Novembre 2005 - Volume VIII - numero 9

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Appunti di Terapia

Efficacia a lungo termine del vaccino contro l'epatite B, nonostante la presenza di mutanti.
di Giorgio Bartolozzi
Indirizzo per la corrispondenza: bartolozzi@unifi.it

Nel marzo del 2004 si è riunito a Siviglia in Spagna il Viral Hepatitis Prevention Board (VHPB), di cui fanno parte esperti di ogni parte del mondo: l'Italia era rappresentata dal professor Alessandro Zanetti dell'Istituto di Virologia dell'Università di Milano (FitzSimons D, François G, Hasll A et al. Long.term efficacy of hepatitis B vaccine, booster policy, and impact of hepatitis B virus mutants, Vaccine 2005, 23:4158-66 ).
Gli argomenti della riunione erano i seguenti:
  • I programmi d'immunizzazione sono molto efficaci; essi proteggono la popolazione e i soggetti a rischio e tendono all'eliminazione dell'epatite B;
  • Il vaccino dell'epatite B protegge per almeno 15 anni contro lo sviluppo della malattia clinica e l'infezione cronica, dovute da tutti i genotipi virali. Le eventuali successive infezioni non si accompagnano a malattia, cioè le infezioni breakthrough (cioè le infezioni che insorgono in soggetti vaccinati) non hanno significato clinico;
  • Sulla base di dati disponibili non ci sono prove scientifiche per la somministrazione di dosi di richiamo con il vaccino contro l'epatite B in soggetti completamente immunizzati;
  • L'uso del vaccino contro l'epatite B, il primo vaccino anticancro, riduce l'incidenza del carcinoma epatocellulare;
  • Sebbene i virus dell'epatite B mutanti abbiano correntemente scarso significato clinico, il monitoraggio regolare rimane importante per determinare se la vaccinazione fallisse nel prevenire l'infezione da parte dei mutanti. Se questo avvenisse, sarebbe necessario rivedere le politiche d'immunizzazione.
Efficacia di lungo termine della vaccinazione contro l'epatite B ed efficacia dei programmi d'immunizzazione
Molti studi pubblicati documentano che l'efficacia del vaccino contro l'epatite B dura almeno 15 anni, ma già alcuni studi parlano di 20 anni e più
In una coorte di 1200 bambini vaccinati (Ling YC et al, J Infect Dis 2003, 187:134-8), sebbene la concentrazione di anticorpi anti-HBs sia calata al di sotto delle 10 mUI/mL, la memoria immunologica risultava ben presente e nessuno degli 11 bambini che avevano avuto ugualmente un'infezione da virus dell'epatite B (HBV) risultarono positivi per HBsAg o avevano la presenza di HBV DNA. L'uso di una dose di richiamo in un sottogruppo di soggetti elicitò una risposta rapida e massiva di anticorpi anti-HBs (risposta anamnestica), indicando che una procedura del genere non è necessaria per fornire protezione contro le infezioni croniche da HBV nella popolazione, almeno per ora, al di sotto dei 15 anni dall'immunizzazione
La dimostrazione di un'infezione da HBV in un soggetto vaccinato, viene dimostrata dalla presenza dell'anticorpo anti-HBc, in soggetti che, essendo stati vaccinati, avrebbero dovuto presentare solo la positività per anti-HBs, a livelli più o meno alti, oppure dopo molti anni la sua completa assenza.
La diminuzione nella popolazione dello stato di portatore e la contemporanea riduzione nell'incidenza del carcinoma epatocellulare indicano la diminuzione della pressione dell'HBV: l'infezione da HBV deve essere controllata anche con altri mezzi, come il miglioramento delle condizioni socio-economiche e ambientali.
Da ricerche condotte in Alaska (McMahon BJ et sal, Ann Intern Med 2005, 142:333-41) su 1630 persone, è risultato che 62 di queste avevano avuto un richiamo naturale (cioè un'infezione asintomatica da HBV) ma nessuna di esse aveva anticorpi anti-HBc dimostrabili. Studi ulteriori dimostrarono che il titolo di anticorpi anti-HBs dipende dall'entità della risposta iniziale: cioè più alto è il titolo dopo la vaccinazione e maggiori sono i titoli a distanza di 5 anni. Il tempo per la caduta dei titoli al di sotto delle 10UI/mL fu significativamente più lungo nei lattanti che avevano ricevuto il vaccino plasma.derivato in confronto con quelli che avevano ricevuto il vaccino ricombinante. A distanza di 15 anni 6 persone sui 1630 erano positive per DNA HBV: l'analisi del DNA virale indicava che l'infezione era dovuta a un virus di tipo selvaggio solo in due casi su sei, gli altri quattro avevano il virus che aveva dato l'infezione presentava una sostituzione nucleotidica del tipo “vaccine-escape”, cioè si trattava di una mutante, verso la quale la vaccinazione era incapace di agire.
In Italia nel 2003, 12 anni dopo l'introduzione della vaccinazione obbligatoria contro l'epatite B, viene calcolato che siano stati vaccinati più di 12 milioni di bambini, con una caduta drammatica dell'epatite B nei soggetti da 15 a 24 anni e senza alcun caso di epatite fra i vaccinati (Mele A et al, J Med Virol 2002, 67:440-3). Pochi casi di infezioni breakthrough (cioè la comparsa di malattia in soggetti regolarmente vaccinati) erano legati alla presenza di mutanti virali dell'HBV in soggetti con trapianto di fegato; tuttavia questi virus mutanti non rappresentano al momento attuale un problema di salute pubblica.

La memoria immune e la politica dei richiami
La dettagliata analisi delle risposte immuni HBsAg-specifiche dimostra che nell'epatite B acuta, le cellule secernenti anti-HBs circolano in numero elevato già molte settimane prima della sieroconversione e che queste cellule più tardi migrano negli organi linfoidi, dove continuano a produrre anticorpi. Durante la sieroconversione è presente invece uno sviluppo debole delle risposte riguardanti le cellule T citotossiche e le cellule T helper. Nei portatori cronici di epatite B, all'interno dei complessi immuni sono presenti anticorpi anti-HBs e anti-preS, un rilevo che è contrasto con il dogma che nei portatori cronici non viene prodotto l'anticorpo anti-HBs.
Le risposte forti dei linfociti B nelle infezioni acute e croniche mediano la neutralizzazione dell'HBV e riducono la diffusione del virus, fornendo un'immunità protettiva. Le deboli risposte delle cellule T-helper e dei linfociti T citotosici nelle infezioni acute e croniche dimostrano d'altra parte il loro ruolo limitato nel controllo immune della moltiplicazione virale e significano che l'immunità delle cellule T verso il core e la polimerasi è cruciale.
Complessivamente la conclusione è che gli antigeni del rivestimento dell'HBV sono utilizzabili per i vaccini protettivi o come adiuvanti per vaccini terapeutici, ma non per l'uso nei vaccini terapeutici di per sé.
Sulla base di estese ricerche in ogni parte del mondo sulla cinetica della risposta anticorpale anti-HBs e sul suo declino, è stato osservato che la terza dose di vaccino nella schedula (0, 1 e 6 mesi) determina una estesa e rapida risposta nel livello anticorpale, tanto da poter essere considerata come una dose di richiamo. Prontamente si stabilisce la memoria immunologica, che determina l'altezza e la persistenza della risposta anticorpale. Dopo 10-15 anni dalla prima vaccinazione, il titolo in anti-HBs cade a meno di 10 mUI/mL nel 10-50% dei vaccinati. Chiaramente la protezione dalle malattie clinicamente importanti dura più a lungo della presenza degli anticorpi dimostrabili. I titoli anti-HBs discendono dall'altezza della risposta iniziale e la loro diminuzione è esponenziale, con una metà vita che cresce nel tempo. In quasi tutti gli studi, la rivaccinazione dopo 10-13 anni determina una risposta in > 95% del soggetti. Di nuovo i titoli che si ritrovano dopo la rivaccinazione sono direttamente in relazione con l'altezza della risposta iniziale, ma anche con la dose di antigene presente nel richiamo. Si hanno risposte sia delle cellule B che T; prove efficaci e sensibili vengono usate solo di rado per dimostrare la memoria immunologica invece della risposta anamnestica. I meccanismi basilari della memoria immunologica comprendono evidentemente una complessa interazione fra cellule B della memoria, cellule T della memoria, linfociti T citotossici della memoria e complessi antigene-anticorpo.
Il capitolo dei richiami naturali divide ancora la comunità scientifica nella valutazione della loro importanza nel proteggere la popolazione. In Cina la continua esposizione all'HBV porta a persistenti richiami naturali e quindi a persistente protezione. D'altra parte la mancanza della pressione infettiva non porta a richiami naturali e quindi ne consegue una mancanza di protezione, come negli Stati Uniti, nell'Europa occidentale, dove l'endemicità dell'epatite B è bassa e dove non ci dovrebbe essere infezione.
E' necessario valutare con precisione cosa succede nella diffusione dell'HBV, quando sia in atto l'emigrazione di persone da aree ipernedemiche (Europa dell'est, Medio Oriente, Africa e Asia), verso aree a bassa endemicità.
Mentre soggetti immunocompetenti, che abbiano ricevuto la vaccinazione primaria con tre dosi, non hanno bisogno di richiami anche dopo 15 anni, i soggetti immunocompromessi debbono essere regolarmente saggiati per valutare il titolo in anti-HBs e dare un richiamo quando il titolo cade al di sotto delle 10 mUI/mL (European Consensus Group on Hepatitis B Immunity, Lancet 2000, 355:561-5). Un'altra potenziale categoria di soggetti immunocompromessi da sottoporre a un richiamo sono quelli che non sono stati studiati per la determinazione del livello di anticorpi anti-HBs un mese dopo la vaccinazione, che non hanno dimostrabili livelli di anticorpi quando testati, perché essi hanno un elevato rischio di esposizione all'HBV.

Virus mutanti
Sono state isolate numerose mutanti di virus dell'epatite B, con mutazioni a carico delle diverse parti del genoma virale.
Il cambio di alcuni nucleotidi, a livello degli epitopi, permette al virus di sfuggire agli effetti della vaccinazione. Vi sono state descrizioni di neonati, figli di madri HBeAg positive, che sviluppano infezionibreakthrough nonostante avessero ricevuto sia l'immunoprofilassi attiva (vaccino) che quella passiva (IgG specifiche anti.-HBV): alcuni di questi casi sono stati attribuiti a ceppi di HBV con mutazioni nel determinante antigenico a dell'HBsAg, tali da determinare un legame debole con l'anticorpo anti-HBs.(Shizuma T et al, J Gastroenterol 2003, 38:244-53).
Uno studio esteso nei bambini vaccinati a Singapore (Oon CJ et al, J Viral Hepat 1998, 5(Suppl 2):17-23) ha dimostrato che l'antigene e l'anticorpo possono coesistere e che le mutanti possono persistere per almeno 13 anni.
Vi sono prove che dimostrano che mutanti HBsAg possono causare infezioni persistenti ed essere associate a epatite cronica.
I virus mutanti possono infettare anche soggetti non vaccinati.
L'OMS raccomanda la creazione di una rete mondiale indipendente per il monitoraggio di tali mutanti.
Al momento attuale i vaccini attuali contro l'HBV sono sicuri ed efficaci e non ci sono prove che debbano essere aggiunti ai vaccini nuovi antigeni al vaccino. E' tuttavia necessario che vengano migliorate la sensibilità e la specificità delle prove.
Rimangono le questioni sulla prevalenza e sull'importanza dei virus mutanti nel futuro:
  • La pressione selettiva porterà a un aumentato numero e varietà di mutanti ?
  • Quali strategie adottare contro un eventuale aumento delle mutanti ?
E' necessario studiare e monitorare la trasmissibilità, l'infettività e le conseguenze della malattia data da tali virus.
Quanto è successo di recente (allontanamento dal mercato del vaccino combinato Hexavac) conferma la necessità di monitorare di continuo la risposta immunitaria dei soggetti vaccinati, soprattutto a distanza di tempo dalla vaccinazione.

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G. Bartolozzi. Efficacia a lungo termine del vaccino contro l'epatite B, nonostante la presenza di mutanti.. Medico e Bambino pagine elettroniche 2005;8(9) https://www.medicoebambino.com/_hbv_epatite_mutanti_virus_hbs_vaccinazione