procedure, e che la discussione degli errori in maniera costruttiva forma quella che deve essere la capacità personale di gestire la sfida intrinseca nell'esercizio della pratica medica.
(Pierluissi E, Fischer M, Campbell A et al JAMA 2003; 290: 2838-2842)
Questo studio ha verificato quanto venissero effettivamente discussi gli errori medici e gli eventi avversi (iatrogeni ) in 4 ospedali universitari di San Francisco. Rispetto ai casi chirurgici nei casi medici l'errore medico viene discusso meno di frequente (18% vs 42%), spesso con linguaggio implicito, senza il riconoscimento formale dell'errore 48% vs 77%), senza il riconoscimento specifico della causa 38% vs 79%).L'errore viene più spesso attribuito al singolo nei casi chirurgici, al team nei casi medici. La presentazione dei casi clinici medici è in media tre volte più lunga dei quella dei casi chirurgici (34 min vs 11 min), si da più spazio a speakers esterni (43% vs 0%) che alle domande dell'audience (15% vs 36%). Le conclusioni degli autori sono che esiste differenza tra l'atteso e le performance attuali riguardo la capacità di discussione degli errori nella pratica clinica e che le “morbidity e mortality conference” sono un'occasione non realizzata di formare giovani medici sulle competenze centrali della loro professione - il system-based practice, il practice-based learning, la professionalità, e la comunicazione-, che il monitoraggio è un delle attività centrali della professione e deve applicarsi anche ai servizi ed alle procedure, e che la discussione degli errori in maniera costruttiva forma quella che deve essere la capacità personale di gestire la sfida intrinseca nell'esercizio della pratica medica.
(Pierluissi E, Fischer M, Campbell A et al JAMA 2003; 290: 2838-2842)
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