Novembre 1998 - Volume I - numero 9
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Avanzi
Novità,
riflessioni, contributi e proposte,
Le
piastrine sono formate nel midollo osseo dai megacariociti, cellule
giganti plurinucleate, che derivano dalle cellule staminali
primitive: l'origine dei loro nuclei è di tipo poliploide,
poiché sono la conseguenza di una divisione nucleare, non
seguita da una divisione citoplasmatica. Le piastrine si formano per
invaginazione della membrana delle cellule megacariocitiche (figure
di campeggiamento).
Le
piastrine posseggono recettori di membrana specifici che si legano a
proteine plasmatiche adesive. Esse sono inoltre dotate di granuli
specifici, che si liberano sotto stimolazione e che portano
all'aggregazione piastrinica, elemento essenziale per il controllo
delle emorragie dei piccoli vasi, attraverso la formazione del tappo
piastrinico. La loro funzione è infatti connessa con il
fenomeno della coagulazione, anche se esse sono indispensabili anche
per mantenere l'integrità dell'endotelio vasale.
Le
piastrine in numero di 150-400.000 per mm3, circolano nel sangue per
7-10 giorni prima di essere allontanate. Esse sono, come i globuli
rossi maturi, sprovviste di nucleo. Sono dotate di antigeni
specifici, che sono completamente diversi da quelli presenti sui
globuli rossi (ABO, Rh e altri), ma sono a comune con quelli presenti
sui globuli bianchi (sistema HLA).
In
patologia le alterazioni nel numero e nella qualità delle
piastrine sono ben conosciute:
a)trombocitopenie:
- da
ridotta produzione, primitiva o secondaria (a trattamenti
antiblastici, infezioni e altro)
- da
eccessiva distruzione, soprattutto su base autoimmunitaria (è
questo il sottogruppo più numeroso, perché comprende la
comune Porpora trombocitopenica, detta ancoraidiopatica, o meglio autoimmune), secondaria quasi
sempre a infezioni virali (rosolia, morbillo e altre)
- da
elevato allontanamento dal circolo (ipersplenismo, amgiomi giganti e
altro)
b)trombocitosi (con un numero di piastrine oltre le
750.000): anemia da carenza di ferro, malattia di Kawasaki, altre
malattie infiammatorie acute e croniche, asplenia anatomica o
funzionale.
La
disponibilità della trombopoietina (T), come ormone
purificato ha aperto un nuovo capitolo nella cura di molte delle
malattie che si accompagnano a un ridotto numero di piastrine,
soprattutto nel caso in cui si tratti di un'insufficiente funzione
del midollo osseo (cv. Enlg. J. Med. 339, 746-54, 1998). Essa è
infatti un ormone, chiamato T già nel 1958, responsabile
dell'aumento della produzione di piastrine dopo una trombocitopenia.
Fino a
oggi per correggere una trombocitopenia si ricorreva alla trasfusione
di piastrine: in USA ogni anno vengono usati 8 milioni di unità
di piastrine, in soggetti a rischio di grave sanguinamento. Ma va
riconosciuto che la trasfusione di piastrine non rappresenta il modo
migliore di trattamento, perché nel 30% dei casi si hanno
complicazioni, come imponenti reazioni febbrili, a volte setticemia,
o malattia di trapianto verso ospite o quadri acuti polmonari. Nel
15-25% dei pazienti, che richiedono ripetute trasfusioni di
piastrine, si verifica sempre più di rado un aumento nel
numero di piastrine circolanti, come ci saremmo aspettati, per
l'insorgenza di una alloimmunizzazione HLA. Va sottolineato inoltre
che le trasfusioni di piastrine sono molto costose: in USA è
stato calcolato che la trasfusione di 6 unità di piastrine
(necessarie per portare il numero delle piastrine circolanti da
30.000 a 50.000 per mm3 in un adulto) costa 300 $.
La
disponibilità della T ha reso meno frequente il ricorso alla
trasfusione di piastrine.
L'ormone
T è un fattore di differenziazione, che stimola lo stadio
finale della crescita dei megacariociti ed è responsabile al
loro interno della sintesi delle proteine specifiche delle piastrine,
nonchè della loro poliploidia.
Caratteristiche
della trombopoietina
Il DNA
complementare per la T nell'uomo indica che la T è costituita
da 353 aminoacidi. La T, come altre citochine, è
caratterizzata da molte attività, durante lo sviluppo dei
megacariociti: essa aumenta il numero e il volume dei megacariociti,
stimola l'espressione di alcuni indicatori di superficie ed è
un potente stimolatore della endomitosi e quindi della poliploidia
dei megacariociti. Essa agisce in sinergia con altre sostanze, che
influenzano la crescita dei megacariociti. Partecipa in qualche modo,
insieme all'eritropoietina alla stimolazione della crescita delle
cellule progenitrici della serie rossa.
Nell'animale
da esperimento (gatti e primati non umani) la T aumenta il numero dei
megacariociti midollari e il numero delle piastrine periferiche fino
a 10 volte. Ne consegue che la concentrazione di T risulta
inversamente proporzione al numero delle piastrine, in pazienti con
insufficienza midollare. Molti organi contribuiscono alla formazione
della T, anche se il fegato e il rene ne sono i più attivi
produttori. La regolazione della sintesi di nuova T è dovuta
alle stesse piastrine; le piastrine mature allontanano la T dalle
soluzioni e negli animali trombocitopenici, la concentrazione di T
plastica cade subito dopo la trasfusione di piastrine e aumenta
soltanto dopo che il numero di piastrine si è abbassato.
Il
riscontro che le piastrine stesse allontanano la T dalla circolazione
ha due immediate conseguenze cliniche:
a) la
trasfusione di pastrine può annullare la ripresa dei
megacariociti
b) il
legame della T alle piastrine esistenti in circolo può
attenuare la risposta della T endogena alla terapia mielosoppressiva,
spesso causa di piastrinopenia. Per questo la risposta T può
tardare per qualche giorno, finché la produzione di piastrine
non sia completamente precipitata, insieme alla maggior parte dei
megacariociti.
Proprietà
farmacologiche della trombopoietina
La
sopravvivenza della T in circolo è più lunga di quella
di ogni altro fattore di crescita ematopoietica: la emivita è
di 30 ore. Quando la T è somministra agli animali o all'uomo,
il numero delle piastrine comincia ad aumentare dopo 3-5 giorni, a
seconda della dose e della specie. Questo rilievo dimostra che la T
non è capace di liberare immediatamente piastrine dai
megacariociti: la T invece stimola la produzione e la maturazione dei
megacariociti ed è solo dopo che questo stimolo è
avvenuto che il numero delle piastrine aumenta. Poiché
l'azione biologica della T è prolungata, la somministrazione
parenterale di T per 7-10 giorni determina un aumento nel numero
delle piastrine da 6 a 16 giorni più tardi. Per esempio la T
data a pazienti con cancro, subito prima della chemioterapia, porta a
un aumento, ritardato di qualche giorno, del numero delle piastrine.
Per tutte queste ragioni una particolare attenzione va rivolta, prima
dell'uso, alla farmacocinetica della T, per assicurare che non si
abbia un'eccessiva trombocitosi o in alternativa una risposta troppo
tardiva.
Prove
sperimentali e cliniche con la trombopoietina
Nelle
prove sugli animali la somministrazione di T è risultata
assolutamente sicura. Negli animali con mielo-soppressione la T ha
accelerato la comparsa delle piastrine. Essa è stata usata con
successo nel topo anche per migliorare la qualità del midollo
osseo e delle cellule staminali in previsione della donazione per un
trapianto.
In molti
studi sull'uomo la somministrazione di T è risultata sicura ed
efficace, quando somministrata prima della chemioterapia, per
determinare una profonda stimolazione della produzione di piastrine.
In tre
studi, nei quali è stata usata la T ricombinante umana in
pazienti con cancro, trattati con la chemioterapia, la conta delle
piastrine ritornò ai livelli basali molto velocemente. Anche
nell'uomo la T aumenta il numero dei megacariociti e di altri
progenitori ematopoietici: essa stimola le cellule staminali e i
progenitori a passare dal midollo osseo alla circolazione generale,
caratteristica essenziale per i pazienti che ricevono trapianti di
cellule staminali.
La T
potrebbe trovare altre indicazioni in pediatria nel trattamento di
malattie, che si accompagnino a un basso numero di piastrine,
soprattutto per condizioni primitive: i pediatri debbono imparare a
conoscere meglio questo nuovo ormone per essere in grado di usarlo,
quando sembra che ne sia il caso. Si attendono studi clinici nel
trattamento con T della trombocitopenia autoimmune, della
trombocitopenia in corso di sindrome da immuno-deficienza e di altre
situazioni patologiche.
La
fibrosi cistica (FC) ormai da anni rappresenta la malattia che più
di ogni altra ha richiamato l'attenzione dei ricercatori: essa, nelle
sue infinite sfaccettature, raccoglie in sé quasi tutti i temi
della medicina generale e della pediatria in particolare. Gli enormi
avanzamenti nel campo della genetica e della fisiopatologia di questa
malattia hanno contribuito ad accrescere non solo le conoscenze
riguardanti la FC, ma anche ad allargare l'orizzonte di molte altre
situazioni patologiche.
Come si
sa da tempo i pazienti con FC sono ad alto rischio di sviluppare
nefrocalcinosi e litiasi urinaria di ossalato di calcio: ben il 92%
dei pazienti FC giunti al tavolo necroscopico, hanno nefrocalcinosi
della midollare renale, mentre l'urolitiasi si fa sempre più
frequente man mano che aumenta l'aspettativa di vita di questi
pazienti (3.5% contro lo 0,2% della popolazione in generale). Di
recente l'iperossaluria è stata ritenuta la causa prima della
litiasi renale.
L'iperossaluria
enterica, che viene ritenuta comunemente come una conseguenza
dell'insufficienza pancreatica e del malassorbimento, si manifesta
anche in seguito a estese resezioni ileali o a interventi di by-pass
digiuno-ileali. Il colon è la sede primaria dell'aumentato
assorbimento di ossalato, nell'ossaluria enterica, principalmente per
la buona permeabilità della mucosa, insieme all'aumentata
solubilità e biodisponibilità dell'ossalato nel
contenuto fecale. La ridotta degradazione anaerobica dell'ossalato,
in seguito all'assenza della microflora nel colon (principalmente diOxalobacter formigenes) aggrava l'iperossaluria.
L'Oxalobacter
formigenes è un batterio anaerobio presente nell'intestino
dei vertebrati, uomo compreso. Questo batterio è in relazione
simbiotica con l'ospite, perché regola l'assorbimento
dell'acido ossalico dall'intestino e di conseguenza la concentrazione
di acido ossalico nel plasma. L'Oxalobacter formigenes
utilizza gli ossalati della dieta abbassandone la concentrazione nel
lume intestinale e da lì nel sangue. Questo batterio è
acquisito dai lattanti fra i 9 e i 12 mesi di età; dall'età
di 6-8 anni quasi tutti i bambini normali sono stati colonizzati. Gli
antibiotici impediscono al batterio di colonizzare o ne rendono
impossibile la permanenza nel colon.
Nei
pazienti FC l'uso prolungato di antibiotici può impedire la
colonizzazione e/o può distruggere le colonie presenti.
In un
recentissimo lavoro (Lancet 352, 1026-9, 1998) Sidhu e
collaboratori hanno studiato se l'assenza di Oxalobacter
formigenes nell'intestino di bambini con FC si correla con la
presenza d'iperossaluria. (Vengono studiati 43 pazienti con FC, in
età fra 3 e 39 anni, e 21 volontari sani delle stesse età
per la presenza nelle feci de l'Oxalobacter formigenes in
coltura e con l'analisi del DNA.
15 dei 21
volontari sani (71%) e solo 7 dei 43 pazienti FC (16%) avevano nelle
feci colonie di Oxalobacter formigenes.
Nei 7
pazienti FC positivi, il numero dei batteri era molto basso, tanto
che la loro identificazione non avvenne attraverso la positività
della coltura, ma solo con le indagini DNA. Tutti i pazienti con
colonie positive avevano normali livelli di ossalato urinario, ma 19
(53%) dei 36 pazienti senza l'Oxalobacter formigenes nelle
feci, erano iperossalurici. L'iperossaluria più elevata fu
riscontrata nei bambini più piccoli.
Viene
concluso che l'assenza di Oxalobacter formigenes
nell'intestino di bambini FC porta a un aumento nell'assorbimento
dell'ossalato, con conseguente aumento del rischio d'iperossaluria e
delle sue complicazioni (nefrocalcinosi e urolitiasi). Sia l'uso
prolungato degli antibiotici che alterazioni gastrointestinali legate
alla malattia di base possono determinare una decolonizzazione
permanente nei pazienti FC.
Ormai
tutti sanno che la fimosi è una situazione completamente
diversa dalle aderenze balano-prepuziali e sanno anche che mentre la
prima non risolve spontaneamente, le seconde, col tempo, senza alcuna
necessità di interventi cruenti, scompaiono nel corso di
qualche anno. Fimosi infatti non vuol dire soltanto impossibilità
a sguainare il glande: se così fosse il 96% dei neonati
avrebbe una fimosi, come l'85% dei lattanti a 3 mesi, il 50% dei
bambini a 1 anno e l'1% degli adolescenti a 17 anni. La vera
fimosi è la presenza di un prepuzio lungo, molto serrato
all'estremità distale.
Differenziare
la vera fimosi dalle aderenze balano-prepuziali non è
difficile:
- in caso
di aderenze, quando si attui un lieve tentativo
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