Rivista di formazione e aggiornamento di pediatri e medici operanti sul territorio e in ospedale. Fondata nel 1982, in collaborazione con l'Associazione Culturale Pediatri.

Settembre 2015 - Volume XVIII - numero 7

M&B Pagine Elettroniche

Casi indimenticabili

La sindrome di Evans: chi è costei?
Fabrizio Pugliese1, Andrea Zucchini2, Roberta Burnelli3, Federico Marchetti1
1UOC di Pediatria e Neonatologia, Ospedale di Ravenna, 2Pediatria di Faenza, AUSL della Romagna
3UOC di Pediatria, UO di Onco-Ematologia, Università di Ferrara
Indirizzo per corrispondenza: fabrizio.pugliese@yahoo.it

Arianna è una ragazza “gigante”, per altezza, sorriso e simpatia. A quasi 12 anni la vediamo per una piastrinopenia moderata (55.000/mmc) asintomatica. Per alcuni mesi quasi ce ne dimentichiamo, perché i valori delle piastrine rimangono sempre su questi livelli e la diagnosi che formuliamo è quella di una porpora trombocitopenica idiopatica (PTI) che, diciamo, tenderà a guarire, senza richiedere in quel momento alcun trattamento. Abbiamo anche il riscontro (non obbligato per la diagnosi) della positività degli anticorpi anti-piastrine. Anche gli ANA sono positivi, ma a basso titolo. Decidiamo di non dimenticarcene, ma al momento non ci sono segni clinici e di laboratorio ulteriori indicativi per un lupus eritematoso sistemico (LES), ben consapevoli, d’altra parte, che la piastrinopenia può essere un esordio del LES.
Nei mesi successivi comparsa di ecchimosi e brusco calo della conta piastrinica (sino a 9000/mmc). Osserviamo per la prima volta un'anemia normocromica (nadir Hb 8 g/dl) con valori di globuli bianchi nella norma. L’esame del midollo (obbligato a questo punto) è nella norma (ha tanti megacariociti, come si vede nelle forme autoimmuni). Eseguiamo il test di Coombs diretto che risulta francamente positivo. Lo studio della tipizzazione linfocitaria alla ricerca dei linfociti T doppio-negativi esclude una sindrome immunoproliferativa (ALPS). La diagnosi che formuliamo è quella di una sindrome di Evans.
Iniziamo terapia con prednisone orale (50 mg/die) con risoluzione dell'anemia ma risposta solo parziale e intermittente della trombocitopenia con successivo sviluppo di steroido-dipendenza e con comparsa di segni clinici di importante cortisonismo. L’infusione di immunoglobuline (IVIG) ottiene una transitoria risposta. A questo punto proviamo i convenzionali 3 boli endovenosi di metilprednisone ad alte dosi (1000 mg/dose) che non producono beneficio.
La qualità di vita di Arianna cambia: non è più la solare ragazza che ci ha sempre guidato nelle nostre scelte iniziali; è visibilmente cortisonata e deve mantenere un dosaggio di prednisone pari a 20-25 mg/die per non scendere, nel valore delle piastrine, <25-30.000/mmc, in quanto tende ad avere importanti ecchimosi, delle mestruazioni abbondanti (“che non finiscono mai”). Ha paura di andare in bicicletta e non esegue più attività fisica. Decidiamo di iniziare il trattamento con il rituximab (alla dose prevista di 375 mg/m2 per un numero di 4 infusioni con cadenza settimanale). Ci dobbiamo fermare dopo la II infusione perché il giorno successivo alla somministrazione la ragazza ha avuto rialzo febbrile, aumento degli indici di flogosi, artralgie e importante artrite (mani, ginocchia, caviglie). Tale quadro, compatibile con la malattia da siero, ci ha impedito di proseguire nel programma di infusioni solitamente previsto per tale anticorpo monoclonale.
Siamo preoccupati ma la trombocitopenia a distanza di circa 14 giorni dalla seconda infusione comincia a migliorare (stentiamo a crederci); a distanza di 6 mesi si mantiene su valori di 140.000-150.000/mmc. Il cortisone è stato sospeso.

Cosa abbiamo imparato La sindrome di Evans è una rara condizione (1:1 milione) che non rappresenta la sola coincidenza di piastrinopenia e anemia ma riflette uno stato di importante disregolazione immunitaria alla base di vari gradi di citopenia (almeno 2 serie) concomitanti o sequenziali con andamento spesso cronico. Può essere idiopatica o secondaria (malattie autoimunitarie: LES, Sjogren, anticorpi-antifosfolipidi; linfoproliferative: ALPS).
Il trattamento di prima linea previsto è con corticosteroidi e IVIG. Per i casi non responsivi, sebbene non esistano studi clinici randomizzati e controllati, in diversi trial clinici non comparativi, il trattamento con rituximab si è mostrato efficace in percentuali variabili (in alcune casistiche sino al 70% dei casi) nell'interrompere il decorso autoimmunitario e andrebbe tentato prima di un eventuale utilizzo di altri immunosoppressori (azatioprina, micofenolato, ciclosporina). Il rituximab va preso in considerazione anche nelle PTI croniche corticodipendenti.
L’uso del rituximab, come noto, è costoso e non è privo di rischi – in primis quello infettivo – ma in un bilancio complessivo va tenuto conto che l’andamento della sindrome di Evans può essere anche molto impegnativo e può compromettere seriamente la qualità di vita del paziente: cosa che di fatto si stava verificando nel caso della nostra ragazza. Infine, nelle forme resistenti alla terapia convenzionale, l'impiego di agonisti della trombopoietina (eltrombopag) può migliorare significativamente la trombocitopenia.
In un quadro di trombocitopenia e concomitante anemia è obbligatorio pensare alla sindrome di Evans ed eseguire il test di Coombs! La sindrome di Evans non è una diagnosi, in quanto spesso può nascondere la presenza di una definita malattia autoimmunitaria (LES in primis). La gestione è quella convenzionale per le forme di piastrinopenia-anemia autoimmune (cortisone e immunoglobuline). Se non vi è chiara risposta o se le dosi di cortisone devono essere elevate per mantenere un adeguato livello di piastrine e/o Hb, va pensato l’uso del rituximab, anche in età pediatrica/adolescenziale.




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F. Pugliese, A. Zucchini, R. Burnelli, F. Marchetti. La sindrome di Evans: chi è costei?. Medico e Bambino pagine elettroniche 2015;18(7) https://www.medicoebambino.com/?id=IND1507_30.html